di Tiziana Pasetti
Trama – Martin, di mestiere giurista, ha 76 anni, una giovanissima moglie di nome Ulla e un delizioso bambino che di anni ne ha sei, David. Indole curiosa, età mentale in netta contrapposizione con quella anagrafica, Martin vive con entusiasmo e propensione, energia. Energia che a un tratto comincia a lasciare spazio a un grande senso di stanchezza. Anemia e carenza di vitamine, si dice, e senza ansie eccessive si aspetta che la sua autodiagnosi venga confermata dal suo medico di fiducia. «Non più di sei mesi», è la risposta che si sente dare dopo aver svolto una serie di accertamenti da quel giovane e fidato professionista. Non più di sei mesi per concludere la sua esistenza terrena. Martin ascolta con stupore, stringe la mano del medico, invece dell’ascensore scende le scale lentamente, si avvia verso casa in taxi. Sei mesi. Deve dirlo a Ulla. Deve farlo capire a David (è talmente piccolo, anche se intelligentissimo…magari poche parole e una lettera per quando sarà più grande?). Ovviamente, e forse è la più difficile delle imprese, deve dirlo a se stesso.
Un assaggio – Caro David, un giorno ti chiederai come si poneva tuo padre nei confronti di Dio. Non l’ho mai incontrato. Mio padre invece sì e credeva in Dio, ma non ha mai voluto o saputo spiegare come fosse avvenuto quell’incontro. Io non so come funzioni. Se tu un giorno dovessi scoprirlo, purtroppo non farò in tempo a farmelo raccontare – peccato. A casa leggevamo la Bibbia, l’ho poi riletta anche dopo e devo ammettere che il Dio della Bibbia non mi piace. Perché ha voluto creare il mondo se poi non se ne occupa, abbandonandolo a se stesso? Per noia? Le vicende degli uomini dovrebbero servire a intrattenerlo? Se davvero desidera liberare gli esseri umani dal peso dei loro peccati, intento molto nobile, perché non lo fa e basta? Perché ha bisogno di un Cristo destinato a morire e a risorgere? A che cosa serve la promessa di un giudizio finale se abbiamo bisogno di giustizia adesso, in questo mondo, e non soltanto alla fine? Non vorrei demolirti il Dio della Bibbia, è solo che a me non piace e non ne ho incontrati altri che mi piacessero. Ci sono domande che in realtà non hanno risposte. Il Big Bang ha generato il mondo e l’evoluzione gli esseri umani. Perché? Perché non esiste il nulla? Perché esistiamo noi? Le religioni offrono risposte e le risposte danno un senso al mondo e agli esseri umani, nonché la misura del bene e del male al loro comportamento. Si vive più facilmente se le domande non rimangono senza risposta, vale a dire, se non siamo noi esseri umani a dover attribuire un senso alla nostra vita ma quel senso la vita lo possiede già, e se non dobbiamo prima elaborare e negoziare la misura del bene e del male ma ce la troviamo già stabilita.
Leggerlo perché – Se avete letto Il Lettore non c’è bisogno di dire altro, quella scrittura resta impressa e già solo leggere il nome dell’autore su una nuova copertina è un richiamo potentissimo. Poi il tema che guida la narrazione, la morte e la consapevolezza, il commiato dagli amori e da noi stessi, esseri per sempre sconosciuti. Un tempo si moriva sparendo pian piano, qualcuno (in genere i familiari) toglieva al soggetto l’autorità sul proprio commiato in molti casi anche nascondendo l’irreversibilità della malattia. Oggi tutto è cambiato, si muore in diretta, si racconta e si condivide. Si condivide il coraggio, si accetta la paura. Leggerlo perché Martin non è un eroe, è un uomo. Un uomo che con coraggio, placata la paura, stretto alla moglie e al figlio – aveva imparato presto, da giovanissimo, a non farlo più – piange. Come quando si nasce.
Bernhard Schlink, Il tempo che resta, Neri Pozza
Traduzione dal tedesco di Susanne Kolb