Una notte senza regali

Cuore
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Il cuore in subbuglio e neanche un filo di luci per rendere calorosa la casa. Davvero un bel programma. Ed ecco che arriva una telefonata inaspettata. E un lieto fine

STORIA VERA DI MIRIAM S. RACCOLTA DA ANNALUCIA LOMUNNO

In testa quel film con Cameron Diaz, L’amore non va in vacanza, che ustionava da anni, con rovinosi effetti collaterali, il mio inguaribile animo romantico. I miei occhi, poi, sempre imbevuti di progetti non realizzati, di paradisi temporanei con inesorabile data di scadenza, di porte socchiuse sul futuro violentemente divelte. La realtà di quello che restava faceva male. Come un vecchio orologio da polso che arrancando sfidava i battiti del cuore, le piccole e grandi sconfitte sentimentali da vivere a testa alta, e poi la noia, quella noia che brillava un sacco, sempre. La prospettiva di trascorrere da sola il Natale, l’ultimo dell’anno, queste vacanze di colpo interminabili senza un compagno, un amante, un imprecisato lui. Senza neppure uno straccio di regalo, le aspettative di una sorpresa, i misteriosi indizi di un amore nuovo, l’inizio di una passione appena nata. Mi toccava infilarmi in una sfilza di giorni oscuri di cui non intravedevo il fondo. Una confusione in testa non ancora decifrata che sembrava uno scialle urticante, un’esuberanza da inventarsi per simulare un’emozione rassicurante. La mancanza vera, il ricordo di un legame passato troppo invasivo, uno spazio interiore vuoto che non trovava cose degne di essere vissute. Una febbre eterna, un continuo divenire che non era bellissimo, che non entusiasmava, la voglia di fare qualcosa che mi scuotesse, che mi salvasse dal fango. Avevo la ferma intenzione, nonostante le idee confuse, di prenotare subito un volo per chissà dove. Ma non prima di aver consultato dei siti Internet per scambiare la mia casa con quella di una sconosciuta, proprio come in quel film che ormai scandiva e benediceva, scena per scena, tutti i singoli istanti delle mie giornate pre-natalizie piuttosto disarmanti. Navigando in Rete giorno e notte avevo trovato un universo di felicità geografiche di cui non sospettavo neanche l’esistenza. Potevo avere anche la possibilità di affittare le stanze della mia casa, di ospitare qualcuno, di offrire il mio divano a un perfetto sconosciuto che abitava dalla parte opposta del globo. Una faccenda che sembrava intrigante e che assomigliava molto all’esperienza giusta per me. In fondo la frase più martellante e straordinaria di quel film che mi portavo addosso come una febbre e una malinconia aveva il sapore di una sfida: “I viaggi finiscono laddove si incontrano gli amanti”; era Shakespeare, era un lieto fine, erano sorrisi autentici e non più quelle mie eterne sopracciglia severe nello specchio. Era quel desiderio di credere ancora che l’amore vero non osasse andare mai in vacanza. Non pensavo ad altro, e di colpo pareva che il destino volesse anche leggermi nel pensiero.

Perché, proprio mentre cercavo di inserirmi in questa dimensione del tutto inesplorata, ricevevo la telefonata di un’amica che non vedevo dai tempi dell’università. Io pugliese, lei marchigiana, eravamo due fuori sede a Roma. Ci siamo laureate in Lingue, ma io dopo gli studi sono ritornata a Lecce, mentre lei, poco più che ventenne, ha deciso di seguire un suo fidanzato francese a Marsiglia. Me la ricordavo a stento, però sono bastate poche parole per ritrovare un’affinità da studentesse che alleggeriva l’anima. Quasi quarantenni, poco più che adolescenti. Imma (all’improvviso mi tornava in mente quanto detestasse il suo nome per intero… Immacolata) mi diceva che sarebbe venuta in Puglia per Natale e che avrebbe voluto rivedermi e fermarsi nella mia città. Non ci ho pensato due volte e le ho detto che poteva considerare il mio salotto la sua personale dépendance e che avremmo condiviso ricordi e itinerari turistici. La bellezza di questo nuovo incontro, di questo ritrovarsi, di quest’ascensore venuto su da un pozzo come una luce aveva in sé qualcosa di incredibilmente fatale perché entrambe eravamo insegnanti, lei in Francia, io qui, a due passi da casa mia. Entrambe avevamo appena lasciato fidanzati abbastanza inquietanti. Il tipo di Imma pretendeva che lei si tingesse i capelli di rosso, di biondo e poi di nero (lei era fortunatamente, orgogliosamente castana) solo per soddisfare le sue fantasie erotiche. Il mio, invece, aveva attaccato al frigorifero una calamita che dichiarava a chiare lettere: None is like you. Certo, nessuna era come me, e nessuno era stato come lui: il cosmopolita che si dilettava con le dichiarazioni d’amore flirtava con le vicine di casa e non era neanche bello.

E io mi ritrovavo sola, senza addobbi da sparpagliare in giro, nemmeno l’ombra di un filo di luci con cui segnare il perimetro delle stanze, ma con un numero imprecisato di turbolenze del cuore. E intanto dovevo consentire a questa incredibile novità di addolcire il ritmo, di frenare il peggio, di riscrivere giornate di cui ancora non sapevo perché Imma era spassosa e allegra. E io, sempre così melodrammatica e lacrimosa, ne avevo proprio bisogno. La prima cosa da fare era ovviamente pensare alla sua camera. No, non potevo relegarla in salotto, le avrei ceduto la mia piuttosto. Non era un granché, ma l’avrebbe preferita di sicuro al divano letto. E dire che proprio quando eravamo matricole, io avevo una vera e propria ossessione per i mobili, per le camere, per gli spazi. Mi ripetevo che non appena fossi diventata indipendente avrei dato un’identità precisa alla mia casa. Pochi pezzi, ma esclusivi, belli, di gusto. Il letto con una testata di legno naturale, i comodini cilindrici, l’armadio laccato lucido bianco, le poltrone in tinta neve. Sì, la neve; il Natale mi piaceva e mi piaceva sognare, aspettare le cose come se fossero un dono, come se non dovessero esserci mai fantasmi in agguato pronti ad appropriarsi dei miei luoghi del cuore. Invece era andato tutto letteralmente storto perché negli anni non avevo avevo accumulato i mobili giusti, le scelte giuste. E avrei preferito dormire per sempre nella cuccetta di un treno, piuttosto che affrontare con spietatezza l’analisi del mio diario sentimentale.

Ma Imma era arrivata a salvarmi, forse, o a sconvolgermi l’esistenza per sempre perché, a due giorni da quel Natale senza regali, aveva inviato uno sconosciuto alla mia porta. Suo fratello. Sì, all’ultimo minuto mi aveva detto che lei non poteva più partire bloccata a letto da un’influenza feroce e che un altro passeggero avrebbe vissuto quell’avventura con me. Era forse la rivolta che aspettavo da tanto tempo? Fabrizio era bello, sì, lui sì. E poi spiritoso e colto e attento e sensibile, e a me pareva addirittura un privilegio concedergli quegli spazi che non sentivo più miei. Non ci è voluto tanto, abbiamo fatto l’amore nel mio, nel suo letto, in un’atmosfera che sapeva finalmente di rinascita e di festa. In quella notte di Natale a elencare le cose che mi piacevano. C’era solo lui, ed era un indizio potente, un inizio.

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Pubblicato su Confidenze 52/2017

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