Vivere secondo Lucrezio di Michel Onfray

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Una rilettura del De Rerum Natura di Lucrezio, un saggio da non perdere

La trama – Onfray è tra i più famosi ‘distruttori’ di mitologie – il termine non è casuale – religiose, filosofiche, sociali e politiche del nostro tempo. Se vogliamo, dice il filosofo francese riferendosi al De rerum natura di Lucrezio, possiamo essere felicemente e serenamente epicurei anche in un mondo in cui l’uomo ha camminato sulla Luna. Il capolavoro in versi del grande poeta, e scienziato (due forme perfettamente artistiche, gemelle), romano è un vero e proprio manuale di istruzioni per l’esistenza. Cos’è davvero la vita, cos’è l’anima, cos’è la malattia, cos’è il progresso, chi è l’uomo animale e chi è l’uomo culturale, cos’è l’amicizia, cos’è la felicità, cos’è la religione, cos’è l’amore (una “furia atomica”, e mai in vita mia ho letto una definizione più bella, più scarna, più romantica, più eterna). Le risposte sono semplici, fresche, attuali, prendono le distanze dal mondo come lo abbiamo disegnato noi, sbagliando, a nostra immagine e somiglianza. La strada, una: la filosofia, una terapia che “purifica il cuore”. Onfray rilegge Lucrezio, lo penetra, lo spolvera all’aria aperta dei nostri giorni inquinati, terrorizzati, egocentrici.

Un assaggio – Alla fine, la morte rappresenta un problema minore rispetto alla vita: che cosa ne dobbiamo fare? La vita e la morte sono il fronte e il retro di una stessa medaglia. L’edonismo da una parte, il tragico dall’altra; il bambino che nasce qui e il vecchio che viene seppellito là. La morte non è la fine di tutto ma è solo l’inizio di qualcos’altro; la morte non ci cancella, ci trasforma; non tira sopra di noi una riga nera, ci fa entrare in un’altra storia. In altre parole, la morte è un momento della vita fatto di movimenti ciclici che si ripetono. La morte è pensabile e concepibile solo a partire dall’anima che lei stessa distrugge scomponendone le connessioni strutturali. Se ciò che permette di vedere, di sopportare e di conoscere la paura e l’angoscia non funziona più, allora non c’è più niente da conoscere, e non esistono più né paura né angoscia da sperimentare. La morte non è niente, è solo un’idea che non deve occupare il nostro spirito mentre ancora siamo in vita. Epicuro l’aveva detto: se sono qui, vuol dire che la morte non c’è ancora, e che quindi io sono vivo; se è la morte a essere qui, significa che non ci sono più io, perché sono morto, e però a quel punto niente in me sarà in grado di farmi capire che lo sono. Il cattivo uso della propria vita quando si è ancora in vita è l’unica morte di cui dobbiamo avere paura.

Leggerlo perché – Intanto leggerlo perché occorre rimediare a tutte le maledizioni che durante l’adolescenza abbiamo lanciato senza pietà verso chiunque passasse dalle parti del tempo che non avremmo voluto passare a studiare. Onfray ha scritto un saggio strepitoso, rock, ritmato, una lettura splendida, dotta, disincantata ma non cinica. I mondi sono plurali e multipli e l’atomo, di cui siamo fatti noi e i nostri sogni, immortale. Tutto è imperfetto perché in movimento, tutto muore e rinasce, tutto va avanti e tutto torna indietro, tutto si avvicina e tutto si allontana. La scienza fa retrocedere le credenze e la ragione distrugge le chimere ma la conoscenza passa comunque attraverso i sensi. Poesia e filosofia possono coesistere: ce lo insegna Lucrezio con un poema scritto nel I secolo avanti Cristo. La natura ci lancia una sfida, ci dice siete eterni. Ci dice che ogni volta che nasceremo saremo nuovi incastri ma memorie bianche, resettate. Ci dice vivete il momento, fiorite al meglio: come siete adesso – e dove siete, e con chi siete – non sarete mai più.

Michel Onfray, Vivere secondo Lucrezio, Ponte Alle Grazie

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