La ragazza con la valigia

Cuore
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Sul blog, la storia vera più apprezzata del n. 34 di Confidenze

 

Di quella notte passata con uno sconosciuto ricordavo solo la faccia attonita della giovane donna incrociata sulle scale, il mattino dopo. Sapevo come si sentiva, ero stata tradita anch’io. Mai avrei immaginato di ritrovarmela davanti

STORIA VERA DI BEATRICE R. RACCOLTA DA CATERINA CATERINI

 

Non ero mai stata così infelice come in quell’estate, l’estate dei miei 21 anni.
Marco, il mio fidanzato storico, mi aveva lasciata per telefono alla vigilia della partenza per le nostre vacanze.
Era un po’ strano negli ultimi tempi, mi diceva che si sentiva stanco e depresso ma non sapeva spiegarmi perché. Poi quella sera, per telefono, mi disse che non era più sicuro dei suoi sentimenti e che aveva bisogno di stare un po’ da solo.

Insomma la classica frase che gli uomini ti dicono quando non hanno il coraggio di mollarti in maniera diretta, solo che io a quel tempo non lo sapevo.

Mi sentii crollare il mondo addosso e corsi a casa della nonna dove scoppiai in lacrime.
La nonna, che aveva più esperienza, mi disse di non farmi illusioni perché quando una cosa è rotta è rotta.

Io però, nella mia disperazione, mi aggrappavo al fatto che mi avesse detto che aveva bisogno di stare un po’ da solo, forse gli serviva una temporanea pausa di riflessione. Insomma io speravo ancora che la nostra rottura non fosse definitiva.

«Ma io lo amo! Come fa a non volermi più bene?».

«Sei sicura che non ci sia un’altra?» disse la nonna.
Mi arrabbiai con lei rifiutando di accettare una simile ipotesi ma poi, dopo una settimana passata fra lacrime e notti insonni, venni a sapere da amici comuni che Marco era partito con il camper dei suoi genitori, quello col quale saremmo dovuti andare in vacanza, insieme a una sua compagna di università. Avevano cambiato solo l’itinerario: con me doveva andare in Croazia, mentre per la nuova tipa aveva scelto la Spagna.

Le mie vacanze erano saltate insieme all’amore e mi ritrovai sola e disperata in città con un caldo insopportabile, perché non volli assolutamente che i miei rinunciassero al viaggio che avevano prenotato per restare a consolarmi.
«Me la caverò. E poi c’è qui la nonna» dissi.

Le mie amiche erano partite con i loro fidanzati, ma restava Anna Maria, la più scatenata del nostro gruppo, che era appena rientrata da uno dei suoi viaggi e che si offrì di farmi compagnia e di consolarmi.

Anna Maria era una single senza problemi che passava da un’avventura a un’altra e non si faceva molti scrupoli.

«Guarda come ti sei ridotta per quel cretino di Marco, sei dimagrita e sciupata. Ora ci penso io a portarti a divertirti nei locali giusti» mi disse.

E fu così che la seguii e mi ritrovai, per la prima volta in vita mia, a frequentare la vita notturna in locali e discoteche. Devo dire che quel tipo di divertimenti non facevano tanto per me, ma avevo toccato il fondo della tristezza e quelle notti sfrenate mi aiutavano a non pensare a Marco. Anna Maria si occupò anche di rendere il mio abbigliamento più sexy e, in quelle serate, indossavo minigonne e top scollati che mi donavano, anche se non facevano parte del mio modo di vestire abituale.

L’alcol contribuiva a rallegrarmi e a rallentare i miei freni inibitori e, più di una volta, io e Anna Maria tornammo a casa ubriache fradice.
Una di quelle sere Anna Maria si allontanò per appartarsi su un divanetto con un ragazzo che aveva conosciuto e, dopo un po’ mi salutò con la mano e mi fece l’occhiolino mentre si allontanava avvinghiata alla sua nuova conquista.

Rimasi in pista a ballare da sola senza il minimo imbarazzo. Ero ubriaca e non ricordo troppo bene quello che successe, ridevo e canticchiavo il motivo del pezzo che stavo ballando. Un ragazzo mi si avvicinò, forse era un uomo più che un ragazzo, non so.

Iniziammo a baciarci e… Il resto è tutto un po’ vago.
Non ricordo come finii a casa sua, ricordo solo di essermi svegliata col sole e con un gran mal di testa.

Un mal di testa tremendo. La mia borsa era sul pavimento accanto al letto, frugai e rovesciai tutto, ma non trovai l’antidolorifico che di solito portavo con me.
Il tipo dormiva accanto a me.

Guardai quel petto peloso e pensai: ”Chi è? Cosa ci faccio qui?”. Mi vestii, presi la borsa, ci rimisi tutto dentro e uscii dalla stanza. La mia testa scoppiava, cercavo di non vomitare.
Vidi una cucina molto carina, stile shabby chic. Mi piaceva, ma volevo andarmene. Trovai la porta e finalmente uscii.

La ragazza che incontrai sul pianerottolo, con la chiave in mano pronta per aprire, mi fissò con uno stupore immenso.

La valigia che aveva in mano le scivolò e cadde con un tonfo.
Uscii sfiorandola e affrettai il passo verso le scale.

Mi aggrappai alla ringhiera e mi girai verso di lei che mi guardava con gli occhi pieni di dolore.
Quel pomeriggio chiamai Anna Maria per raccontarle tutto: «Pensa che quel bastardo aveva una moglie o una compagna e mi ha portata a casa sua perché lei era via, ma mi aveva detto di essere single! Questo lo ricordo bene» le dissi.
«E di che ti meravigli? È un classico: lei che rientra prima del previsto. Ti è andata bene che non ti ha beccata nel letto». Anna Maria scoppiò a ridere, ma io non ci trovavo proprio niente di comico.
Non riuscivo a togliermi dalla mente la tristezza che avevo visto negli occhi di quella ragazza.
Ed ero stata proprio io la causa della sua sofferenza, proprio io che avevo provato sulla mia pelle il dolore per il tradimento di Marco. Anche se Anna Maria continuava a dirmi di fregarmene io non mi sentivo a posto con la mia coscienza, ma ormai non potevo farci nulla.

Diradai le mie uscite serali e, soprattutto, smisi di ubriacarmi.
In autunno iniziarono le lezioni all’università e mi rimisi a studiare per preparare gli esami. Dissi alla nonna che ormai avevo chiuso con gli uomini, ma lei scoppiò a ridere dicendo: «Alla tua età non si possono fare certe affermazioni». E per prendermi in giro iniziò a chiamarmi “suor Beatrice”.
Frequentavo la facoltà di Storia e spesso, dopo le lezioni, mi fermavo a studiare nella biblioteca dell’università.
Fu lì che, qualche mese più tardi, conobbi Lorenzo che studiava matematica e aveva un paio d’anni più di me.
Iniziai a frequentarlo e fra noi nacque subito una storia.
Lorenzo mi piaceva davvero tanto e mi trovavo bene con lui in tutti i sensi, ma avevo paura di innamorarmi e mi rifiutavo di trasformare la nostra relazione in una cosa più seria.
Gli raccontai di Marco e gli parlai delle mie paure e lui non insistette.
Così continuammo a frequentarci per diversi mesi, lui non mi faceva pressioni ma era sempre accanto a me quando avevo bisogno di lui e, a poco a poco, mi convinsi che forse non tutti gli uomini erano uguali.
Una sera, mentre stavamo chiacchierando nella sua macchina, l’argomento cadde sulle vacanze e io gli dissi che, l’anno prima, sarei dovuta andare in Croazia con Marco ma che purtroppo era andato tutto a monte.
Lorenzo allora mi disse che quest’anno mi ci avrebbe portata lui in Croazia.
«Davvero?» dissi. «Ma non sarà che poi mi molli anche tu? Perché la Croazia a me porta male» risposi.
«Come ti mollo? Ma allora vuoi dire che noi due stiamo insieme?».
Scoppiai a ridere e gli risposi con un bacio.
Da quel momento cominciammo a fare sul serio.
Lorenzo fu invitato a pranzo dai miei genitori dove conobbe anche la nonna.
I miei erano persone semplici, mia mamma faceva la cassiera in un supermercato e mio papà faceva l’operaio in una carrozzeria. Accolsero Lorenzo con gioia e, sia i miei genitori che la nonna rimasero entusiasti di lui.
La famiglia di Lorenzo era più colta della mia: il padre era un professore universitario e abitavano in una bella villa in collina. Quella domenica sarebbe toccato a me andare a pranzo a casa sua per conoscere la sua famiglia e mi sentivo un po’ intimorita.

Mi presentai portando in omaggio una bottiglia di vino e dei fiori per la mamma e mi sedetti in soggiorno a chiacchierare con Lorenzo e suo padre, mentre sua madre finiva di sistemare per il pranzo.
Era una casa bellissima con mobili antichi che dovevano essere stati di famiglia.
Il padre di Lorenzo fu gentile, affabile e fece di tutto per mettermi a mio agio e anche la madre mi sembrò subito simpatica.
Ci sedemmo a tavola in attesa che arrivasse Virginia, la sorella maggiore di Lorenzo, che viveva da sola ed era separata. Intanto mi ero un po’ rilassata e cominciavo ad avere fame, speravo che la sorella si sbrigasse ad arrivare. «Eccomi, scusate il ritardo» disse Virginia entrando in sala da pranzo.

Mi alzai per salutarla e presentarmi, allungai la mano verso di lei e rimasi impietrita.
Davanti a me c’era “la ragazza con la valigia” che mi fissava. Il sorriso si spense dalle sue labbra, poi però si riprese e afferrò la mia mano: «Virginia».

«Beatrice» dissi soltanto.
Mi si era chiuso lo stomaco, ma mi sforzai di mangiare e in qualche modo riuscii a sostenere la conversazione chiacchierando nel modo più disinvolto possibile anche se, dentro, mi sentivo morire. Virginia sedeva al lato opposto della tavola, di fronte a me e accanto alla madre.

Parlava del più e del meno, anche lei con scioltezza, ma io ne ero certa: mi aveva riconosciuta. Dopo pranzo uscimmo in giardino per prendere il caffè e mi sedetti sul dondolo accanto a Lorenzo.

Dopo un po’ lui si alzò per andare in casa a prendere qualcosa e Virginia prese il suo posto, accanto a me.

E adesso?
Se Virginia avesse raccontato a suo fratello che mi aveva incontrata un anno prima mentre uscivo dopo aver passato la notte con suo marito, Lorenzo cosa avrebbe pensato di me?
Avrei fatto di tutto per non perderlo, così decisi di affrontarla in modo diretto. Non persi tempo.

«Lo so che mi hai riconosciuta, ci siamo incrociate sulla porta di casa e, a questo punto, credo che il tipo con cui sono stata a letto fosse tuo marito. Mi dispiace molto, credimi. Ero appena stata mollata, ero ubriaca e disperata, non mi ricordo niente. Non so neanche come si chiama, ma di certo non sapevo che fosse impegnato» dissi. «Tranquilla, non ce l’ho con te. Sei stata una delle tante. Dopo che l’ho lasciato ho scoperto che era una sua abitudine rimorchiare le ragazze in discoteca per portarle a casa nostra ogni volta che mi allontanavo. Si chiama Marco» disse lei.

«Marco? Come il mio ex. Ma allora è il nome!».
Scoppiammo a ridere mentre Lorenzo, che nel frattempo era rientrato, ci guardava stupito e compiaciuto.

«Voi due, cosa avete da ridere?».
«Mio fratello è così felice da quando ti ha conosciuta» mi sussurrò Virginia.
«Gli voglio troppo bene e non sciuperei mai la sua gioia raccontandogli come ci siamo conosciute un anno fa. E poi è uomo, non capirebbe. Queste sono cose che solo noi donne possiamo capire».
Non ne abbiamo parlato mai più e adesso, io e la ragazza con la valigia, oltre a essere cognate, siamo anche ottime amiche. ●

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