Se a Pasqua tutti non mangiassero l’agnello

Cuore
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Se oggi ognuno di noi non mangiasse l'agnello, non solo si eviterebbe una strage di più di 250.000 cuccioli da latte, ma si onorerebbe il simbolo più forte di Cristo

Sono vegetariana, ma non è il solo motivo per il quale, da anni ormai, mi batto per rompere la tradizione di mangiare l’agnello a Pasqua.

Sono vegetariana, ma ho il massimo rispetto di chi non lo è. Ciascuno ha diritto di essere se stesso. Quindi non ho pregiudizi, né velleità di convertire gli altri motivando la mia scelta. Trovo anche controproducente, oltre che inutile, mostrare le immagini raccapriccianti dei macelli.

Sappiamo tutti come muoiono gli animali che mangiamo, no? Eppure evidentemente non è questo che fa desistere dal cibarsene.

Ma oggi se ognuno di noi evitasse di mangiare l’agnello contribuirebbe a frenare un’autentica strage di più di 250.000 cuccioli da latte destinati ai deschi pasquali degli italiani. Una cifra impressionante, pari a un terzo dell’intero consumo annuale.

Su questo tema si snodano dibattiti, critiche e provocazioni, ma alla base di tutto c’è un equivoco su una tradizione religiosa inesistente: il sacrificio ebraico dell’agnello riguarda l’Antico Testamento. Nel Nuovo Testamento non c’è indicazione a riguardo da parte di Cristo, e nel Vangelo degli Ebrei si attribuiscono a Gesù queste parole: «Sono venuto ad abolire i sacrifici».

Ai vegetariani piace pensare che Gesù non mangiasse carne perché seguiva certi comportamenti degli esseni, un gruppo ebraico di incerta origine che praticava una vita monastica di preghiera e di amore universale. Di certo si sa che il suo discepolo prediletto, Giovanni, non si cibava di animali.

L’argomento è affascinante, tuttavia non basterebbe un trattato per approfondirlo. Comunque sia, il fatto è che, se mai, l’agnello è simbolo dello stesso Cristo: che senso ha ucciderlo a Pasqua, festa di pace e di resurrezione?

Mi commuove sempre rileggere nella storia di Francesco d’Assisi l’episodio che descrive il suo incontro con un pastore che stava portando un agnello da latte al macello. Francesco si disperò, pregò l’uomo di salvarlo e arrivò infine a “pagare” l’animale barattandolo con un mantello. Poi felice lo portò in salvo a San Damiano da Chiara.

È la poesia di questo animale, mite e indifeso, insieme al suo potente simbolismo cristiano che mi fa sperare, a ogni Pasqua, che non venga più sacrificato, ma addirittura salvato proprio in nome di Gesù.

 

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