La nostra nuova sfida

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Il 3 dicembre è la Giornata Internazionale delle persone con disabilità e l'ictus ne è la prima causa in Italia. Ecco la storia di un alpinista che si è trovato ad affrontare la sua sfida più difficile

storia vera di Graziella Canepa Pallanca raccolta da Anna Gavassi 

La nostra storia è quella di una famiglia come tante, che si è ritrovata a doversi trasformare completamente in un attimo.
Quando è arrivato quell’ospite indesiderato, l’ictus, è come se fosse esplosa una bomba in casa, a tutti i livelli. Io e mio marito ci siamo sposati giovani, abbiamo condiviso due figlie e una grande passione perla montagna, che lui coltivava fin da piccolo. Suo padre l’aveva iniziato all’alpinismo da bambino e il sogno di mio marito era quello di poter andare in Nepal a scalare la grande catena dell’Himalaya.
Dopo essersi a lungo documentato e preparato, riuscì a realizzare la sua impresa e nel 2000 prese parte a una spedizione che lo portò a scalare una montagna di ben 7.200 metri. È sempre stato in perfetta salute, si controllava, si allenava, non fumava, al mattino si alzava alle cinque per andare a correre e andava al lavoro a piedi per fare più attività fisica.
Eppure dieci anni dopo, nel 2010, mentre eravamo appesi su una parete ghiacciate della Val Varaita (in provincia di Cuneo) fu colpito da un ictus.

Aveva 58 anni e io 51, quel giorno stava bene, aveva guidato, fatto colazione, non c’era nulla che facesse presagire un malore. Ricordo che avevamo effettuato la salita con due amici, che lui era rimasto su una piazzola per scendere in corda doppia per ultimo. Vedendo che non arrivava, avevamo chiesto a due alpinisti che salivano di controllare come mai non stesse scendendo. Quando i due lo raggiunsero, capirono subito che bisognava chiamare i soccorsi. Una crisi di panico mi dissero ma io non ci credevo. Nel frattempo erano riusciti a calarlo fino a noi, a un’altezza di 2.000 metri, lui era cosciente ma non riusciva a parlare. Poi arrivò l’ elicottero del Soccorso alpino, e mio marito venne trasportato all’ospedale di Cuneo, i soccorritori furono meravigliosi.
Da lì in poi siamo stati travolti in una spirale da incubo… avvisare le figlie che tra l’altro erano in Francia e alle quali si era anche rotta l’auto; coinvolgere gli amici per farle arrivare nel più breve tempo possibile e mille alte cose.

I medici dissero subito che la situazione era grave: ictus emorragico dovuto a uno sbalzo pressorio, ma poteva essere stato anche un fattore congenito.
Noi che ci aggiriamo per l’ospedale come spettri, io vestita da montagna, le figlie smarrite… persino il personale si inteneriva a vederci.
Ci compattiamo per affrontare la situazione, e le figlie si responsabilizzano.
Dopo qualche giorno i medici intervengono, e anche se l’operazione riesce, ci dicono subito che le conseguenze saranno serie.
Non lo lasciamo un momento e io dopo 15 giorni riesco a venire a Genova per avvisare sua madre (che era rimasta all’oscuro fino a quel momento) e andare al lavoro per le pratiche.
I nostri vicini di casa non si capacitano di come possa essere capitato proprio a lui che faceva gli scalini di corsa.
Sono passati nove anni da allora, e posso dire che ne siamo usciti nel miglior modo possibile. Mio marito non è totalmente autonomo, La lesione cerebrale di Ruggero, che dopo l’intervento è rimasto in coma, è stata importante e ha lasciato come conseguenze una emiparesi sinistra e una grave afasia.
Siamo passati attraverso ospedali e centri di riabilitazione, poi siamo stati affidati all’associazione Rinascita e Vita, convenzionata con la Asl, che si occupa in maniera permanente di seguire le famiglie di gravi cerebrolesi con posti letto, day hospital diurno e ambulatori, molto utili anche per i parenti che, come me, lavorano ancora.
In tutto ciò mio marito ha mantenuto la tenacia dell’alpinista, che si manifesta ogni giorno, con la sua costante volontà di recuperare il più possibile.
È incredibile come l’essere umano, nella necessità, riesca a sfruttare al massimo ogni più piccolo appiglio, pur con la consapevolezza della propria fragilità. Poi naturalmente c’è il carattere, che per fortuna ha saputo trasformarsi da rigido in accomodante, senza spezzarsi, come temevo io.

In pratica ci siamo creati una nuova vita, adatta alla nostra situazione, nella quale stiamo bene, sfruttando tutto il possibile fino ai nostri limiti, ma la soddisfazione anche per le piccole cose è grande. Per fortuna oggi la disabilità è affrontata, studiata, aiutata. Mentre fino a qualche anno fa si pensava che, passato un po’ di tempo, non ci fosse più recupero, oggi si può contare su una riabilitazione permanente. Molte barriere architettoniche sono state abbattute, anche se non dappertutto, e questo ci consente di fare molte cose e divertirci ancora.
Da due anni a questa parte, poi, facciamo parte del coro degli afasici creato dall’associazione A.L.Ice (associazione per la lotta all’Ictus Cerebrale) con il quale ci esibiamo, anche per portare una testimonianza. –
La musica è sempre stata importante per Ruggero, e un grande mezzo di comunicazione (a volte per spiegarsi canta una canzone inerente all’argomento). Infatti in tutte le attività riabilitative avevamo anche fatto musicoterapia, prima di trovare il coro. Mio marito, mi hanno spiegato, ricorda tutte le parole, solo che la lesione non gliele lascia uscire correttamente. Nel tempo è migliorato molto, riuscendo a comporre parole, più scritte che parlate, tanto che vorrebbe scrivere un libro!.
La cosa più importante per lui è riuscire a farsi capire, cosa che gli riesce abbastanza bene con vari mezzi comunicativi: le espressioni, gli esempi, le canzoni, i disegni. Non nego che molte volte io sono la sua interprete, ma con le persone che lo frequentano da un po’ riesce a interagire anche da solo. Una situazione come quella che ci è capitata ti fa cercare dentro di te la forza di andare avanti, scoprendo risorse inaspettate e guardando all’essenziale.
E io continuo, anche se può sembrare strano, a elencare le nostre fortune: per fortuna il cellulare
prendeva… Per fortuna non era ancora sceso in doppia… Per fortuna ha mantenuto il ragionamento… Per fortuna abbiamo le figlie grandi…
Ma la fortuna più grande credo sia essere come siamo. ●
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Storia vera pubblicata su Confidenze n. 16 2019

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