I ragazzi di ogni generazione sono un po’ Hikikomori

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Il termine indica i ragazzi troppo dediti alla vita online. Che non piacciono neanche me. Ma con altri strumenti lo siamo stati anche noi e i nostri figli

Sul numero di Confidenze in edicola adesso, nell’articolo Per un virtuoso del virtuale la psicoterapeuta Maria Rita Parsi parla degli Hikikomori. Parola giapponese coniata nel 1998 dal medico Tamaki Saito che significa “ritirato”. E che indica i ragazzi più dediti alla vita online di quella reale.

Secondo i dati, la fascia più a rischio di isolamento sociale, per fortuna, riguarda i giovani tra i 15 e 17 anni. E se dico per fortuna è perché i miei figli sono fuori già da un bel pezzo. Così, almeno di questa piaga sociale posso permettermi di non preoccuparmi.

Ciò non mi esime, però, dal constatare quanto gli schermi in generale mettano sempre contro adulti e giovanissimi. Infatti, con un strumenti diversi succedeva già ai miei tempi. E si è replicato quando sono diventata mamma io.

Partiamo da noi baby boomers. Da bambini, il nostro video per eccellenza (anzi, l’unico) era la televisione. Che già portava tensioni nelle famiglie, con i genitori che pretendevano un rigido controllo sugli orari in cui i figli potevano guardarla.

C’è da dire che gli adulti di allora giocavano facile: a parte la scarsità di canali da vedere (primo, secondo, svizzera e capodistria), i programmi dedicati all’infanzia erano pochissimi e andavano in onda nel tardo pomeriggio (la tivù dei ragazzi, ve la ricordate?). Per finire abbondantemente prima di cena.

Questo significava che quando ci si metteva a tavola l’arnese era già spento. E che fino al giorno dopo non se ne sarebbe più parlato. Eppure, già a quei tempi le mamme discutevano di quanto noi piccoli potessimo rimbecillirci davanti allo schermo, neanche fossimo Hikikomori patologici.

In realtà, siamo cresciuti (quasi) tutti abbastanza normali. Ma appena siamo diventati genitori ci siamo accaniti contro quello che consideravamo il nuovo nemico pubblico della sanità mentale dei nostri figli: il telefonino. Vissuto dagli adulti come strumento diabolico dal quale difendere a spada tratta la nuova generazione.

Ripensandoci adesso, mi viene da ridere all’infinità di parole spese inutilmente e, soprattutto, all’esagerazione di allarmismo quando si discuteva su problemi che, a oggi, si sono rivelati inesistenti.

Per esempio, che l’utilizzo di questo device potesse causare malattie drammatiche. Poi, che avendolo sempre a disposizione, i ragazzini si sarebbero messi in contatto con chissà chi. E, ancora, che regalarglielo troppo presto avrebbe fatto di loro degli inguaribili viziati.

La verità, invece, è che il telefonino non ha rovinato nessun bambino. Mentre si è trasformato in una fonte di ansia per i genitori. I quali, se il piccolo tardava a rispondere di uno squillo, andavano in sbattone totale. Immaginando le tragedie più fantasiose.

Morale, da un lato c’erano i grandi ansiati a mille. Dall’altro, i frugoletti tranquillissimi, con in mano uno strumento che avevano sempre visto sin dalla nascita.

Tutto questo per dire che il mondo va avanti. Negli ultimi decenni a una velocità spaventosa, con tutte le sue novità. Tant’è che oggi siamo arrivati a dispositivi inimmaginabili in passato. Tra i quali il computer, che io non riesco a considerare l’unica causa dell’isolamento sociale giovanile.

Non ce la faccio neanche davanti ai dati effettivamente spaventosi, secondo i quali sarebbero addirittura 60.000 gli adolescenti italiani che evitano i contatti di persona.

Eppure, a mio modesto parere è l’ennesimo segnale dell’evoluzione umana. Lontano anni luce da ciò a cui eravamo abituati noi, che fuori da scuola non ci davamo appuntamento con un «Ci vediamo dopo su Tik Tok», ma con un sano «Ci vediamo alle quattro da Fiorucci» (frase must per chi è stato teenager a Milano negli anni ’80).

Ma il nostro saluto di allora per gli Hikikomori di oggi equivarrebbe a un invito in latino per noi pseudo sessantenni. Non antico, di più. E questo conferma che, piaccia o no, l’evoluzione della specie è inarrestabile.

Confidenze