Coronavirus: si salvi chi può. Cosa metto sull’arca

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Il diluvio è vicino e se potessi ecco chi sceglierei di salvare

Dal gracidare delle informazioni sul virus, una sola cosa ho capito: che il diluvio è vicino. Che la stoltezza dei capi (e la nostra) non ci salverà dalle acque, e che bisogna sbrigarsi a mettere sull’Arca ciò che vogliamo salvare. Ognuno nella sua Arca ci invita chi gli pare. Sulla mia non ci metteranno piede  quelli del mantra  “andrà tutto bene”, retorico e un poco iettatorio.

Nell’arca per primi vorrei farci salire uomini e donne del personale medico, che continuano a curarci rischiando la vita, e spesso perdendola. Ma loro non vorranno venirci, avranno un’Arca speciale, finalmente coi loro cari da cui sono rimasti separati per stare in prima linea.

Nell’Arca vorrei quelli che ci hanno illuminato, che non sono sprofondati nel pensiero unico e sono rimasti vivi. Che si ribellano al lungo sonno cui ci condanna la paura diffusa dai media, i quali non permettono un secondo che ci distraiamo dal morbo. Vorrei nell’Arca quelli che ci ricordano la bellezza. Non c’è mai stato altro per contrastare la morte, da sempre. Quelli che hanno alzato la voce contro la pretesa di ridurci solo a corpo.

Nell’Arca vorrei Giorgio Agamben, che ha scritto Com’è possibile che un intero paese sia eticamente e politicamente crollato davanti a una malattia? La soglia che separa l’umanità dalla barbarie è stata oltrepassata. Come è stato possibile accettare, in nome di un rischio non possibile da precisare, che i nostri cari morissero da soli (…) e cosa mai viste nella storia da Antigone a oggi, che i loro corpi fossero bruciati senza funerali? E che si riducesse l’esperienza vitale, inseparabilmente corporea e spirituale, ad una entità puramente biologica?

Nell’Arca vorrei Vittorio Sgarbi, di cui resterà l’appassionato fondamentale intervento in Parlamento, rivolto al ministro dei beni culturali Dario Franceschini perché non si rinchiuda anche la cultura nelle catacombe- chiedendo di non buttar via le mostre di Raffaello e di Canova, chiedendo che arte e cultura non vengano per ultime, perché si riaprano i musei più importanti con tutte le norme di sicurezza, entrare distanziati in gruppi di dieci, ridare vita alle arti, alla musica,  non tanto perché servano al PIL, ma perché sono vitali come le salute, fanno parte della salute.(…) E’ necessaria alla vita anche la vita dello spirito (…) gli uomini di scienza ci dominano, siamo schiavi di medici assolutisti e vanitosi, come Burioni, che il 4 febbraio disse “non ci sarà mai un’epidemia” (…) Non bisogna avere paura della cultura, che è la sanità delle menti.

Insieme a lui entra nell’Arca, impegnato nella stessa lotta, il critico d’arte Gianluca Marziani che (nella rubrica Un marziani a Roma su Dagospia) dall’inizio dell’epidemia fa opera di trasfigurazione, e col suo occhio di grande poeta metafisico crea una Roma dove l’architettura si dispone come un palcoscenico, dove le piazze diventano teatri, dove le statue parlano un esperanto di armonie invisibili, e opera resurrezioni facendole girare per la città finalmente libere dai loro piedistalli, e dal centro e dalle periferie fa scaturire immagini che sono vita e sogno.

Cammino idealmente in questa città di anime vive, di ricordi che sono sculture del tempo, immagini come cartoline vintage. Marziani, come Ezra Pound nella poesia su New York- Mia città, amata, candida/ ascoltami, dammi ascolto/ delicatamente sulla zampogna, dammi ascolto/ e in te infonderò un’anima,/ e tu vivrai per sempre.

Vorrei nell’Arca Isabella Santacroce, che nella santità delle sue carte celesti e beffarde, respinge la paura dialogando con Emily Dickinson (Isabella per prima notò il ritorno degli animali, quando nella Riccione deserta piccoli eserciti di anatre andavano pigramente ancheggiando per le strade).

Nell’Arca graditissimo l’intellettuale più serio d’Italia, Mauro Coruzzi in arte Platinette, che in cravatta o in parrucca ha la saggezza di chi ha sempre detto la verità, e dice per tutti noi che la grande angoscia della reclusione è nella contradditorietà tragicamente burlesca dei provvedimenti  ufficiali.

Sull’Arca pure l’adorabile Fiorello, che con spiritosa umanità si è ribellato all’idea di chiudere in casa i cittadini dai 60 anni in su.

Vorrei nell’Arca chi non si è lasciato catturare dall’angoscia, continuando a esser poeta.

E qui mi accorgo che proprio io resterei a terra, perché vivo nella paura. L’Arca partirà senza di me- perché sto cominciando a sentirmi contaminata. La mia resistenza sta cedendo, e temo di star diventando pura materia.

Confidenze