La guerra e l’importanza del ricordo

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Siamo al 65esimo giorno del conflitto in Ucraina, di quella che i russi chiamano operazione speciale quasi a voler esorcizzare il fantasma della parola guerra, prepotentemente entrata invece nella nostra quotidianità con le immagini dei carri armati inviati dall’Occidente, della portaerei americana che stazionava nel Porto di Trieste qualche giorno fa e delle fosse comuni riprese da satellite. Perché anche la guerra di oggi è 2.0 e si avvale delle tecnologie che negli ultimi conflitti non avevamo ancora visto in azione.

Che cosa c’è di diverso stavolta rispetto alle tante guerre a cui abbiamo assistito in passato (in Siria, in Afghanistan e nella stessa ex Jugoslavia)?

C’è che questa volta il conflitto è alle porte di casa nostra e le sue potenziali conseguenze ci toccano da vicino, a cominciare dalla questione degli approvvigionamenti del gas.

Nelle scorse settimane di giorni di feste mi è capitato di guardare il telegiornale insieme ai miei genitori, la loro generazione è quella di chi è nato negli anni Trenta ed è stato bambino durante la Seconda guerra Mondiale, forse non si sarebbero immaginati di vivere gli ultimi anni della loro vita davanti a un nuovo conflitto. Ho sentito ricordare mia madre le sere passate nei rifugi ogni volta che in tv scorrevano le immagini dall’Ucraina della gente sistemata alla bell’e meglio in scantinati e sotterranei. Ho ascoltato il racconto di mio padre di quando nelle aiuole di Piazzale Loreto a Milano si coltivava il grano per la penuria di farina che c’era (chi è mai passato da quella grande piazza sa come oggi sarebbe impossibile una cosa del genere) e di quando nel 1948 il Teatro alla Scala non esitò ad aprire le sue porte a un direttore d’orchestra tedesco venuto a suonare nel tempio della lirica, senza che nessuno lo contestasse (diversamente da quanto accaduto con il maestro Valery Gergiev e il sindaco di Milano Giuseppe Sala).

Sono piccoli aneddoti che ognuno di noi avrà avuto modo di ascoltare nelle proprie case da zie, nonni, parenti ma che insieme costituiscono la memoria collettiva, quei corsi e ricorsi storici che oggi sono rimasti in pochi a poter ricordare. E che invece sono preziosi perché annullano quella distanza che il tempo frappone tra noi e gli eventi, anestetizzando la memoria.

Allora vi invito a leggere su Confidenze la storia vera Ridatemi la pace raccolta da Irene Zavaglia perché nella semplicità e genuinità del racconto questa storia ci mette di fronte proprio a questo: l’importanza della memoria storica e collettiva, come patrimonio da difendere e preservare e da cui imparare.

Chi sa, chi ha visto e vissuto può tramandare e purtroppo più queste testimonianze si rarefanno per ovvie ragioni anagrafiche più diventa difficile far arrivare il messaggio al cuore delle persone e far capire i rischi a cui si va incontro con un nuovo mondiale. Mi auguro per tutti di non essere noi i nuovi testimoni di un conflitto da raccontare ai nipoti.

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