Rivelazione

Cuore
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Riproponiamo sul blog una delle storie vere più apprezzate del n. 28 di Confidenze

 

Per anni mi ero chiesta perché Elio mi avesse lasciato così, senza una spiegazione. E quando finalmente sono riuscita a scoprirne la ragione, in qualche modo dentro di me l’ho perdonato. Ora la mia vita è altrove

STORIA VERA DI ADA M. RACCOLTA DA GUIDO ZOCCOLI

 

Perché Elio mi aveva lasciata? La risposta l’avevo ottenuta solo molti anni dopo. La storia inizia tantissimi anni fa. Ero molto giovane allora e, con i miei genitori, abitavo sulle colline sopra Sanremo. Loro lavoravano in un’azienda che esportava piante in Germania, io cucivo in un atélier. Vicino a noi, abitavano due giovani meridionali, due braccianti. Quando andavano al lavoro, passavano davanti a casa nostra. Antonio, il più anziano, cercava sempre di vedermi e quando ci riusciva, mi sorrideva. Non era bello, era piccolino e con un visetto anonimo. Ma mi ero abituata alla sua corte silenziosa. Mi piaceva, quasi. Poi partì soldato.

Mi arrivarono delle lettere, ma erano un disastro. Non sapeva scrivere, ma ero sicura che uno come lui avrebbe fatto di tutto per imparare. D’estate sulle colline, c’era il ballo, irrinunciabile. Quella sera, prima di uscire, mi guardai allo specchio. Avevo un vestito nuovo, celeste come i miei occhi. I lunghi capelli biondi mi scendevano sciolti sulle spalle. Ero alta e magra, con un fisico esile, mi dicevano che sembravo un’inglese. Pensai a Tonino, sentendomi un po’ in colpa, ma in realtà la sua lontananza mi faceva sentire più libera e più leggera. Il percorso dalla nostra casa, fino all’area dove si tenevano le feste, era breve. Quando arrivammo, c’era già molta gente. I miei genitori andarono a sedersi e io rimasi in piedi al margine della pista, a parlare con un paio di amiche. L’orchestrina iniziò a suonare e io fui invitata a ballare. Erano uomini giovani, alcuni anche attraenti, ma i loro discorsi erano troppo banali. Però all’improvviso, mi invitò un ragazzo che mi colpì. Aveva un viso bruno e magro, e occhi neri e vivaci, segnati dalle occhiaie. Mi disse che si chiamava Elio e che viveva a Bordighera, dove coltivava fiori destinati all’esportazione.

Elio ballava bene e mi fece un sacco di domande. Sembrava voler sapere tutto di me. Passai con lui il resto della serata, e quando andai a letto, per la prima volta, dopo tanto tempo, non pensai a Tonino. Tornai a ballare un’altra sera, e ballai quasi sempre con lui. Gli raccontai che il sogno della mia famiglia era quello di avere un pezzo di terra vicino al mare.

«Si può fare» mi disse, «vicino alla campagna che coltivo io, ci sono appezzamenti da affittare» aggiunse. Poi mi riaccompagnò al tavolo e salutò i miei genitori. La terza sera, mi chiese di uscire con lui. Andai a riferirlo ai miei genitori, loro acconsentirono. E allora gli risposi di sì.

«Verrò a prenderti domenica alle quattro, ti aspetterò sotto gli alberi».
Vicino a casa mia c’era un minuscolo boschetto di pini. «Va bene, ci sarò». Passai i giorni, immaginando cosa mi avrebbe detto.

Arrivata la domenica, mi affrettai a raggiungere il luogo dell’appuntamento. Elio scese dall’auto e mi venne incontro. «Ciao, ti ho fatto aspettare?» gli chiesi.
«No, sei puntuale e bellissima» rispose lui. Mi aprì la portiera e io salii a bordo. «Volevo farti vedere la mia campagna, ti annoierebbe?» domandò con determinazione.

«No, va bene» dissi.

Scendemmo verso Sanremo, imboccò l’Aurelia e ci avviammo verso ponente. Lasciò la statale e infilò una strada in salita. Dopo un centinaio di metri si fermò. «Adesso dobbiamo camminare» annunciò. Guardai le scarpette che avevo ai piedi. «La strada non è brutta, non preoccuparti, ma se preferisci, posso portarti in braccio» mi disse pure, sorridendomi. «La mia campagna è questa». Guardai la sua casuccia. «Ma io non abito qui, sto con i miei nel Borgo vecchio, qui vicino» ci tenne a precisare.

«È un posto molto bello» dissi. Le onde si scatenavano qualche centinaio di metri sotto di noi.
«Sì, è una campagna calda, così vicina al mare. È difficile che d’inverno qui, geli» precisò. Poi percorremmo una stradina, e ci avviammo verso la casetta. Aveva il tetto coperto da tegole rosse e davanti, c’era un pergolato da cui pendevano grappoli d’uva bianca.
Sul suolo di terra battuta, c’erano un tavolo e tre sedie impagliate. Elio mi indicò una sedia. «Accomodati». Poi entrò nella casupola e ne uscì con una scatola di biscotti e un secchio di zinco con dentro una bottiglia di vino. Posò tutto sul tavolo. «Moscato, ti piace?» disse. «Veramente non bevo alcol» replicai con imbarazzo. «Scusami» disse, tornò dentro, e uscì con due piattini colorati e un paio di bicchieri. Io guardavo i grappoli dorati. «È acerba» disse, «a vederla sembra già buona, ma se la assaggi, è ancora aspra». Lui sturò la bottiglia e versò il vino. Riempì il suo bicchiere e lasciò il mio a metà. Mangiai due biscotti e bevvi due dita di vino, poi mi alzai e mi appoggiai al parapetto. Guardavo il mare, poi sentii una carezza leggera sui miei capelli. Il mio cuore accelerò i suoi battiti, mi sentii afferrare alla vita e stringere dolcemente. Mi voltai e lui mi baciò. Quando mi riaccompagnò a casa, mi disse che sarebbe ritornato. La sera, a letto, non riuscivo a dormire. Eccitata e felice, rivissi per ore quel mio primo bacio. Iniziammo a frequentarci assiduamente. Andavamo a ballare nelle feste campestri, oppure in qualche locale. Ogni tanto facevamo merenda nella sua campagna. Dopo tre mesi, volle presentarsi ai miei genitori. Parlò a mio padre di un pezzo di terra vicino alla sua campagna che avremmo potuto prendere in considerazione. Andammo a vedere il posto, e piacque a tutti. Elio, ci accompagnò dal proprietario che abitava a Bordighera. Era una persona colta e gentile. Ci affittò la terra a un prezzo ragionevole e ci trasferimmo lì. Elio mi portò anche a casa sua, a conoscere i suoi. Tutto sembrava andare per il meglio.

Venne l’inverno e iniziò l’anno nuovo, tornò la primavera e poi arrivò un’altra estate. Non vedevo più Tonino e avevo cominciato una vita nuova. Quello fu l’anno più bello della mia vita. Ma ai sogni, possono seguire amari risvegli. Elio, durante quell’anno, era stato dolce e gentile. Aveva avuto sempre un pensiero per me: dei fiori, un profumo, dei dolci, un posto nuovo da vedere, della frutta appena raccolta. Ma d’un tratto, il suo atteggiamento cambiò. Non mi regalò più nulla e diradò gli incontri. Diceva che aveva tanto lavoro e che i suoi genitori erano vecchi. La magia si era dissolta, l’incanto si era rotto. Un giorno mi disse che un suo zio, al paese d’origine, aveva bisogno di lui, perché era molto ammalato. Ero amareggiata, ma pensai che era solo un brutto momento, che sarebbe passato. Lui però, mi abbracciò e mi baciò senza passione, salì in auto e partì. Passarono 15 giorni, Elio non ricomparve. Attesi inutilmente che salisse il sentiero e che si appostasse sotto le mie finestre, come un tempo. Ma non accadde nulla.

Era un anno che abitavamo a Monte Verde e mi ero fatta due amiche. Incontrai Giovanna, la sua terra confinava con la nostra, aveva qualche anno più di me ed era sposata. Mi guardò con un atteggiamento insolitamente serio, lei, che era sempre allegra e sorridente.

«Parli sempre con Elio?» chiese. Parlare, significava avere una relazione sentimentale.
«Sì, ma adesso è al suo paese, da un parente che sta male, ha dei problemi».

Lei scosse il capo, incredula. «Io sono tua amica, ma non fare il mio nome. Guarda che Elio se ne va in giro e forse non è mai partito. Uomini!» aggiunse. Un’altra mia amica era Giulia. Aveva la mia età, ma aveva avuto già parecchi amori. Se uno le piaceva, lei ci andava a letto, senza tante storie. Mi aveva invitato spesso a uscire con lei, ma Elio diceva che era una poco di buono e questo mi aveva frenato. Aveva la casa accanto alla strada. Un giorno, lei era alla finestra e mi vide tornare con la spesa.

«Ada. Come va? Sali su che parliamo». Aprì la porta. «Solo un attimo, non vorrei disturbare» replicai.

«I miei non ci sono e poi, anche se ci fossero, non sarebbe un problema. Siamo amiche, raccontami». E mi avvicinò una sedia.

«Sto male, e per colpa di Elio. È sparito» dissi.
«Ho sentito qualche voce. Non è certo andato in America. Ma se uno non ne vuole più sapere…». Mi sentii mancare. Sentirmi dire ciò
che temevo, era stato un colpo al cuore. Lei se ne accorse. «Ada non fare così. Ti senti bene? Non soffrire mai per un uomo. Morto un papa, se ne fa un altro». Chinai il capo e le lacrime mi affiorarono agli occhi e mi scivolarono giù per le guance. Mi vergognavo, ma non potevo più fermarle. Lei aprì un cassetto, ne estrasse un fazzoletto, s’inginocchiò davanti a me, e cominciò ad asciugarmele. Il fazzoletto aveva un buon profumo, di lavanda. Mi calmai. «Scusami» dissi.

«E di che, Ada. Senti, dopodomani vado da una che legge le carte. Molta gente dice che sono solo superstizioni, ma non è così. A me, non ha mai indovinato un tubo, mi dice sempre che arriverà un buon partito, io dico che è così ben partito che non è mai arrivato. Ma a parecchie mie amiche, le carte hanno indovinato, eccome. È successo tutto quello che la donna aveva predetto. Dalla a alla zeta. Vienici, magari ti dà qualche lume».

La ascoltai con attenzione. «Va bene, ti ringrazio di tutto».
«E di che? Non ti ho offerto nulla, hai sete? Vuoi un’aranciata?».

Io volevo proprio andare via. «Un’altra volta, grazie». Ci abbracciammo e tornai a casa. L’indomani, mi avviai verso la campagna di Elio.

E lo vidi, chino sui suoi garofani ancora bassi. Estirpava l’erba fra una pianticella e l’altra. Il primo impulso fu quello di chiamarlo e di chiedergli spiegazioni, di pretendere chiarimenti. Ma non dissi nulla, mi voltai, e trattenendo le lacrime, tornai a casa. Il giorno dopo, andammo dalla cartomante che mi aveva suggerito Giulia. Abitava nella città vecchia, in una casa da cui si vedevano la costa francese e il mare. Ci ricevette in salotto. Era una donna di mezza età, ancora bella e vestita con gusto. Ci fece sedere, prese il mazzo ed eseguì piccoli rituali che non ricordo più. Iniziò con Giulia, a cui disse, che doveva pazientare un po’, perché molto presto, sarebbe arrivato un uomo con una discreta posizione sociale, che l’avrebbe fatta felice.

Poi mischiò le carte per me, tagliò il mazzo, dispose le carte sul tavolo. E mentre le guardava, si fece scura in volto. Mi fissò negli occhi e mi disse che mi aspettavano tempi difficili e dolorosi. Che avrei dovuto affrontare la vita, con tutto il mio coraggio. Sarei stata lasciata dal mio fidanzato e calunniata da lui, nel modo più volgare. E mi ripeté ancora di affrontare la situazione con tutto il coraggio che avevo nel cuore. Pagammo e uscimmo in silenzio. Anche Giulia non sapeva cosa dirmi, tornammo sulla nostra collina, senza dirci una parola. Al momento di separarci, sulla soglia di casa sua, Giulia mi abbracciò. «Forza Ada, le carte possono anche sbagliare, guarda me, aspetto sempre il buon partito. Il diavolo a volte non è così brutto come lo si dipinge». Ricambiai l’abbraccio e le augurai la buonanotte. Stavo male. La notte stessa, mi venne la febbre, e la cosa durò per tre giorni. Ero depressa, stavo sempre male e mangiavo poco. Mia madre mi accompagnò da un dottore. Lui mi visitò e ci disse che ero incinta. Mia madre ne parlò alla madre di Elio. La donna la fece entrare in casa. Non le disse di sedersi e non le offrì nemmeno un bicchiere d’acqua. Quando mia madre le chiese perché suo figlio si comportasse in quel modo, lei rispose con parole molto precise: «Le cose a volte vanno a buon fine, e a volte no. Vostra figlia non è la ragazza seria che credevamo. Una ragazza per bene non si dà subito al fidanzato. Aspetta di farlo la prima notte di nozze».

Mia madre era distrutta e replicò: «Mia figlia è una ragazza onesta e aspetta un bambino da vostro figlio».
Ma quella non ne volle sapere: «Che sia di mio figlio, è tutto da provare. E non abbiamo altro da dirci».

Mia madre le voltò le spalle e uscì dalla casa. Ricordo quel periodo come un incubo.

Partorii in casa una bambina nata morta. Restai a lungo a letto, Giovanna mi disse che ero bella come una madonna e Giulia, finché non mi ripresi del tutto, venne a trovarmi tutti i giorni. Poi mia madre, con la morte nel cuore, andò a cercare Tonino. Parlò con lui e gli chiese di perdonarmi e di sposarmi.
Tonino le disse di sì, perché per me avrebbe fatto qualsiasi cosa. Nello stesso mese in cui ci sposammo, Elio sposò Marta, una bella ragazza che abitava vicino a lui. E nello stesso tempo, partorimmo entrambe un figlio. Il mio nacque lungo e scuro, con un filo di pelo nero nella schiena. «Che bel bambino» mentì Giulia. «Questo sì che è un meridionale» disse invece Giovanna. Poi, il nostro Ivo cambiò. Perse la peluria scura e divenne biondo. Crescendo, assomigliava sempre di più a me. Spesso, quando andavo in città, le signore eleganti mi fermavano per strada. «Che bel bambino» mi dicevano, e io, mi sentivo orgogliosa.

Prendemmo un terreno vicino a quello dei miei genitori. Era coltivato con una qualità pregiata di mimosa, così riuscimmo a fare una discreta fortuna. Un mattino, ero al mercato, per vendere i nostri fiori ai grossisti, e parlavo con un’amica del Borgo. Parlavamo delle nostre povere vite, fatte di sacrifici, di fatiche e di delusioni.

«Sono passati tanti anni» dissi, «e a volte, credimi, ancora non mi spiego perché Elio mi abbia lasciata».
Lei mi guardò stupita e replicò. «Ma sul serio non sai niente? Uno zio di Marta era venuto dalla Svizzera e le aveva dato sei milioni. I suoi genitori parlarono con quelli di Elio, lo convinsero a lasciare te, per sposare lei. Lo sapevano tutti nel Borgo. Quei soldi facevano comodo a tutti». Rimasi folgorata da quella rivelazione, ma compresi le sue ragioni, e nel mio cuore, lo perdonai. ●

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