Lo smartworking? Una pacchia!!!

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Obbligata dal Covid-19, ho scoperto lo smartworking. Difficilissimo i primi giorni, ma davvero smart adesso. Perché mi permette di...

Mi hanno sempre guardato tutti come fossi una pazza schizofrenica, ma per me la parola smartworking era mostruosa. Andare in redazione tutti i santi giorni, infatti, mi piaceva tanto, perché mi dava l’impressione di entrare in una specie di seconda casa. Cioè, in un luogo di gioie e di dolori, a volte accogliente e altre ostile, spesso entusiasmante e a volte di una noia mortale. Ma, comunque, un posto mio.

Fedele alla scrivania come Giulietta a Romeo, quindi, non mi sono mai detta «Uffa, domani è lunedì» alla fine dei weekend. E non mi strappavo neppure i capelli quando le vacanze volgevano al termine: l’idea di ritrovare le colleghe e le solite abitudini rendeva ogni rientro una pacchia.

Insomma, lavorare sul posto di lavoro per me non è mai stata una sofferenza. E se da una certa ora iniziavo a guardare l’orologio ansiosa di andarmene, era solo perché sapevo che il giorno dopo sarei tornata.

In preda a questo entusiasmo al limite della follia, quando mi hanno detto che per il Covid-19 avremmo dovuto fare il giornale da casa mi è venuto un colpo. Per lo sgomento di svolgere le mie mansioni in totale solitudine ma, soprattutto, perché lasciata allo stato brado credevo di precipitare in un misto di pigrizia (libertà chiama libertà) e di isteria (ogni problemuccio con la tecnologia mi manda fuori di testa).

Invece, colpo di scena! Da quando sono andata a ritirare il computer e ho creato la mia postazione professionale tra le mura domestiche, ho scoperto il paese del Bengodi.

Per esempio, mi sono accorta di quanto sia bello rispettare i propri bioritmi. Che, nel mio caso, suggeriscono la sveglia a orari vergognosi. E quando finalmente sollevo (a fatica) la carcassa dal letto, provo un piacere infinito nel concedermi la colazione con tempi del tutto dilatati, ancora in pigiama e mollemente seduta davanti al monitor per guardare le mail con estrema calma.

Questa tabella di marcia, è vero, fa volare via la mattina in un lampo. Ma non m’importa, tanto non devo correre in mensa prima che chiuda e, ancora satolla per il breakfast (il mio, un breaklong!), al pranzo ci posso pensare solo se mi tornerà fame.

Un’altra meraviglia dello smartworking, poi, è che se arriva la telefonata dell’amica, può durare all’infinito. E se, nel frattempo, mi accorgo che sta calando la sera e con gli impaginati sono molto indietro, nessuno mi impedisce di scrivere prima di andare a dormire.

Insomma, il grande pregio del lavorare da casa è che mi permette di organizzare i miei orari come meglio credo e senza dannarmi l’anima in corse affannate, visto che il tempo per far fronte a tutti gli impegni c’è.

Certo, in questo periodo è facile essere rigorosa: sono segregata in casa e lontana anni luce da qualsiasi tipo di distrazione. Ma sto prendendo talmente gusto ad accendere il computer quando più mi aggrada, che non mi spiacerebbe farlo anche in futuro.

Dovesse succedere, sappiate che alla mattina continuerò a dormire come un ghiro narcolettico. A pranzo martellerò la tastiera come un piano forte. Nel pomeriggio farò la vita delle signore, cazzeggiando senza il minimo senso di colpa. Alla sera inviterei gli amici a cena. Dopodiché, come un pipistrello lavorerei di notte. E pazienza se faccio tardissimo: la mattina successiva non aprirò occhio prima delle undici. Anzi, già che ci siamo facciamo undici e mezzo!

Confidenze