Profumo di gelsomini

Cuore
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Sul blog, la storia più apprezzata del n. 37 di Confidenze

 

Quei fiori, i preferiti della nonna, erano l’essenza dei miei ricordi e avrebbero dovuto abbellire le nozze con Cristiano. Ma poi una coltre di dolore era calata su tutti noi, come potevamo pensare ancora a festeggiare? Finché non arrivò un segnale speciale

STORIA VERA DI DIANA V. RACCOLTA DA ANNA BALTIA DELFINI

 

Io mi dovevo sposare a marzo. Quando, da noi, fioriscono i gelsomini, il fiore preferito di mia nonna. Da bambina le avevo sentito ripetere spesso “a marzo fioriscono i gelsomini”, era la sua frase più ricorrente. Perché il gelsomino è la pianta degli angeli. Diceva spesso anche questo. Ne aveva un esemplare rigogliosissimo che cresceva a ridosso della parete di casa sua a Erice, dove ho trascorso tutte le estati della mia infanzia. Io e mia nonna avevamo sempre avuto un rapporto specialissimo. Sono figlia unica e tutte le sue attenzioni sono sempre state riversate in maniera esclusiva su di me, cosa che avevo sempre adorato. La mia nascita era stata salutata da nonna quasi come un piccolo miracolo e la mia presenza nella sua casa durante quelle calde estati siciliane era per lei motivo di gioia immensa. Amava prendersi cura di me, da piccola mi lasciava fare il bagno nella sua grande vasca che riempiva d’acqua per farmi giocare e sulla cui superficie seminava manciate di gelsomini per “profumarmi”. Quella piccola dolce coccola mi aveva sempre fatto sentire una principessa, per non parlare delle storie meravigliose che amava raccontarmi, soprattutto prima di andare a dormire, dopo aver rigorosamente infilato un altro fiorellino di gelsomino nella federa del cuscino, perché così avrei avuto solo sogni bellissimi e profumati.

«Ti sposi? Ma che bello, che festa dobbiamo fare amore mio, che festa!».
Aveva esordito così alla notizia del mio fidanzamento ufficiale con Cristiano. Lei era stata la seconda persona a cui l’avevo presentato dopo mia madre. Lo aveva studiato con attenzione e riempito di domande, quasi come un interrogatorio. Voleva “testare il giovanotto”, capire se quella che aveva di fronte era la persona adatta per la sua nipotina. Cristiano d’altra parte aveva accettato di buon grado quella pioggia di domande. Non a caso la sua invidiabile pazienza e la dolcezza infinita sono state le qualità che me lo avevano fatto notare fra tutti gli altri. Ci eravamo conosciuti all’università a Palermo, studiavamo entrambi ingegneria, una materia non molto apprezzata da tante ragazze, ma che invece per me e l’intera famiglia era stato un vero e proprio vanto e una scelta quasi obbligata, vista la mia precoce passione per la materia. Già alle superiori avevo deciso che quella sarebbe stata la mia strada. Per tutti gli anni universitari però ero stata praticamente circondata da soli uomini, non di rado oggetto delle loro beffe, nella medievale convinzione che una donna non potesse seriamente occuparsi di quelle materie.

Cristiano invece no. Lui non mi aveva mai presa in giro e anzi sin dal principio era rimasto sinceramente colpito dalla mia attitudine a quel tipo di studi. Non di rado mi aveva chiesto anche una mano per gli esercizi più complessi, favore che aveva ricambiato quando ero stata io a trovarmi in difficoltà. Siamo stati una squadra da subito. Spesso ascoltavo le mie amiche lamentarsi di improbabili fidanzati che sparivano per giorni o le tradivano, che non volevano facessero carriera o si vestissero in un certo modo. Cristiano non era mai stato così. Mi aveva sempre spronata e incoraggiata e io lo stesso con lui. Non ci era voluto troppo perché dall’amicizia arrivassimo all’amore. La nostra era stata davvero una storia bellissima e continuava a esserlo, anche se non ci credeva nessuno perché una coppia così, dicevano, non può essere vera. Ma io e Cristiano, sordi a malelingue e pettegolezzi, proseguivamo spediti per la nostra strada. Entrambi eravamo riusciti a laurearci nei tempi e io avevo trovato un buon lavoro a Messina, dove ci saremmo trasferiti dopo il matrimonio. Cristiano infatti aveva accettato di seguirmi, come d’altra parte aveva sempre fatto, avrebbe cercato anche lui un lavoro laggiù, dopotutto di un buon ingegnere c’è sempre bisogno.

Quando mia nonna aveva saputo del matrimonio ne era stata felicissima, ci aveva abbracciati e baciati per mezz’ora, costringendo il nonno, da sempre schivo e riservato, a portarci tutti al ristorante per festeggiare.

«Ti pigghiasti n’angelu fighiu meu! Trattamilla bene!» aveva sussurrato in un orecchio a Cristiano al tavolo di quella festa per l’annunciato fidanzamento. Non parlava spesso in dialetto la nonna, ma quando lo faceva era per esprimere un concetto davvero importante. Per lei ero sempre stata il suo angelo e voleva che Cristiano si prendesse cura di me nel modo più appropriato. Naturalmente aveva detto qualcosa di molto simile anche a me, riferendosi al mio futuro sposo. Lo aveva preso in simpatia, le piaceva davvero Cristiano e io ne ero contentissima, non sarei riuscita mai a sposare qualcuno che lei non avrebbe apprezzato.

«Diana ti devi sposare a marzo però, mi raccomando, perché a marzo…».

«Sì nonna, a marzo fioriscono i gelsomini» avevo concluso la frase anticipandola. Ne avevamo riso tanto, lo diceva davvero così spesso che ormai era diventato un ritornello.

La nonna era nota per la sua passione per i gelsomini. Li regalava a tutti, ne faceva acque profuma- te e sacchetti per la biancheria, li metteva sempre in tavola e li usava anche per abbellire i suoi rinomati “nacatuli eolani”, dolcetti di frolla ripieni di mandorle, cannella e mandarino aromatizzati alla malvasia, che erano la sua specialità. Nel parlare del matrimonio infatti aveva subito fantasticato di gelsomini disposti ovunque, dalla chiesa al ristorante, finanche nei piatti, perché beninteso il sorbetto al gelsomino non sarebbe potuto mancare.

Tutto questo accadeva nell’estate nel 2019, il matrimonio era stato fissato per il marzo 2020. Scelta infelice, ma noi non potevamo saperlo. Di lì a breve sarebbe scoppiata l’epidemia di Covid 19. Certo è stata dura per tutti, ma in un modo diverso, più infido. La prima data a saltare fra i tanti impegni già presi, è stata ovviamente quella del matrimonio. Una notizia che aveva rattristato tutti, soprattutto la nonna. Stava cominciando il nostro calvario.
Io e Cristiano ci eravamo già trasferiti a Messina, anche lui aveva trovato un impiego ed eravamo presi dai preparativi, c’era già la distanza a dividerci dai nostri cari. L’arrivo della pandemia aveva reso tutto più complesso e difficile da gestire. Soprattutto quando il nonno si era ammalato. Era successo tutto in fretta, telefonate febbrili da una parte all’altra della Sicilia per capire, sapere. Poi anche la nonna. Eravamo smarriti e confusi, increduli di fronte a tutto quell’orrore. I nonni erano anziani certo, avevano i loro acciacchi, ma erano sempre stati bene, saperli d’improvviso in un letto d’ospedale senza poterli vedere, tenergli la mano, senza poterci parlare era stato terribile. Ricordo le lunghe telefonate con mia madre, le lacrime che a stento cercavamo di trattenere per farci forza, poi quelle immagini tremende in tivù. Tutto senza un perché, senza un senso. «Vedrai che si sistemerà tutto» mi sussurrava Cristiano accogliendomi nel suo abbraccio, l’unico luogo ormai per me familiare. Sapeva starmi accanto anche in silenzio, custodendo le mie paure che in quel momento erano enormi a tal punto da darmi quasi la sensazione di togliere anche a me il respiro. Già il respiro, quella banalità meccanica che ripetevamo ogni secondo senza neppure rendercene conto e che adesso invece era diventato così prezioso per tutti.

Spesso riprendevo in mano i due album che avevo portato via da casa, per scorrere con le dita le immagini dei nonni, di un tempo lontano che adesso volevo sentire vicino. C’erano tante foto della nonna, tante foto dei suoi amati gelsomini. La loro presenza era costante in tutte quelle immagini del passato e accarezzarle mi dava quasi la sensazione di poterli toccare davvero quei fiori che erano il profumo dei miei ricordi.
Cristiano mi aveva regalato delle candele profuma- te al gelsomino, ci piaceva accenderle la sera e lasciarci cullare da quel profumo, socchiudendo gli occhi e immaginandoci a Erice.
«Il gelsomino di nonna sta morendo» mi aveva confessato mamma in una delle nostre telefonate. «Ma come? Non c’è nessuno che lo cura?».
«Certo Diana, vado io stessa tutti i giorni, ma non so perché si sta seccando».
La notizia del gelsomino morente era solo l’ennesima brutta notizia del 2020, un anno che non avrei mai più dimenticato.
«Non lo far morire mamma, ti prego».
«No, gioia».
Invece il gelsomino era morto e con lui prima il nonno e poi quasi subito anche la nonna.

Un dolore immenso che non riesco a descrivere. Io non avevo mai smesso di sperare. Una parte di me era davvero convinta che i nonni ce l’avrebbero fatta. Da quel giorno non avevo più voluto parlare del matrimonio. Quella festa senza la nonna non aveva senso per me. Dicevo a Cristiano che al massimo ci saremmo sposati in comune con i testimoni e che la cosa sarebbe finita lì.
Lui cercava amorosamente di insistere, con quell’ostinata dolcezza che lo ha sempre caratterizzato, ma io cocciuta come un mulo non volevo. Mi sembrava quasi di fare un torto alla memoria della nonna, perché era ancora il tempo del dolore e del ricordo.
Siamo tornati a Erice, appena è stato possibile farlo e la vista del gelsomino appassito non ha fatto altro che aumentare il mio dolore, quella era la pianta preferita della nonna e vederla in quello stato mi procurava una tristezza infinita in fondo al cuore.
Abbiamo passato nella vecchia casa della nonna l’estate del 2020, prima che il mostro del virus tornasse a invaderci. Lì avevo provato a far riprendere la pianta, ma non c’era stato verso, non ero mai stata un pollice verde dopo tutto. La mamma aveva detto di potarla, ma anche lì mi ero opposta con forza pari a quella usata contro la proposta di Cristiano di tornare a progettare la festa per il nostro matrimonio che, fra le altre cose, alla fine non avevamo proprio più celebrato. Anche mia mamma insisteva perché quel discorso fosse ripreso dov’era stato lasciato, ma quell’estate a casa della nonna mi aveva incupita, la malinconia era stata la colonna sonora dei miei pensieri, mentre Cristiano mi accompagnava in lunghe passeggiate al mare o quando la sera gustavamo il sorbetto al gelsomino per dissetarci.

Al rientro a Messina la vita era ripresa lentamente, ma poi con i primi freddi, di nuovo lockdown e divieti. Stavolta il blocco mi era parso se possibile ancora più duro del primo, perché mi dava l’idea di un circolo vizioso dal quale non saremmo più usciti.

Solo Cristiano riusciva a darmi forza. Avevo sentito di molte coppie provate da quella prolungata e improvvisa convivenza h24, per me e Cristiano invece era stata l’ulteriore prova, semmai ce ne fosse stato il bisogno, di un amore profondo, che sapeva resistere alle difficoltà. Avevo imparato a conoscere e amare Cristiano anche con tutti i suoi difetti, così come lui aveva pazientemente fatto con me e durante la famigerata seconda ondata mi ero resa conto che quel ragazzo gentile era parte di me, era la mia famiglia adesso e forse negargli la festa per un matrimonio così atteso ormai da due anni, era da egoista.

Ne avevo parlato a lungo con mia madre e anche lei conveniva che dovessimo proprio tornare a pensare a quel matrimonio, che la nonna mi avrebbe voluta felice anche senza di lei, a festeggiare il mio giorno più bello.

Eppure non riuscivo a decidermi. Non ne avevo più parlato con Cristiano, anche se di quando in quando lui cercava di ritirare fuori l’argomento con qualche scusa, ma io chiudevo in fretta la conversazione, perché quel tema mi era quasi diventato fastidioso. Forse presto o tardi avrei davvero abbandonato l’idea proprio di sposarmi, vinta dal mio stesso egoismo, ma a marzo di quest’anno era arrivata una telefonata del tutto particolare da parte di mia madre: «È rifiorito il gelsomino Diana!».

Mi aveva detto solo questo al telefono ed era bastato. Mi pareva quasi di sentirne il profumo, d’improvviso tutti i ricordi più belli delle mie estati a Erice mi erano passati fra i pensieri come immagini di una lanterna magica. Io che faccio il bagno nella vasca piena d’acqua e gelsomini, la nonna che mi regala un sacchetto di fiori secchi da mettere nel cuscino, i nacatoli dorati sul piatto di porcellana azzurro con un mazzetto di fiorellini di gelsomino accanto.

Improvvisamente mi si era sciolto un peso dal cuore e mi era nato un sorriso fra le lacrime, finalmente un sorriso pieno di felicità, dopo tutto quel dolore di carezze e abbracci mancati.

Pochi giorni più tardi avrei scoperto di essere incinta. Adesso ero davvero pronta al grande passo, potevo sposarmi. Con quella miracolosa e improvvida fioritura, la nonna mi stava dando la sua benedizione.

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