Poteva succedere a noi. Lo pensiamo davvero?

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Sulla carta, davanti a fatto tragici ci immedesimiamo tutti nelle vittime. Ma davvero pensiamo che sarebbero potuti succedere anche a noi? Io non lo credo

Poteva succedere a noi è un articolo pubblicato su Confidenze in edicola adesso che mi ha fatto molto riflettere.

Il pezzo raccoglie i commenti di alcune mamme sulla vicenda della puerpera che, ancora ricoverata all’ospedale Pertini di Roma dopo il parto, per errore ha soffocato il suo bimbo appena nato. Un evento drammatico che ha scioccato soprattutto le donne, d’accordo all’unisono nel dichiarare che sarebbe, appunto, potuto accadere anche a loro.

Non mi soffermo sulla storia dolorosissima, per rispetto dell’atroce dolore della famiglia coinvolta.

Concentro, invece, le mie considerazioni sul fatto che quando sosteniamo che qualcosa di irricevibile potrebbe riguardarci personalmente, non siamo sinceri al 100%. Perché pur in preda a un senso di pietà che ci spinge a vederci protagonisti dell’avvenimento, nel subconscio ci trinceriamo dietro la certezza che da cose del genere noi non verremo mai sfiorati. Uno dei più grandi doni che Madre Natura ci ha regalato, infatti, è la fortuna di sentirci immuni alle disgrazie.

Fateci caso: le volte in cui parliamo di un evento bruttissimo che tocca qualcun altro, manifestiamo con empatica puntualità un mix di emozioni che spaziano dallo sgomento alla partecipazione, alla vicinanza allo sventurato. Ma a prevalere, comunque, rimane sempre una sorta di distacco, dettato dal considerarci assolutamente scevri da accadimenti del genere.

Quello che voglio dire, insomma, è che negli esseri umani batte un innato spirito di sopravvivenza che, con magnanimità, ci concede la sensazione di un futuro personale lontano anni luce da situazioni tragiche. Tant’è che non ci pensiamo mai al centro dei fatti letti sui giornali, né di quelli che sconvolgono la vita alle persone che conosciamo.

Questo atteggiamento comune a tutti, però, divide  il mondo in due. Con un emisfero abitato da coloro che esorcizzano le notizie nefaste rimanendo accanto agli interessati, ai quali forniscono prezioso aiuto, sostegno e conforto, come comparse generose d’animo.

Mentre nell’altro emisfero ci sono gli aspiranti protagonisti del film della vita. Ovvero, gente talmente lontana dall’idea di poter essere colpita da una sciagura, da diventare sprezzante del pericolo fino ad accaparrarsi il ruolo di primo attore.

In questa categoria metto quelli che in autostrada stanno appiccicati dietro a un’altra macchina senza tenere conto di ciò che può succedere in caso di una frenata improvvisa. Gli appassionati di montagna che finiscono sotto le valanghe per fuoripista organizzati in condizioni dichiaratamente sconsigliate. I maniaci dei selfie che si arrampicano sugli scogli per immortalare un’onda pronta a travolgerli. Tutti mossi dal credo «A me non può succedere».

Cosa dire a tali persone? Fedele a quel che mi è stato insegnato, ricordo loro che il modo migliore per uscire dai guai è non entrarci proprio. Obiettivo non sempre raggiungibile, visto che non sappiamo cosa il destino abbia in serbo per noi.

Purtroppo, la soluzione per un’esistenza tutta in discesa non esiste. Ma è vero che all’istinto piacerebbe dare a chiunque una mano per non correre rischi inutili. Detto questo, l’ideale sarebbe riuscire a fare tesoro delle parole di Seneca, che invitava a «Vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo». Non da pavidi nel timore che accada qualcosa di brutto. Ma neppure da scellerati fingendo che le sfighe capitino solo agli altri.

Un equilibrio non facilissimo da trovare, ma tentar non nuoce.

Confidenze