La signora della locomotiva

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Vi ricordate le vecchie stazioni ferroviarie dei piccoli paesi? Moltissime sono andate in disuso. Marisa Reggiani ci racconta su Confidenze come ha deciso di far rivivere la sua

Tra le storie vere che trovate su Confidenze di questa settimana, molte  sono dedicate alle donne, perché, Coronavirus permettendo, il prossimo 8 marzo si festeggia la Festa della Donna e forse mai come in questo momento abbiamo bisogno di farci tutti coraggio e pensare a qualcosa di diverso.

Così tra i tanti ritratti di donne coraggiose e determinate, ho pensato di parlarvi di uno in particolare che mi ha colpito: quello di Marisa Reggiani “la signora della Locomotiva”.

Cosa mi ha colpito? Be’ intanto la determinazione che alla veneranda età di 83 anni la porta a proseguire nel suo sogno: creare un museo dei treni ridando vita al vecchio casello ferroviario del suo paese (che si trova a Crevalcore in provincia di Bologna) e poi la scelta di comprare non solo il casello per farne un museo della ferrovia, ma addirittura una locomotiva, dedicando tempo e denaro a quella che in tanti definirebbero una “causa persa”: ridare vita (almeno come musei) ai vecchi caselli ferroviari abbandonati a favore di quelle strade statali che spezzano interi paesi e deturpano paesaggi da favola.

Non sono una fan dei No Tav, ma riconosco nella storia vera “Il Paradiso può attendere”, raccolta da Anna Magli, tutta la nostalgia per un pezzo d’Italia andata perduta, in nome del progresso: quella dei treni locali e delle tante stazioni soppresse perché rese obsolete dall’industria dell’auto che ha portato tutti a dotarsi delle mitiche quattro ruote cambiando geografia e prospettiva di tante nostre zone rurali.

Marisa ricorda come il treno che passava a Ferrara fosse stato soprannominato “La Mariannina” perché questo era il nome delle ragazze che andavano a lavorare nelle risaie e che salivano su quei vagoni. Oggi nelle risaie non ci lavora più nessuno (o forse qualche extracomunitario) ma i treni sono pieni lo stesso di pendolari che affrontano viaggi sfiancanti per raggiungere le nostre metropoli e che spesso devono lasciare bici o auto nelle stazioni limitrofe perché tante corse sono state soppresse.

Ho un ricordo personale di una delle tante stazioni ferroviarie andate in disuso: era quella del paese di origine dei miei nonni, in Piemonte, in provincia di Alessandria. Quando ero bambina mio nonno, che allora non possedeva né patente né l’auto, prendeva spesso il treno da Milano per raggiungere la casa di campagna dov’era nato. Contare su quella piccola stazione di arrivo che gli costava comunque cambi di linea ferroviaria e una mezza giornata di viaggio su un percorso che oggi in auto di fa in un’ora, era per lui motivo di orgoglio e di indipendenza.

Poteva andare e venire come voleva senza chiedere passaggi a nessuno e in casa non mancava mai l’orario ferroviario quello giallo e nero, ormai diventato una reliquia.

Quando il nonno arrivava alla piccola stazione lo attendeva un lungo viale alberato di tigli che percorreva  a piedi e poi una bella passeggiata lungo il ponte sul fiume Belbo per raggiungere la sua casa.

Oggi quella stazione è un edificio abbandonato e chiuso come tanti altri; la statale corre parallela al binario ormai in disuso, le macchine sfrecciano  alla velocità della luce, quella strada che una volta percorrevo in bicicletta è diventata impraticabile sulle due ruote da tanto è pericolosa.

Certo i collegamenti funzionano meglio, i tempi di percorrenza con Milano si sono accorciati, tanta gente sceglie di vivere in questi paesi come dormitorio, perché i prezzi delle case costano meno e la vicinanza relativa alle città permette di andare e venire in giornata.

Ma per chi ha la memoria lunga, come la signora Marisa della nostra storia, capisco come un pezzo di cuore si sia fermato su quella locomotiva e che quelle superstrade siano davvero una ferita alla natura.

Forse varrebbe la pena di raccontarlo alle nuove generazioni. Noi l’abbiamo fatto su Confidenze. Su Facebook trovate anche il video dove parla la signora Marisa. E voi avete una piccola stazione in disuso che vi è rimasta nel cuore?

 

 


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