In cerca di Jane di Heather Marshall

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Un libro che parla di maternità nell'accezione più ampia: dai significati più accoglienti a quelli più repellenti. Una riflessione sul corpo della donna

Al centro della stanza c’è un vecchio tavolo da pranzo di legno coperto da un lenzuolo, con un piccolo cuscino piatto a un’estremità. Il lenzuolo è nero. Nancy si rende conto con un sussulto che probabilmente è scuro per mimetizzare le macchie di sangue di tutte le donne che si sono stese su quel tavolo in precedenza. Le fa venire in mente i drappi neri di un funerale. C’è un piccolo sgabello in fondo al tavolo, accanto a un carrello di metallo che sembra recuperato da un cassonetto dei rifiuti dietro una clinica. Ricorda vagamente un’attrezzatura ospedaliera, ma è pieno di ruggine e gli manca una ruota. Nell’angolo c’è un altro piccolo tavolo con un grosso flacone di disinfettante, un cestino dei rifiuti, alcuni strumenti metallici, degli strofinacci, e una radio che sembra decisamente incongrua in quel luogo. Sono gli strumenti ad attirare lo sguardo di Clara, che inizia a tremare. L’uomo chiude la porta alle loro spalle. «Bene, togliti i pantaloni e le mutandine e mettiti sul tavolo». (…) «Bevi questo» dice l’uomo porgendo a Clara una bottiglia. È senza etichetta, ma Nancy spera che sia dell’alcool per attutire il dolore. Clara butta giù tre grossi sorsi e poi sputa disgustata. (…) Al tavolino d’angolo l’uomo versa del disinfettante sugli strumenti – coltelli, bisturi, una sorta di lunga bacchetta e altri utensili – poi si siede sullo sgabello in fondo al tavolo e dispone gli oggetti sul vassoio accanto a sé. (…) «Dille di mordere questo» dice l’uomo a Nancy, passandole una vecchia cintura. Ci sono decine di impronte di denti lungo i bordi di cuoio marrone, e lei reprime un conato di vomito. (…) L’uomo impugna uno degli strumenti e scruta tra le gambe di Clara. Poi accende la radio e la mette a tutto volume”.

Tre donne e tre momenti temporali distinti per raccontare tre storie strettamente legate ma soprattutto per parlare di maternità nella sua accezione più ampia, quella che va dai significati più accoglienti a quelli più repellenti.

Siamo in Canada, a Toronto, nel gennaio del 2017. Angela trova una lettera all’interno di una scatola nel negozio di antichità e libri usati in cui lavora. Una lettera spedita nel 2010 e mai aperta prima. Dentro ci sono le parole di una donna che si firma mamma. La lettera è stata scritta e poi consegnata ad un avvocato con l’esplicita richiesta di recapitarla dopo la sua morte. La destinataria si chiama Nancy e nella lettera c’è una confessione: “non sono la tua vera madre”. Nancy la conosciamo ragazza, alla fine degli anni ’70, in una Toronto lanciata verso la modernità ma ancora legata al controllo ‘poliziesco’ del corpo della donna. Abortire non era legale, per farlo occorreva rivolgersi a personaggi loschi che in cambio di soldi, tanti soldi, praticavano l’interruzione con modalità da mattatoio. Ma in quel tempo di terrore per le donne sole una associazione ‘carbonara’, Jane, riuscì a garantire a molte disperate una soluzione meno drammatica (almeno in termini di qualità medica), meno sporca, meno sprezzante. Conosciamo anche Evelyn. Siamo sempre a Toronto, nel 1960. La gravidanza nascosta di una ragazzina che ha perso il fidanzato con il quale avrebbe dovuto sposarsi a breve a causa di un infarto. Suo padre l’ha accompagnata in una struttura religiosa per trascorrere in anonimato i mesi della vergogna e per far nascere poi un bambino da dare in adozione. O meglio, da vendere a una coppia facoltosa.

Il romanzo ha un buon ritmo ma quello che conta è il tema, i temi. Il corpo della donna, l’autonomia della scelta, il significato del generare. Ancora oggi il dibattito in merito è ricco e le leggi confuse, distanti dalla complessità della vita.

Heather Marshall, In cerca di Jane, Piemme

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