Ho l’umore a terra, ma non perdo la speranza

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La vita d'inferno che facciamo da più di un anno sta massacrando il nostro umore. Ma per resistere abbiamo una sola via di scampo: non perdere la speranza

Se c’è una cosa in cui mi piace credere ciecamente è la bontà. Al punto che, a 57 anni suonati, ci sono volte in cui mi ritrovo a sognare un mondo fatto di zucchero, abitato da gente tenerella e generosa d’animo, pronta ad aiutarsi, sorridere di fronte a tutto ciò che è bello e combattere contro la più piccola bruttura.

In realtà, le cose non vanno proprio così. Astio, rabbia, livore, invidia, ansia di possesso e tutti i sentimenti che assolutamente detesto fanno parte delle nostre vite. E di grave c’è che la pandemia li sta esasperando.

Sento il bisogno di parlarne perché ho appena letto l’articolo A una donna che ha perso la speranza (su Confidenze in edicola adesso), in cui Maria Elena dichiara, senza girarci intorno, di essere preoccupata e addolorata per i disagi psichici ed emotivi scatenati dal Covid.

Come potrei non essere d’accordo con lei? L’anno di reclusione a cui siamo stati costretti, la data incerta (e lontanissima) del ritorno alle abitudini di sempre, l’annunciata tragedia economica che ci travolgerà dopo la pandemia e l’idea che sconfitto questo virus ce ne sarà un altro non aiutano certo il buon umore. Neanche in chi, come me, è portato a cercarlo nei meandri più inaccessibili.

Ma se di solito mi veniva naturale, oggi mi accorgo che, ormai stremata, tendo a sopravvivere e non più a vivere ogni sacrosanto giorno all’insegna dell’andrà tutto bene.

Pur considerandomi molto fortunata sotto tanti aspetti, infatti, non posso non notare ciò che è clamorosamente palese: va tutto da schifo e il tunnel si sta rivelando migliaia di chilometri più lungo di quello del Monte Bianco.

Il che significa alzarsi alla mattina con un macigno sul petto. Affrontare le giornate sforzandosi di reagire quando si presenta il quotidiano magone feroce. E contare sulle persone care nel momento in cui la situazione scappa di mano.

Peccato, però, che come sostiene Maria Elena basta alzare il telefono per constatare quanto la maggior parte della gente sia messa come te, se non peggio.

A rendere ognuno di noi “stonato” (e un po’ maligno) è la totale assenza di progetti. Nell’immediato, visto che ci è negata anche una banale serata al cinema. E nel futuro. Ecco perché vi dico una cosa forte: piuttosto che continuare un’esistenza in cattività, sono disposta a confrontarmi con tutte le insidie che troverò fuori dalla gabbia. Siano quelle che siano.

La pandemia, infatti, non mi ha minimamente reso una persona migliore (anzi, ha sottolineato i miei difetti). Ma mi ha insegnato una cosa di importanza assoluta. Cioè, che il veleno più letale nella vita degli esseri umani è la noia. Ben più pericolosa di qualsiasi difficoltà.

Non a caso, in Vietnam nessuno soffriva di depressione. E se i soldati sono andati in tilt appena rientrati a casa, dove non dovevano più salvare la pelle e non avevano nulla da fare, non è un caso.

A noi, invece, succederà l’opposto: dalla totale inattività passeremo di colpo alla lotta per la sopravvivenza. Che sarà dura, certo. Ma a differenza di Maria Elena, io sono piena zeppa di speranza. Che, come recita l’adagio, dev’essere sempre l’ultima a morire.

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