Un provvidenziale trasferimento

Cuore
Ascolta la storia

Ripubblichiamo l'ultima storia uscita di Marisa Saccon, la nostra collaboratrice scomparsa lunedì scorso.

 

Storia vera di Anna I. raccolta da Marisa Saccon

Amavo il mio lavoro e amavo Sandro, anche se il nostro rapporto era in crisi. Cambiare città poteva essere un’occasione per entrambi e in effetti lo è stata perché mi ha aperto gli occhi su cosa volevo. Soprattutto per me stessa

 

Da qualche giorno mi ero trasferita nel quartiere di periferia di una piccola cittadina di campagna e mi sentivo spaesata, smarrita, triste. Il trasferimento si era reso necessario per lavoro e non avevo avuto scelta: o mi licenziavo, oppure mi trasferivo. Mi ero impegnata dal punto di vista professionale, ero ambiziosa e consapevole che, per fare carriera, bisognasse fare qualche sacrificio. Negli ultimi mesi ero talmente concentrata sul lavoro che Sandro mi accusava di non pensare più a noi due. Era vero. Da qualche tempo ero diventata cupa, musona e con una costante ansia da prestazione. Mi rilassavo solo quando mi mettevo a disegnare.

Da piccola giocavo molto con carboncini e colori. Disegnavo qualsiasi cosa mi ispirasse o mi venisse in mente. A scuola gli insegnanti di arte mi incoraggiavano a dedicarmi alla pittura mentre i miei genitori la ritenevano una semplice perdita di tempo. Poi, nel tempo, il lavoro mi aveva assorbita completamente e avevo smesso di disegnare, di ridere e anche di divertirmi con Sandro. Di essere felice insomma.

Il mio lavoro nell’ufficio marketing di una grande azienda alimentare era diventato la priorità e quando ho deciso per il trasferimento, Sandro non ha voluto seguirmi. Lui stava fin troppo bene in città, nel piccolo appartamento a due passi dal centro, con i suoi amici e la sua bella zona di comfort. Eravamo molto innamorati, ma da qualche tempo le cose erano cambiate: lui si lamentava in continuazione del suo lavoro, non gli piaceva niente di quello che faceva, non si sentiva gratificato sotto il punto di vista economico e professionale. Gli proponevo di cambiare, di cercare qualcosa di diverso, di riprendere a studiare, o fare qualche corso. Era molto creativo nel disegno e nel la grafica e molto esperto come informatico ma invece di darsi da fare, aveva continuato a lavorare come commesso nel solito negozio di ferramenta, continuando a lamentarsi tutti i santi giorni. Era diventato insopportabile con la sua negatività. E io ero sempre inquieta e insofferente. Eravamo scontenti delle nostre vite e ci punzecchiavamo in ogni momento.

Quando dalla mia azienda è arrivata la proposta di trasferimento, ho colto la palla al balzo pensando che fosse l’occasione giusta di cambiare vita anche per Sandro. E invece lui non ha voluto schiodarsi dal bancone del negozio, dalla sua città, dal suo divano. La mia è stata una decisione lunga e sofferta. Per tutto il tempo, io e Sandro non abbiamo fatto altro che litigare e, alla fine, ho fatto le valigie con un pesante senso di frustrazione, impotenza e dolore, e me ne sono andata a vivere a 100 chilometri dalla mia città. Soffrivamo entrambi perché sapevamo che, piano piano, ci saremmo allontanati, le telefonate si sarebbero diradate finché avremmo messo la parola fine alla nostra storia. L’appartamento che avevo affittato era molto piccolo, ma luminoso. Un lato della casa dava sulla via principale mentre l’altro si affacciava su una distesa infinita di campi. L’azienda si trovava a cinque chilometri dalla mia nuova casa e sarei andata al lavoro tutti i giorni con la mia vecchia auto che in città, ormai, non usavo quasi più. Lavoravo tutto il giorno nella nuova sede e la sera mi chiudevo in casa davanti alla televisione e mi sentivo vuota, sola, malinconica. Sandro mi mandava ogni tanto qualche messaggio, sempre laconico e risentito. Lo immaginavo mentre passeggiava per le vie del centro della nostra città in compagnia dei suoi amici. Mi mancava Sandro, mi mancavano quelle strade, i negozi, le mie amiche, il bar dove facevo colazione. In certi momenti mi dicevo che avevo sbagliato tutto, che non avrei dovuto trasferirmi in quel posto dimenticato dal mondo.

Il mattino in cui la mia macchina mi ha lasciata a piedi sul vialetto del condominio mi è venuta una vera e propria crisi di nervi. Ho iniziato a inveire contro l’auto, poi l’ho presa a calci e infine sono scoppiata in un pianto isterico e disperato. «Hai bisogno di aiuto?». Una giovane donna dall’aria perplessa si è avvicinata a me. «Sì, per favore. Voglio andarmene di qua, rivoglio il mio ragazzo, rivoglio la mia casa, rivoglio la mia vita. Non me ne frega niente di questo lavoro e di fare carriera!».  Non so come, ma pochi minuti dopo mi sono ritrovata seduta sul divano beige di sono ritrovata seduta sul divano beige di Lama, la mia soccorritrice, in un soggiorno che profumava di lavanda e vaniglia,  con una tazza di tè caldo tra le mani.

Quando mi sono finalmente calmata, mi è venuto un attacco di riso isterico. Mi sentivo ridicola, patetica, stupida. Mi sono scusata con Alma per la scena alla quale aveva assistito rassicurandola sul fatto che non fossi una pazza. Le ho raccontato tutta la mia storia e la mia difficoltà ad ambientarmi in quel posto lugubre e triste. «A due passi da qui c’è il centro della nostra cittadina dove trovi qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno. Perfino una discoteca, pensa. Evidentemente non hai mai messo il naso fuori dal tuo appartamento, non hai mai fatto un giro nella zona. Pensavi che oltre quella strada ci fosse il nulla?». In effetti mi immaginavo una grande palude e poi il purgatorio. Alma sorrideva perché ci era passata anche lei. «Ma se non ti viene voglia di guardarti intorno, oppure non lo vuoi… Forse semplicemente non era questo ciò che desideravi davvero».

Le ho raccontato di Sandro e lei mi ha suggerito di invitarlo per il fine settimana e di portarlo a spasso per le vie della cittadina che non avevo ancora visitato. Mi è sembrata una buona idea e così l’ho invitato a raggiungermi per il fine settimana.

Dopo quella prima visita, ne sono seguite altre. Sandro sembrava entusiasta di venirmi a trovare e, stranamente, c’era sempre Alma con noi. Non è stato difficile per me capire che Sandro e Alma si piacevano e, probabilmente, si vedevano di nascosto. Dopo un mese, un sabato sera, ho sorpreso Alma mentre accarezzava il viso di Sandro sul pianerottolo. Lui era arrivato senza avvisarmi e io non mi aspettavo la sua visita per quel fine settimana. Ho avuto l’ennesima crisi di nervi e, in preda al pianto, ho preso la mia borsa, sono salita sull’auto di Sandro e ho guidato fino in città. Non volevo più restare un solo minuto con quel traditore e non sapevo dove andare. Il mio cellulare continuava a squillare, Alma e Sandro non smettevano di cercarmi.  Sicuramente Sandro era più preoccupato per la sua auto che per me, mi dicevo.

Arrivata in città, mi sono sentita a casa. All’improvviso ho capito che avrei rinunciato al mio lavoro. Non mi interessava far carriera a quel prezzo, perché, in realtà, quel lavoro non mi piaceva affatto, anche se mi faceva sentire considerata e apprezzata dagli amici e dai parenti che mi vedevano come la laureata in marketing che stava facendo carriera in una grande azienda alimentare. Avevo accusato Sandro di non voler lasciare la sua zona di comfort e io adesso avevo deciso di tornarci.

Le settimane che sono seguite sono state infernali. Sandro avrebbe voluto trasferirsi nel mio appartamento  perché gli piaceva il posto e voleva  stare con me, ma io non gli credevo  perché sapevo che si era infatuato di  Alma. Così ho preso una drastica decisione: mi sono licenziata da quel lavoro che mi ero fatta andare bene e sono tornata a vivere nella mia città. Quando sono tornata nel nostro appartamento, ho trovato tutto come lo avevo lasciato: i libri, i cd di musica accatastati nella libreria, i quadri, gli aromi sulla mensola della cucina, le riviste e i corsi di grafica che avevo stampato per Sandro e lasciati in vista sulla scrivania dello studio.

All’improvviso ho capito che tormentavo Sandro perché cambiasse lavoro e studiasse grafica quando, in realtà, ero io quella che avrebbe voluto studiare grafica. Perché era quello il lavoro che mi sarebbe piaciuto fare, ero io la vera creativa della coppia, non lui.

A Sandro non piaceva lavorare come commesso nel negozio di ferramenta, ma non amava particolarmente nemmeno fare il grafico nonostante avesse una grande dimestichezza con l’informatica e il computer. Lui non sapeva ancora cosa fare della sua vita e così mi ero messa in testa di pianificargliela io. Avevo semplicemente proiettato su di lui quelli che erano i miei bisogni, i miei progetti. Così mi sono iscritta a un corso di grafica. Nel frattempo, per mantenermi ho fatto la cameriera in un ristorante del centro.

Da quel momento è passato quasi un anno. Sto iniziando ad avere qualche cliente importante e la mattina mi diletto a costruire banner pubblicitari, disegno illustrazioni e curo la mia pagina social che sta avendo un buon seguito. Nel frattempo, dopo la mia fuga, Sandro è tornato a vivere dai suoi genitori. Ci siamo persi di vista, poi ci siamo cercati, riavvicinati e di nuovo allontanati, pieni di orgoglio e di risentimento. Una famosa canzone di Antonello Venditi recita: “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”. A me è capitato quando sono tornata a casa.

A volte, per capire qual è il tuo vero posto devi uscire dalla tua zona di comfort per poi tornarci con una nuova consapevolezza. E così è successo con il mio amore per l’illustrazione e la grafica che credevo di aver messo da parte per inseguire altri progetti che in realtà non mi rendevano felice. Quella passione alla fine è tornata prepotente a farsi sentire dentro di me. E così è successo anche tra me e Sandro che, da una settimana, è tornato nella nostra città, nel nostro appartamento, sul nostro divano. È tornato da me.

● © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Articolo pubblicato su Confidenze n. 38 2022

Confidenze