I cani e i lupi di Irène Némirovsky

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Un romanzo scritto nel 1939 che ci racconta due modi estremi di essere ebrei

Agli occhi degli ebrei che vi abitavano, la città ucraina, culla della famiglia Sinner, era divisa in tre aree distinte, come certi quadri antichi: in basso i dannati, fra le tenebre e le fiamme dell’inferno; al centro della tela i comuni mortali, rischiarati da una luce pallida e quieta; in alto il regno degli eletti. Nella città bassa, vicino al fiume, viveva la marmaglia – ebrei infrequentabili, piccoli artigiani e commercianti in squallide botteghe a pigione, vagabondi, frotte di bambini che si rotolavano nel fango e parlavano solo yiddish, vestiti di stracci, con enormi berretti sui colli esili e sui lunghi boccoli neri. Molto lontano da questi, in cima alle colline coperte di tigli, fra le abitazioni degli alti funzionari russi e quelle degli aristocratici polacchi, c’erano alcune belle case appartenenti a ricchi israeliti. Avevano scelto quella zona per l’aria pura che vi si respirava, ma soprattutto perché in Russia, all’inizio del secolo, sotto il regno di Nicola II, la presenza degli ebrei era tollerata solo in determinate città”.

Conosciamo Ada Sinner da bambina, a Kiev, nella parte bassa della città, quella dove vivono gli ultimi, non importa l’etnia, conta il portafogli vuoto o quasi. Ada appartiene alla ‘marmaglia’ (il termine è quello utilizzato dalla Némirovsky) ebrea, vive con il nonno e con il padre, quest’ultimo di professione rivenditore di qualunque cosa gli ebrei della parte alta, quelli ricchi, possano desiderare. Ada cresce insieme al cugino Ben, che è anche il suo migliore amico. Quando la sommossa popolare antisemita arriva anche in Ucraina (pogrom) Ada e il cugino riusciranno a trovare rifugio in collina, da parenti agiati. Qui conoscerà, e si innamorerà perdutamente, del cugino Harry. Elegante, sensuale, agli occhi di Ada è perfetto. Lei, per Harry, una cenciosa. Dall’Ucraina dovranno allontanarsi tutti, per tentare una via di salvezza: la troveranno, crederanno di trovarla, a Parigi. Qui, Ada e Ben si sposeranno. Qui, mi fermo.

I cani e i lupi è l’ultimo libro che la Némirovsky scrisse, siamo nel 1939, e l’autrice si era appena convertita al cattolicesimo. Il romanzo, scritto in lingua francese, fu pubblicato nel 1940. Due anni dopo Irène fu deportata, nonostante non fosse più ebrea, ad Auschwitz dove morì, stroncata dal tifo, un mese dopo l’arrivo.

Se avete già letto altri romanzi di questa strepitosa autrice, sapete che non potete aspettarvi altro se non pagine perfette. Pagine come sempre coraggiose e preziose: Irène, come aveva già fatto in David Golder, sfrutta lo strumento letterario per consegnare un ritratto dal vivo di un tempo e di una condizione umana ben definita, quella di una donna ebrea calata in una “comunità” tutt’altro che coesa. Ben e Harry, le due figure utilizzate nel libro, i protagonisti che vivranno ai lati di Ada, stritolandola, rappresenteranno due ‘tipi’, due modi estremi di essere ebrei: i cani e i lupi. Ada e Ben, Ada e Harry, Ben contro Harry, Harry e sua moglie Laurence. Chi abbaglia, chi sbrana, chi si lecca le ferite, chi ulula alla luna. Non aspettatevi un romanzo d’amore classico o romantico. Quando si tratta di Irène è tutta un’altra fantastica – non leggetela mai con il senno del poi, non leggetela da martire, lei lo avrebbe detestato – storia.

Irène Némirovsky, I cani e i lupi, Adelphi

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