Luce on the road

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Riproponiamo sul blog una delle storie più apprezzate del n. 34 

 

Luca e io abbiamo una seconda casa su quattro ruote. Con il nostro furgone attrezzato andiamo alla scoperta di nuovi Paesi e della loro cultura. E presto saremo in tre a vagabondare lungo strade poco battute, nel nome della libertà

STORIA VERA DI CECILIA M. RACCOLTA DA MARCO ANGILLETTI

 

“Ogni famiglia ha la sua storia, benvenuti nella nostra”. Così c’era scritto su una grande cornice tra i boccioli di rosa il giorno del nostro matrimonio. In verità, se mi chiedessero di raccontare la nostra storia su un foglio bianco utilizzando una vecchia macchina da scrivere, a me basterebbero soltanto quattro tasti, due consonanti e due vocali. LuCe è l’acronimo di Luca e Cecilia, mio marito e io, il nome che abbiamo dato al nostro progetto di vita.
LuCe è l’orizzonte dove sorge l’alba delle emozioni che accompagnano i nostri viaggi, mentre siamo scaldati da un raggio di sole. LuCe è un lago silenzioso che ci sussurra la buonanotte mentre i nostri corpi si addormentano in un soffice abbraccio quando tutto intorno è buio. È l’aria buona dei sentieri disegnati tra querce e abeti, è l’eco confortante di una spiaggia solitaria. L’eccezionalità del nostro progetto è che si muove su quattro ruote. Sì, perché io e Luca abbiamo deciso di avere una seconda dimora, oltre a quella in cui viviamo abitualmente. Una casa mobile ideata per andarcene in giro per il mondo, con la stessa dolcezza di un carretto trainato a mano da un bambino. Ogni volta che apriamo il portellone del nostro van, è come alzare un sipario sempre nuovo su un’oasi consacrata. Uno scricciolo a motore che ha la stessa solennità dei giganti innevati della Val di Fassa, quelli che si tingono di rosa con un tocco di magia nell’ora del tramonto.

Le Dolomiti sono le montagne a cui siamo più devoti nel nostro girovagare, le uniche testimoni del primo bacio tra me e Luca. Un bacio divenuto un viaggio continuo che tocca tante terre e parla mille lingue, ma le traduce tutte con un solo vocabolario, quello dell’amore.

Mi sono imbattuta nello sguardo di Luca per la prima volta mentre usciva dal salone di parrucchieri gestito da alcuni amici: ho intravisto nel suo sorriso spontaneo la stessa forza di un oracolo capace di suggerirmi una previsione sul futuro:“Tu e questo bel ragazzo con il ciuffo all’insù vi incontrerete di nuovo in un domani non troppo lontano”.

Ho aspettato alcuni anni prima che il destino mi desse ragione, permettendo al fascino di Luca di ammaliarmi per sempre. Uno dei ricordi più teneri che conservo è la lunga passeggiata ai bordi del fiume dopo la prima cena mentre la sua voce mi avvolgeva come un canto.Tra quelli meno piacevoli, invece, c’è la mia ostentata antipatia al secondo incontro: era un modo per mimetizzare la paura di prendere l’ennesima cantonata. Lui ateo, io cattolica praticante; lui amante delle vacanze avventurose, io più incline a quelle comode. Altezza diversa, gusti diversi, approcci diversi.

Eppure avevo capito che, al di là delle etichette, si nascondevano due attitudini simili. La fase del corteggiamento non è stata mielosa: piuttosto ci siamo raccontati con parsimonia, senza mai perdere di vista l’onestà e il rispetto reciproco. Io penso sempre che potremmo paragonarci a una valanga: ci siamo fatti strada piano piano, prendendo volume e forza lungo il cammino, fino a fare esplodere i sentimenti.

La stessa cosa è avvenuta per la nostra casa su quattro ruote. Un’esplosione! Mi sono lasciata travolgere da un’idea che, all’inizio, non mi convinceva del tutto.

«Sai cosa sarebbe fantastico? Comprare un van e trasformarlo nella nostra casa itinerante». Quando Luca mi ha svelato il suo desiderio inconsueto, aveva gli occhi che brillavano come quelli di un cercatore d’oro che ha appena avuto la fortuna di trovare una pepita.

L’ho guardato e ho sorriso. Viaggiare è un elemento irrinunciabile per me e in famiglia mi hanno incoraggiata a scoprire culture diverse e posti nuovi; le mie valigie, però, hanno sempre conosciuto le stanze confortevoli di alberghi e villaggi turistici. Non che io fossi una patita del lusso, sia ben chiaro, ma non potevo neppure definirmi un’amante della vita selvaggia in campeggio, oppure a bordo di un furgone.

«Anche una coppia di miei amici lo ha fatto e ora ne sono entusiasti». Era chiaro pure a lui che avrebbe faticato un po’ a convincermi.

In realtà, da quella conversazione all’acquisto di un minivan, il passo è stato breve. Era il 29 giugno quando ci sono state consegnate le chiavi, non potrò mai dimenticarlo. Eravamo ancora fidanzati e avrei dovuto capire subito che in quella data avevamo suggellato un patto indelebile: è la stessa in cui, esattamente un anno dopo, abbiamo celebrato il nostro matrimonio.

Il minivan era un ragazzone di colore grigio metallizzato, non ancora attrezzato. Ci ha pensato Luca, con le sue mani d’oro e tanta creatività. Si è armato di buona volontà e, passo dopo passo, ne ha completamente trasformato il retro. Saldatura, verniciatura, allestimento: si è fatto carico di ogni cosa. Tornava dal lavoro e si chiudeva nel van; né il caldo né i weekend liberi lo distoglievano da quel compito. In ogni goccia di sudore che vedevo scivolare sul suo viso leggevo la premura con cui quel sogno era stato custodito a lungo nella sua anima.

Ha realizzato dei mobili su misura tutti bianchi, bellissimi, con tanto di cassetti e una piccola credenza. Poi l’angolo cucina, con un vano per la piastra da campeggio e un lavello. Ovviamente anche il letto è opera sua, scomponibile, in modo da utilizzarlo come comoda seduta durante il giorno. Lo abbiamo rivestito con delle stoffe peruviane. E poi la chicca finale, una sorpresa: sempre con il legno, ha intagliato la sagoma delle nostre montagne, le Dolomiti della Val di Fassa, e l’ha applicata sui mobili come decoro. Quando le osserviamo, ci ricordano le montagne e il respiro intenso mentre le labbra si sfioravano per la prima volta. «Come lo chiamiamo?» mi ha chiesto Luca tutto compiaciuto, una volta terminati i lavori. «Cosa?» gli risposi.

«Il van. Dovremmo dargli un nome».
Lo abbiamo battezzato El Caracol, un nomignolo che in spagnolo significa “la lumaca”. Oltre a essere un simbolo di prosperità, ci piaceva il fatto che, come noi, ha sempre con sé la sua casa, la conchiglia.

In poco più di un mese era tutto pronto.Abbiamo fatto il pieno e via, verso la nostra prima meta, la Danimarca. Eravamo elettrizzati, io forse un po’ meno, soprattutto dopo la prima notte trascorsa nel van. Ci eravamo fermati in un’area di sosta in mezzo al verde; peccato che avessimo dimenticato di comprare gli oscuranti per i vetri e avevamo la sensazione di dormire esposti allo sguardo dei passanti. Come se non bastasse, ci siamo ritrovati nel bel mezzo di alcuni lavori stradali con gli operai a pochi passi, e siamo stati costretti a cambiare zona. In realtà, a parte le risate della prima notte e alcune accortezze che abbiamo preso in corsa, sono state le settimane di vacanza più entusiasmanti della mia vita. Abbiamo costeggiato tutta la Danimarca, ci siamo deliziati di paesaggi mozzafiato, abbiamo fatto tappa in piccoli borghi medievali: una vera immersione nella natura e nella tradizione.

Credevo di conoscere bene cosa volesse dire viaggiare, e invece mi sono ritrovata a scoprire emozioni nuove. È semplice raggiungere e visitare un luogo come fanno molti turisti, ma l’idea che si possa dormire a due passi da un lago, o in una foresta, in prossimità di una spiaggia, o in una via della città, è pura adrenalina. È come avere sempre a disposizione una camera con vista, ma senza alcun sovrapprezzo. La fortuna di vivere in un van attrezzato è che, quando tutti gli altri vanno via, noi restiamo ed è come se quell’angolo di mondo fosse solo nostro. Ci sentiamo protagonisti di una pace destinata a pochi eletti e, per noi, quella diventa la più profonda forma di rigenerazione interiore. Chilometro dopo chilometro, cantando a squarciagola le canzoni della nostra compilation preferita, abbiamo raggiunto il punto più estremo della penisola danese, dove il mare del Nord abbraccia il mar Baltico. Da lì abbiamo attraversato tutta la costa ovest, passando per scogliere, parchi e sentieri escursionistici. I castelli, le coccole culinarie, i prati di fiori tra le dune, i resti delle epoche vichinghe: tutto a due passi da casa. Bastava parcheggiare El Caracol e iniziava la magia.

Ricordo il primo faro che abbiamo visitato. Ho avuto la sensazione di smarrirmi e di ritrovarmi allo stesso tempo, percepivo la brezza marina e silenzi che mai avevo sperimentato. Due settimane piene di avventura, uno spazio di libertà che non sapevo neppure di poter vivere.

Ce ne sono state tante di mete da allora: Germania, Norvegia, Slovacchia,Austria, Svezia. Senza dimenticare la nostra meravigliosa Italia: Palermo, il lago di Garda, Matera, la Puglia.

LuCe on the road è tutto questo: sentirsi a casa in ogni angolo di mondo nuovo.
La vera ricchezza è che siamo tornati a essere padroni del nostro tempo, senza sentirci imbrigliati in check-in e lunghe attese in aeroporto. Nei nostri viaggi esistiamo solo noi e il paesaggio.

La pandemia ha tirato il freno alla nostra smania di avventure, ma abbiamo compreso ancora di più quanto valore ha per noi la casa mobile.

Le cose sono migliorate per fortuna e LuCe on the road ha riacceso i fari. El Caracol oggi non c’è più. Lo abbiamo mandato in pensione e acquistato un ragazzone più grande. Finalmente, la nostra casa itinerante ha anche un mini-bagno.

C’è un motivo che ci ha spinti a comprare il nuovo van: a breve si aggiungerà a bordo un piccolo viaggiatore, non sappiamo ancora se maschio o femmina. Imparerà sin dai primi anni quanto è importante viaggiare per sentirsi liberi.

Per noi l’amore è carburante, è bussola, è luce. LuCe on the road. ●

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