La regina dei cornetti salati

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L’ho letta con entusiasmo e  stupore dal suo primo libro, Tijana Djerkovic, nata a Belgrado, che scrive  in serbo e in italiano. Un italiano che nella sua scrittura diventa altro, perfettamente corretto e insieme reinventato, come tradotto da un sogno. Uno stile che può avere solo chi viene da un’altra lingua. Sembra classico e invece è una mappa che ti fa entrare in un altro sistema di pensiero, con una piccola deviazione della sintassi, un  aggettivo inaspettato come una rivelazione, e alla fine senti di essere stata in un luogo sconosciuto che ti appartiene.

In Tijana Djerkovic  la tragedia umana è attraversata da un umorismo diabolico, pieno di tenerezza. Lessi Il cielo sopra Belgrado, sulla “guerra” del 1999 alla ex-Jugoslavia, quando Europa e America bombardarono la Serbia, chiamando l’aggressione “guerra umanitaria”. Non si è scritto molto sull’argomento, forse per vergogna. Ma quel libro snello e implacabile dice tutto.

Venne poi Inclini all’amore, un romanzo di straziante bellezza, perdutamente slavo e semplicemente universale. L’ultimo si chiama La regina dei cornetti salati (ed. Besa-muci) ed è un libro di racconti e contiene molte anime dell’autrice, che diventano nostre. Il primo racconto, che dà il titolo alla raccolta, è  La regina dei cornetti salati, la storia di una donna mite e incline all’amore che con l’amore si misura, e vince amaramente, dimenticando. Il Defunto l’ho cominciato e lasciato più volte, perché mi risvegliava troppe paure-  il funerale di un uomo raccontato dal morto, che sembra l’illustrazione di una frase di Proust, l’immense frivolité de la mort.

Ciò che più mi attira in questo libro, e specialmente nel racconto La morte della signora Pisani,  è che credi di conoscere il personaggio ma non ti puoi fidare, d’un tratto tutto si ribalta e ti trovi davanti a solitudini immedicabili, a un enigma la cui soluzione è sommessa e sconvolgente. Perché l’anziana signora Pisani muore nella casa di una famigliola di vicini sconosciuti, appena partiti in vacanza, che vengono  richiamati dalla sua morte misteriosa? Roberto, il capofamiglia, sta per passare un guaio, la polizia lo sospetta di aver fatto  fuori la vecchia, e si indaga, si indaga…chi è l’assassino ? e perché?

La risposta lascia senza fiato, e trattandosi di un giallo non posso anticiparlo, anche se è un giallo dell’anima. Ma il cuore del libro, l’esplosione, quello che manda all’aria ogni certezza è il racconto finale, Rose rosse, naturalmente! Che narra di un amore clandestino, assoluto e risibile, per l’inconsistenza banale del personaggio maschile. Non è la  trama di una relazione adultera che incendia la storia, è la scrittura. Convulsa, anarchica, sincopata, un rap  irrispettoso, cubista, una galoppata irrefrenabile dove il sesso si fa stile, negli stacchi bruschi, nei salti logici, nella malinconia feroce che domina il tutto, una scrittura  che è un amplesso  pieno d’insidie (prima, la pochezza umana). Era così facile cedere all’ombra dell’eternità…Era bella. Disperata e bella . Rideva piangendo. Mentre la sua bellezza  fioriva, migliorava, sconfinava. Per amore.

Chiudi il libro. Lo tieni ancora fra le mani.  Fiorisci anche tu. Poi, la vita ti riafferra.

 

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