Un ospite a Natale

Cuore
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Leggi un'appassionante storia d'amore del Calendario dell'Avvento di Confidenze. Oggi è il 9 dicembre e tocca a: Un ospite a Natale

Storia vera di Saveria B. raccolta da Barbara Benassi

 

Alla larga dagli uomini. Questo era stato a lungo il mio credo, finché non ho incontrato Giovanni. La nostra storia d’amore, la più importante della mia vita, è iniziata la notte della Vigilia e ha dissolto in un colpo solo tutte le paure che avevo nel cuore 

 

Natale. Quanta magia in questa parola e al tempo stesso quante paure accendeva in me, proprio come le lucine di un albero addobbato a festa. Troppe, senza ombra di dubbio.

Durante gli anni della mia giovinezza, ogniqualvolta si avvicinavano le feste, riaffioravano ricordi pieni di ombre e un senso di affanno mi stringeva la gola. Ammetto che le immagini dei miei primi Natali avevano condizionato molto la mia vita. Ce ne saranno state anche di gioiose sparse nei miei ricordi di bambina, ma il pensiero di quella stanza buia, dove io e mia madre sole, davanti all’albero, facevamo finta che tutto andasse bene, non mi aveva mai abbandonata. C’erano troppa tristezza nei nostri tantomeno io potevamo dare loro. E una volta liberi, con i cuori e le coscienze molto più leggeri, erano corsi a cercare ognuno la propria vita.

Ai tempi avevo 20 anni e come loro avevo cercato anch’io di mettere insieme la mia, con quello che avevo: tanta voglia di serenità, di famiglia e di focolare. Erano traguardi raggiungibili e al tempo stesso indispensabili per me in quel momento, tanto che non avevo impiegato molto ad accantonare il monito che la mia mente aveva forgiato e che non faceva che ripetermi da tempo: ”Alla larga dagli uomini”. Perciò quando a 22 anni avevo conosciuto Andrea e mi ero sentita protetta e al sicuro, ogni remora era stata messa da parte. Era lui il ragazzo serio, affidabile e pieno di risorse con il quale avrei costruito una famiglia serena attorno a un focolare e finalmente dato consistenza ai miei sogni.

Subito dopo sposati però mi ero accorta che Andrea aveva un carattere particolare. Era un uomo corretto, che teneva alla famiglia, ma che purtroppo cadeva facilmente in preda a scatti di rabbia e si innervosiva con nulla. Dovevo stare attenta a come parlavo, a misurare le parole perché bastava niente per farlo infuriare. Mi ripetevo che era un modo di fare, che in fondo era un uomo buono, che non offendeva e non era volgare, che alzava solo la voce per inveire contro il destino, il fato e la malasorte.

In certi momenti sembrava che tutto l’universo tramasse contro di lui, un lamento rabbioso che, lo ammetto,finiva per infastidirmi sempre più. Ma lui era comunque la mia famiglia e famiglia significava anche sacrificio. Credevo forse che tutto fosse una passeggiata, come i miei genitori che se ne erano andati in giro senza sapere cosa fosse la responsabilità  verso gli altri, verso chi non ha colpe? E noi di figli ne avevamo due. Vilma e Luca, due angeli, e per nulla al mondo avrei messo in discussione la loro sicurezza e i loro i sacrosanti Natali.

Niente più tristezza, solitudine, buio, ma luce, addobbi, musica, canti e un albero enorme. Cibi deliziosi e tanta, tanta pace. Tutti insieme, una famiglia, la mia finalmente.

Per molti anni era andata così no a che tutto non è andato in pezzi, quando Andrea ha avuto un incidente e ci ha lasciati. All’improvviso ci siamo ritrovati in tre, soli, in quella casa nel centro di Roma. Ero ancora sotto shock sicuramente, ma subito avevo pensato ”Adesso davvero alla larga dagli uomini, Andrea mi è bastato”.  Con lui avevo costruito qualcosa e ora toccava a me mantenerlo vivo. Avrei fatto tutto da sola, senza compromessi e senza sopportare più nessuno.

Ogni Natale poteva comunque essere una festa per i miei gli e la famiglia ora eravamo noi. Fine. Così, anno dopo anno, avevamo iniziato a festeggiarlo con le persone sole che rimanevano nello stabile, bisognose di compagnia per il giorno più dolce e più difficile di tutti. La signora Zoe del primo piano per esempio. Era diventata nostra ospite da subito, parlava ad alta voce perché era un po’ sorda e irrompeva in fragorose risate che avrebbero risollevato il morale a chiunque. Ci era piaciuta subito, come la coppia di inglesi del terzo piano d’altronde, soli, lontani dai parenti, adorabili e sempre pronti a far baldoria per Natale con un buon bicchiere di vino.

Nel 2018 erano sei anni che mio marito Andrea ci aveva lasciati. Piano piano ci eravamo ripresi e mi apprestavo ai preparativi di un altro Natale. In quello stesso periodo un nuovo inquilino si era da poco installato nel palazzo. Mi era capitato di incontrarlo qualche volta nell’androne davanti al gabbiotto del portiere. Alto, moro, con qualche capello grigio, sempre con un sorriso gentile.

Un tardo pomeriggio di inizio dicembre, mentre ero davanti al computer, avevo sentito suonare alla porta. Il nuovo inquilino, rosso in viso, evidentemente imbarazzato, era in piedi di fronte a me e impugnava un’enorme chiave inglese.

Giovanni, dopo essersi presentato, aveva esordito tutto d’un ato: «La caldaia mi ha abbandonato. Sono rientrato da poco dal turno, volevo farmi una doccia. Il portiere non c’è più e il fai-da-te non ha funzionato. Hai un numero che posso chiamare per uscirne vivo?».

Mi fece tenerezza. Malgrado le occhiaie profonde, gli occhi arrossati e l’aria sfinita, sorrideva gentile e rilassato, arreso agli eventi avversi. Lo invitai ad entrare e, mentre cercavo il numero dell’idraulico, dissi senza quasi rendermene, conto: «Il tecnico potrà venire domani, credo. La doccia per stasera, tu e la tua famiglia, potete anche farla qui da noi».

Non so come, ma l’idea di dividere il mio bagno con quello sconosciuto con probabilmente moglie e gli al seguito, mi sembrava la cosa più normale del mondo. Giovanni, dopo un primo momento di stupore, sempre rosso in viso, aveva risposto che era una offerta gentilissima, che non dovevo e che comunque a docciarsi sarebbe stato solo lui. Era un medico, divorziato da più di otto anni ormai e suo figlio, medico anche lui, viveva a Buenos Aires.

Confesso di essermi sentita sollevata, saperlo solo mi aveva indotta a insistere ulteriormente spinta da una rinnovata generosità, tanto che lui aveva finito per accettare. In fondo era quasi Natale e una buona azione e una doccia al volo non si potevano negare a nessuno. Ma la mia cortesia era ormai fuori controllo.

Il giorno dopo, visto che il mio lavoro di traduttrice aveva il vantaggio di farmi lavorare da casa, mi ero offerta di seguire il tecnico mentre riparava la caldaia nel suo appartamento, mentre Giovanni era in ospedale. Così per una doccia e un’occhiata all’idraulico era nata la nostra amicizia. Dopo una prima cena a casa sua preparata per me e per i bambini, per sdebitarsi aveva detto, ne seguirono altre a casa nostra.

Giovanni, malgrado alcune volte fosse stanco e non sempre il suo lavoro fosse piacevole, a noi riservava sempre la sua parte migliore, il suo buon umore e la sua dolcezza. I bambini finirono per adorarlo e a considerare vere e proprie feste le occasioni in cui ci incontravamo. Da quando era scomparso il loro papà, avevano riacquistato autentica allegria.

Una sera mentre stavamo finendo la cena, mio figlio Luca con la forchetta sospesa in aria aveva detto che gli sembrava di stare come quando il suo papà era ancora vivo. Non aveva mai parlato prima del padre con nessun adulto e credo fosse stata la dolcezza di Giovanni a farlo sentire a proprio agio.

Giovanni in un primo momento era rimasto in silenzio poi aveva sorriso e aveva detto che era contento di farlo sentire bene come quando c’era ancora suo padre. Luca aveva annuito e aveva ripreso a mangiare visibilmente sollevato e Vilma a sua volta aveva sorriso certamente rincuorata dal fatto che il “grande assente” fosse stato nominato e onorato.

Dopo aver messo a letto i bambini e mentre mi apprestavo a salutare Giovanni sulla soglia, ho sentito la mia voce pronunciare: «A Natale se non hai altri inviti, perché non vieni da noi?».

Ero stupita di me stessa, della mia incontrollabile spontaneità. Come poteva non avere altri impegni? O magari aveva i turni in ospedale… Giovanni però non era sembrato sorpreso.

Con lo sguardo sempre sereno mi fissava sulla soglia. «Mia sorella. Di solito il Natale lo passo da lei e ogni anno tenta di piazzarmi con qualche sua amica disperata, ma per fortuna per le feste quest’anno parte per la Sicilia con il marito e i bambini per andare a trovare nostra madre. Così il 25 lavoro, ma il 24 sera molto volentieri».

Era fatta, per Natale avremmo avuto un nuovo ospite, un invitato che, anche se non volevo ammetterlo, per me cominciava a essere speciale.

A mano a mano che ci conoscevamo trovavo sempre più piacevole ricominciare a parlare con un uomo che non fosse solo per lavoro, un uomo dolcissimo tra l’altro. Mai uno scatto di nervosismo, mai un tono di voce fuori dai canoni. Questo mi spiazzava e mi spaventava in quanto metteva di nuovo seriamente in discussione il mio assioma: ”Alla larga dagli uomini”.

Le giornate di quel dicembre del 2018 volavano veloci, come solo in quel mese succede, e tra una biografia di un dj famoso e un romanzo di un’autrice austriaca emergente, il menù del cenone natalizio prendeva forma nella mia mente.

Finalmente la sera del 24 arrivò. Mi sentivo emozionata, troppo, e proprio per questo non facevo che ripetermi: ”Alla larga dagli uomini” . Anche i bambini erano eccitatissimi e vederli correre intorno al tavolo, ridere sereni e arrossati in viso, era un piacere. Giovanni si era presentato un’ora prima con due bottiglie di bollicine e il “buccellato”, un ciambellone lucido e profumato, dall’aspetto antico e meraviglioso che la madre gli mandava ogni anno dalla Sicilia per Natale. Per rendersi utile si era unito ai bambini che avevano iniziato a preparare la tavola, ad affettare il pane e ad accendere le candele.

Quando le lasagne al ragù di pesce erano ormai pronte, era ora di scendere al primo piano per aiutare la nostra vicina che, vista l’età, faticava a camminare da sola. Giovanni si era offerto come cavaliere e dopo una decina di minuti era ritornato con una signora Zoe raggiante al suo fianco come non l’avevo mai vista fino ad allora.

Dopo poco erano arrivati anche i coniugi inglesi carichi di frutta secca, vino e cioccolate. Eravamo al completo, così ci sedemmo e iniziammo a mangiare.

Quell’anno lo ricordo con un sottile piacere. Con mio stupore mi ero resa conto che non solo ero molto rilassata, ma che, anche in presenza di un uomo al quale tenevo, potevo essere a mio agio, senza il timore di dire la parola sbagliata, per la prima volta tranquilla di esprimermi appieno. Ero serena e di ottimo umore. Proprio per questo, tra una risata e l’altra, sempre con meno convinzione, non facevo che ripetere a me stessa: “Alla larga dagli uomini”.

La serata era volata, ci eravamo divertiti molto e Giovanni era stato amabile sempre e con tutti. Aveva viziato l’anziana signora Zoe che non aveva smesso di sorridergli estasiata. Il vicino inglese era particolarmente contento di poter finalmente condividere la sua vasta conoscenza di vari tipi di whisky con qualcuno tanto appassionato quanto lui. Insomma, una serata in totale armonia che si era protratta più a lungo del solito.

Verso le due del mattino, i bambini erano già da tempo a letto, crollati loro malgrado, gli inglesi sul pianerottolo e la signora Zoe aggrappata al braccio di Giovanni pronta a essere riaccompagnata di sotto. La serata poteva dirsi conclusa così, ma non per me. Dopo pochi minuti, Giovanni era risalito e con un’aria sorniona era rimasto sulla soglia a fissarmi con un’intensa dolcezza negli occhi. In quel momento sarei fuggita, una paura folle aveva iniziato a stringermi alla gola. La porta, dovevo chiudere la porta, ma poi lui aveva iniziato a parlare.

«Voglio ringraziarti per questo Natale bellissimo. Domani andrò a lavorare felice perché questa serata me la conservo nel cuore». Non sapevo cosa dire, lo fissavo muta, col cuore in gola e il motto ”Alla larga dagli uomini” sempre stretto tra le labbra. Mi sentivo improvvisamente rigida e paralizzata dal timore di quell’esperienza che sentivo completamente nuova e mai provata prima. Lottavo contro un fiume in piena che mi stava travolgendo.

Giovanni, non so come, doveva aver percepito la mia angoscia e con un sorriso aveva posato gli occhi sul vischio appeso proprio sopra lo stipite della porta di ingresso.

«Non aver paura» disse indicando il rametto, «siamo protetti dalla dea Freya,protettrice dell’amore e degli innamorati. Per amore di suo figlio ringrazia chiunque si scambi un bacio sotto il vischio, concedendogli la sua protezione nella vita amorosa, quindi ti prego Saveria stai tranquilla…» aggiunse con un lieve sussurro.

Mi sentii venir meno. Il suo sguardo…come resistergli? ? Ci baciammo lungamente e con tenerezza sulla porta di casa.

La mia storia con Giovanni, una storia d’amore meravigliosa, la più importante della mia vita, che ha dissolto in un sol colpo tutte le paure e motti del mio cuore è iniziata quella notte di Natale e dura tutt’oggi. Continuiamo a vivere in case separate all’interno dello stesso palazzo, lui solo e io con i miei figli, innamorati quanto me di quell’uomo.

Anche per questo Natale, condivideremo la tavola di casa mia con i nostri amici di sempre, i coniugi inglesi e la signora Zoe, oltre che naturalmente Vilma e Luca. Non sempre l’amore ha un prezzo troppo alto come pensavo. A volte è autentico e al tempo stesso leggero e delicato come un…rametto di vischio.

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Pubblicato su Confidenze n. 1 2021

 

 

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