Di riffa o di raffa, il collega (maschio) prende di più

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Il divario tra gli stipendi di donne e uomini è ancora evidente. Si chiama gender pay gap. Andrebbe abbattuto. E qualcosa si sta muovendo

Quanto prende il tuo collega? è un articolo su Confidenze in edicola adesso che parla del gender pay gap. Ovvero, del divario di trattamento economico tra donne e uomini.

Un argomento piuttosto triste visto che, stando ai dati, nel 2024 la disparità tra gli stipendi è ancora alta: in Europa, a noi lavoratrici in gonnella viene corrisposto il 13% in meno rispetto ai pari grado in pantaloni.

Una vergogna? Assolutamente sì. Anche se su questo tema io tendo a dimenticare. Esattamente come non amo ricordare che c’è gente di entrambi i sessi alla quale a fine mese entrano in tasca cifre da capogiro.

Attenzione: il mio atteggiamento non è frutto di un estratto conto da nababba. E neppure di un disinteresse nei confronti del denaro, anzi.

Se potessi, pretenderei che al mio stipendio venisse aggiunto almeno uno zero. Ma se già detesto i paragoni in genere, più che mai odio quelli sui soldi. Per un semplice motivo: massacrarmi perché tanti professionisti guadagnano più di me non mi arricchisce.

Qualcuno può credere che la faccia facile in qualità di giornalista, una categoria privilegiata, viziata e stra-pagata. In realtà, lo era in passato. Mentre oggi le cose sono cambiate, cambiatissime. Ma, lo stesso, non è mia intenzione arrovellarmi (e, ve lo giuro, mortificarmi) pensando ai trascorsi e ai salari altrui.

Con un cedolino che negli anni si è assottigliato invece di gonfiarsi, ritengo una soluzione migliore tenere sempre presente che ancora svolgo un lavoro che mi piace da pazzi. Quindi, per quale ragione farmi il sangue amaro?

Certo, ripensare ai vecchi stipendi mi porta sull’orlo di una crisi di nervi. Eppure, piuttosto che lamentarmi (senza riuscire comunque infarcire il portafogli di bigliettoni) preferisco conservare l’entusiasmo scrivendo, inventando titoli e sommari, cercando spunti per nuovi pezzi. Insomma, continuo a impegnarmi come se fossi pagata a peso d’oro.

Poi, quanto scatta l’angoscia da conti e bollette mi consolo con i fatti: ho vissuto l’epoca più bella delle riviste femminili. Viaggiato per il mondo come una trottola. Presenziato a eventi mondani esclusivi. Intervistato di persona molti vip (adesso si va di videochiamata).

Tutto una pacchia? No. Ma allora il gender pay gap era ancora più evidente, affiancato da un prepotente gender professional opportunity gap: la prima scelta sull’articolo da preparare o il personaggio da incontrare spettava ai colleghi uomini, come per diritto divino.

Per fortuna, molto sta cambiando (anche se troppo lento, il corso è avviato). E se per questioni anagrafiche non riuscirò a goderne i benefici, sono felice per le generazioni a venire.

Detto ciò, ripeto che finché lavoro non voglio perdere tempo facendomi mille pipponi sui compensi dei colleghi. Quando, poi, lo stipendio bello cicciotto entra nelle tasche di una donna sono pure contenta. Per lei. E per tutte noi. Perché ognuna in più che guadagna bene accorcia l’irritante gender pay gap.

 

Confidenze