In una notte

Cuore
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“In una notte” di Anna Magli, pubblicata sul n. 5, è la storia vera più apprezzata dalle lettrici questa settimana. Ve la riproponiamo sul blog

 

Sono le tre del mattino, mi sento sveglio e lucido come non mai, tra poco lascerò mia moglie. Le ho scritto una lettera, le ho chiesto perdono per averla tradita, lei capirà. Poi è un attimo, la guardo dormire, e ogni certezza svanisce nel suo profumo

Storia vera di Stefano R. raccolta da Anna Magli 

 

È mezzanotte passata e spengo la luce. Nel buio della stanza un unico raggio di luna illumina il volto di mia moglie che dorme accanto a me. Il suo viso è disteso, posso quasi vedere un accenno di quel sorriso fiducioso che non l’abbandona mai. Una ciocca di capelli si è liberata dalla fascia di seta rosa che li trattiene e disegna una virgola d’argento sulla sua guancia. La sua pelle è ancora fresca, poche rughe solcano il suo volto, le lunghe ciglia sigillano le palpebre immobili da qualsiasi sogno. Ha sempre avuto un sonno profondo Benedetta, anche quando, appena sposati,  eravamo sempre in difficoltà. Io ero un fascio di nervi e immagazzinavo tutto: così la notte la passavo sveglio a fare conti e a guardarla dormire. Immobile accanto a me, mentre dal suo corpo si sprigionavano calore e serenità: immersa nella sua incrollabile fiducia nel nostro amore e nella buona sorte. E alla fine aveva sempre ragione lei: lentamente ogni cosa andava al suo posto, i soldi arrivavano e i debiti calavano. È sempre stata il mio porto sicuro, non c’era situazione critica o emergenza che lei non sapesse risolvere con le infinite risorse che le derivano dal suo carattere. “Un passo alla volta” era il suo motto preferito: senza fretta e con un grande senso pratico, metteva a fuoco il problema e attivava tutte le risorse che servivano a risolverlo.

È stata una bella vita la nostra. Siamo riusciti a laurearci mentre lavoravamo e a crescere due figli. All’inizio è stato faticoso studiare e lavorare con un bimbo in arrivo e poi vivere con un neonato in una casa di 50 metri quadrati. Benedetta portava Luca a fare lunghe passeggiate mentre io studiavo per dare gli esami o mi riposavo per il lavoro notturno che mi permetteva di mandare avanti la famiglia. Lei si era già laureata e dava lezioni private perché con il bimbo piccolo non era ancora riuscita a fare un concorso. Dopo i primi anni è stato tutto in discesa: il mio lavoro come chirurgo nell’ospedale della nostra città, il suo di insegnante al liceo. Poi i figli sono cresciuti, se ne sono andati per la loro strada e siamo rimasti noi due. Benedetta è andata in pensione, mentre io non ho mai smesso di lavorare completamente, non per necessità ma per piacere. Sono un bravo ortopedico e mi cercano sempre per consulenze. Lei si è dedicata completamente a me e alla nostra casa, rendendola un luogo pieno di calore dove non manca mai un figlio o un nipote a pranzo o a cena, spesso più di uno. Facciamo qualche viaggio, ci piace scoprire nuovi ristoranti, andare ai concerti e a teatro. Benedetta è stata la compagna ideale di una vita vissuta pienamente. Le ho sempre invidiato quella serenità interiore. Poi, un giorno, è arrivata lei, Tatiana. L’ho conosciuta in ospedale. Una giovane fisioterapista che mi hanno affiancato in reparto: 20 anni  meno di me, libera e determinata a ottenere quello che vuole. All’inizio la sua corte sfacciata mi divertiva. Mi piaceva l’idea di esercitare ancora un certo fascino, di essere corteggiato. Una volta mi ha mandato un fascio di rose rosse, un’altra mi ha fatto trovare nella posta elettronica una sua foto in costume da bagno. All’inizio l’ho presa in ridere, ne ho addirittura parlato con Benedetta, tanto ero lontano dall’idea di essere coinvolto. Poi, non so come, durante un convegno fuori città ci siamo trovati a letto insieme, in una lunga notte di passione che ha risvegliato fino all’ultimo dei miei sensi assopiti. Sono tornato a casa sconvolto, mi sentivo in colpa e volevo confessare quello che avevo fatto: ero spaventato da quello che mi era successo e nella mia incoscienza ho pensato che parlarne con lei, come ho sempre fatto in questi anni, mi avrebbe aiutato a capire.

 

Avrei voluto sedere accanto a mia moglie e dirle semplicemente: “Benny,  è successo questo. Non ti dico che non volevo perché sarebbe una bugia. Ho ancora voglia di sentirmi vivo, desiderato come uomo, provare emozioni un po’ più forti della vita che stiamo conducendo”. Questo volevo dirle, avevo già le parole giuste per esprimere il mio disagio e la mia infelicità per quanto era successo. Quando sono tornato a casa, quel giorno, c’erano Milo e Michela, i miei nipoti gemelli, e Benedetta stava preparando la cena. Mi ha guardato stupita, dovevo aver scritto in faccia tutta la mia disperazione. «Ne parliamo quando i bambini dormono» mi ha detto.

Poi, a letto, tutto il mio coraggio se ne è andato e le ho raccontato una balla, mi sono inventato un litigio con un collega. Lei ci ha creduto. Ora sono le tre del mattino. Mi sento sveglio e lucido come non mai. Come se un’energia sconosciuta mi spingesse a ripensare a quello che ho vissuto in questi mesi, a quello che sto per fare. Non volevo che finisse così, non volevo che Benny vestisse lo squallido ruolo della moglie tradita e io quello ancora più misero del marito infedele, dopo 40 anni di matrimonio. Quello che è successo dopo però ha ripercorso tutti i cliché più banali delle storie clandestine, mentre io mi ero illuso che nel nostro caso il tradimento rivestisse toni meno dolorosi,  come se si potesse tradire con dignità. Io, la dignità , l’ho persa subito per strada. Incontri clandestini, bugie per non rientrare la sera, telefonate a ore assurde. Benedetta non ha capito o ha finto di non capire. Ho vissuto questi mesi come in tranche, diviso tra l’amore per mia moglie e la passione per la mia amante. Mi sentivo un uomo spezzato in due. Uno che usciva dando un bacio sulle labbra alla moglie e che si infilava nello sgabuzzino delle scope dell’ospedale per toccare la sua amante come un adolescente in preda a una tempesta ormonale. Alla sera l’ascoltavo raccontare con quel suo tono leggero che ho sempre adorato le piccole vicissitudini della giornata e intanto pensavo a Tatiana nuda che mi stringeva fra le sue braccia. Mentre baciavo la mia amante, il suo viso si sovrapponeva a quello di Benedetta che mi guardava seria in silenzio. Un tormento a cui volevo porre fine, in un modo o nell’altro. Volevo fare una scelta, sentivo che la dovevo a entrambe. Dovevo solo trovare il momento giusto per guardarmi dentro e capire cosa volevo veramente.

Poi, qualche giorno fa Tatiana, dopo aver fatto l’amore nel suo letto, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: «Quanti anni hai Stefano? Quasi 65. Vuoi passare quel che ti rimane da vivere, gli ultimi anni della tua esistenza sotto la campana di vetro del tuo matrimonio o vuoi  viverli insieme a me? Non importa quanto tempo sarà, ma perché ti vuoi negare questa esperienza? C’è un’unica cosa da fare, andare via. Non fra un mese, ma fra una settimana. In Svizzera, in un ospedale privato. Cercano chirurghi e fisioterapisti. Un cottage sulle Alpi, una vita nuova, un nuovo inizio».

Tatiana aveva già deciso per me: esiste qualcosa di più comodo di qualcuno che sceglie al posto tuo quando non sai dove sbattere la testa? Ne abbiamo parlato a lungo e alla fine mi ha convinto. Ho scritto una lettera a Benedetta, dove mi sono aperto come non mai e questa è l’ultima notte che passerò con lei. Le ho chiesto perdono, ma anche di capirmi. E sono certo che mi perdonerà perché mi ama e ha sempre messo il mio bene davanti al suo.

 

È quasi l’alba, Benny si è girata sull’altro fianco e io non vedo più il suo viso ma la sua nuca, le sue spalle. Mi ricordo quando il nostro primogenito ha avuto un pauroso incidente stradale e siamo stati una notte in pronto soccorso, in ansia. Le ho strette forte queste spalle che sembrano delicate e invece hanno sorretto la nostra vita per tanti anni. Le ho cinte per una notte intera. Senza guardarla in viso l’ho abbracciata stretta e sentivo che la forza per superare quell’angoscia arrivava da lei, che fra le mie braccia sembrava fragile mentre ero io quello che aveva bisogno di aiuto. Ed è sempre stato così. È stata lei a spronarmi a prendere un’altra specializzazione quando la mia carriera era ferma. Lei che ha trovato un ambulatorio dove ho iniziato la libera professione. Lei che ha fatto in modo che potessi concentrarmi sulla professione. Quanti anni mi restano per vivere la mia virilità? Quanto tempo ho per imparare a sciare con lo snowboard? Per visitare l’India? Per girare la Francia in moto? Perché Tatiana crede che queste cose siano così importanti per me? E soprattutto, perché io ho creduto che lo fossero fino a farmi coinvolgere in una storia di cui non mi sono mai sentito protagonista? Eppure ero io quello che si rotolava nel letto con una donna molto più giovane, io che mi immaginavo orgoglioso in un ristorante alla moda con accanto una che tutti si voltavano a guardare, io che non aspettavo altro che sentirmi dire che sono un bell’uomo, aitante e sexy e che merito molto di più che quello che ho. E sono sempre io quello che adesso, poco prima dell’alba, si sta chiedendo cosa vuole veramente e chi è che si nasconde dentro a questo gomitolo di sentimenti confusi, di vanità nascoste e di profonda tristezza. Guardo la lettera che ho scritto a Benedetta, chiusa in una busta azzurra e nascosta sotto il suo profumo. Apro il flacone e annuso quel sentore di patchouli e muschio che Benny usa da una vita. Profumo di buono, di pulito con una nota intensamente sensuale. All’improvviso ho una gran voglia di stringerla, levarle quella camicia da notte di cotone a fiorellini, arruffarle i capelli e prenderla con forza. Farle sentire che sono ancora un uomo pieno di passione, che la desidero, che voglio baciare i suoi seni e le sue cosce. Ho voglia di fare l’amore con mia moglie. All’improvviso tutto è chiaro. Straccio la lettera in mille pezzi e la nascondo in fondo alla spazzatura. Mando un messaggio a Tatiana che fra un’ora mi aspetta sotto casa con le valige pronte: “Non verrò. Scusa non voglio essere un uomo diverso da quello che sono. Grazie di tutto”.

Poi mi faccio la doccia e rientro nel letto. Benny si gira assonnata, apre gli occhi e mi fissa. Devo avere uno sguardo speciale, forse un po’ spiritato perché scoppia a ridere e ride ancora mente le sfilo la camicia e la lascio nuda nella sua matura bellezza che adesso mi pare impagabile. «Be’, che dire?» mi dice dopo, quando riposiamo uno nelle braccia dell’altro. «Sarà sicuramente un buon giorno».

Vorrei dirle tutto e non è detto che un giorno non lo faccia. Ma ora la stringo con forza, pensando con terrore a quello che avrei perso se stanotte non mi fossi fermato a riflettere, a chiedermi cosa volevo e a capire che quel che desideravo è sempre stato qui, fra queste braccia, in questa casa, in questa vita.

 

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