Penelope di Silvana La Spina

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Penelope si racconta per la prima volta come donna, come madre, senza Ulisse al suo fianco

 

Tiziana Pasetti

 

Trama – Penelope non è solo la donna che attende un uomo tessendo una tela se non all’infinito quasi. Penelope è stata una bambina, una giovanissima donna, prima di entrare in un mito più grande e in ombra, quello di Odisseo oppure Ulisse. Penelope ha una storia sua come una storia ce l’abbiamo tutti, una storia che molto spesso in tanti non raccontiamo. Penelope sceglie una notte d’autunno per raccontarsi tutta: Ulisse è al piano di sotto che racconta gradasso agli amici ubriachi il suo viaggio di andata e lungo, lunghissimo, ritorno. Ad ascoltarla, zitta, Euriclea, acquistata dal re Laerte al prezzo di venti bestie e poi passata di rango al ruolo di moglie, la seconda, e di nutrice di Ulisse e custode della loro casa, allo stesso tempo regno e prigione. Racconta tutto, Penelope. Quello che sappiamo già, racconta della vita a Itaca, racconta di quando a Troia ci fu una guerra, racconta di quando Ulisse poi fece ritorno e la strage dei pretendenti. Racconta quello che non sappiamo, poi. La violenza carnale da parte del padre Icario, la gravidanza, i sotterfugi. La fuga. Il rapporto con Telemaco, figlio geloso. Racconta soprattutto, Penelope, il suo grande amore, il suo amore appassionato, per Cleone di Lesbo.   

Un assaggio – Crudeltà è sempre stata la tua vita – mi dicono che a Troia hai soffocato con le tue mani un compagno nel ventre del cavallo di legno, per timore che rivelasse a Elena la sua presenza; che tu stesso consigliasti ad Agamennone di sacrificare la piccola Ifigenia, e non Calcante come vai dicendo – quanto sangue poi da quel consiglio. Quanto male, quanti morti, Odisseo. E rimorso imperituro per il giovane Oreste, ormai sull’orlo della follia. Crudeltà, sempre. Eppure oggi qualcosa è cambiato. Certe volte ad esempio leggo nei tuoi occhi che non hai più scordato la strage dei pretendenti, qui nella tua casa. Tutti quei corpi giovani, riversi – ah, Odisseo, come potesti? E poi tutti chiamavano la tua crudeltà furbizia e innalzavano al cielo le tue qualità. Solo tuo padre una volta – ho sempre amato Laerte, un uomo giusto, pio, così diverso nella paternità dal mio osceno Icario – mi disse queste parole: “Ho saputo solo ora lo scherzo che mio figlio ti fece nei primi mesi del tuo arrivo. Perdonalo, ti prego, non ha avuto neanche lui un’infanzia facile. Da ragazzo è rimasto immobile per mesi a causa della ferita di un cinghiale…e poi un’oscura profezia”. “Sì”, dissi, “capisco”. Ma era chiaro che non ti avevo del tutto perdonato. 

Leggerlo perché – Partiamo dall’unico motivo per il quale non lo consiglierei e che mi ha snervata tantissimo: l’utilizzo cronico dei tre puntini di sospensione. Però è l’unico, pesantissimo ma è l’unico. Leggerlo perché è bellissimo quando le figure dell’epica vengono afferrate in tempi moderni e restituite a una luce, alla ribalta. Le bocche sono piene delle imprese di Ulisse, dirà Euriclea chiedendo a Penelope se di loro due, di quello che è stato davvero, qualcuno sappia. E Penelope dirà no, nessuno sa, perché “la vera libertà è silenziosa”. Leggetelo per togliere un po’ di muscoli all’ego di Ulisse e al piano narrativo (questione di gusti) di Omero e godersi una storia molto più intricata di quella scontata fatta di mare e donne da collezionare (più per mostrarle che per goderle) del famosissimo capelluto. Le donne sanno, devono, tessere e tramare tele per salvare non le virtù che non valgono e non servono ma per custodire, anche in silenzio e di nascosto, chi riesce a toccare e abbracciare le corde del cuore. Penelope non ha mai atteso Ulisse. Nessuna donna dovrebbe mai. 

Silvana La Spina, Penelope, La Tartaruga

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