Al lavoro con i figli piccoli? Un incubo

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L'abbinata “andare al lavoro e crescere i figli” rende la vita delle mamme una continua corsa contro il tempo. Tipo la mia, ai miei tempi

Alla domanda Donne e lavoro: i figli sono un problema? (trovate l’articolo su Confidenze in edicola adesso) sono purtroppo costretta a rispondere sì: conciliare gli impegni professionali con quelli dei propri bambini è davvero un’impresa. Anche per chi abita a Milano, ufficialmente alla super avanguardia.

In realtà, se la mia città meriti davvero questo titolo non saprei dirlo. Perché da un lato è vero che non ricordo particolari difficoltà per iscrivere i miei mostriciattoli all’asilo o a scuola. Dall’altro, però, non dimenticherò mai gli orari assurdi in cui le maestre (e le professoresse negli anni successivi) convocavano gli incontri con i genitori: intorno alle 11, come se ci tenessero tanto a farmi un dispetto.

Per me che lavoro fuori Milano, infatti, presentarmi a quegli appuntamenti senza assottigliare nel modo più idiota il monte-ferie significava un’allucinante corsa contro il tempo, il cui percorso era esattamente questo: trafelata partenza da casa all’alba alla volta della redazione. Che abbandonavo appena iniziava ad animarsi, per riuscire a raggiungere la scuola in pieno centro. Quindi mi scapicollavo di nuovo a Segrate, dove arrivavo sudata come un maratoneta e con l’umore sotto terra, visto che quando i docenti ti convocano non è certo per dirti che i tuoi figli sono delle perle di bontà e diligenza.

Le cose non miglioravano con l’arrivo delle vacanze estive, periodo di una lunghezza infinita che richiedeva una soluzione (intelligente ma dai costi abbordabili) per tenere le creature lontane dalla canicola meneghina, impegnandole in attività stimolanti e divertenti, ma che non facessero loro sentire la nostra nostalgia (e qui ho il buon gusto di risparmiarvi le patetiche telefonate con pianti a dirotto e suppliche di rientri anticipati!!!).

Il problema di solito veniva risolto con l’iscrizione a una serie di campi sportivi lontani anni luce da casa (quelli più vicini erano cari come il fuoco), dove bisognava accompagnare i bambini muniti di bagaglio tutto personalizzato da etichette con nome e cognome.

Morale, a gennaio in famiglia iniziavamo a scartabellare depliant con le mete da scegliere. A febbraio, dopo essercela giocata a pari e dispari, io o il loro papà ci sorbettavamo code pazzesche per le iscrizioni. A marzo andavamo a caccia delle famigerate etichette. Ad aprile rimandavamo a maggio il compito di applicarle su T-shirt e calzoncini. A giugno ci toccava la batosta delle pagelle (mai state tanto belle). A luglio passavamo i weekend in coda per andare a portare e riprendere i nostri cucciolini. Ad agosto ci leccavamo le ferite su qualche spiaggia. E a settembre tutto ricominciava come se niente fosse stato.

Ecco allora spiegato il motivo per cui, dopo anni di inferno, quando sento le colleghe più giovani parlare di organizzazione volta a far quadrare le esigenze di genitori e figli, tiro un enorme sospiro di sollievo. Essere finalmente uscita da un tunnel che quello del Monte Bianco gli fa un baffo è forse l’unica ragione per cui non rimpiango i miei 30 anni.

Confidenze