Non ho più paura

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Il 30 maggio è la Giornata Mondiale della Sclerosi multipla che dà il via alla settimana nazionale promossa dall'AISM: ecco la storia vera di Chiara che convive con la malattia

Storia vera di Chiara Pinto raccolta da  Valeria Camagni

 

A 18 anni mi sono ammalata di sclerosi multipla: ero spaventata, temevo per il mio futuro anche se cercavo di non darlo a vedere. Ma poi mi sono curata, ho trovato l’amore e sono diventata mamma. Niente può togliermi questa felicità

La mia giornata di mamma che lavora è iniziata da poco, ma oggi Leonardo non andrà al nido, ho scoperto che ha la febbre e quindi resterò a casa con lui. Di solito le mie giornate si dividono tra il lavoro nello studio odontoiatrico che conduco insieme al mio compagno e il ruolo di mamma di un bimbo di due anni. La sua nascita ha rivoluzionato la mia vita in meglio dopo una rivoluzione ben più pesante: la scoperta della mia malattia.

Soffro di sclerosi multipla da quando avevo 18 anni e oggi ne ho 27. L’ho scoperto quasi per caso proprio l’anno in cui diventavo maggiorenne.

Ho sempre avuto la passione per scarpe, borse e occhiali da sole e ricordo che mi ero appena comprata un paio di occhiali da sole e vedevo le lenti di colore diverso una dall’altra. All’inizio non ci feci caso, poi cominciai ingenuamente a far provare i miei occhiali a tutta la famiglia per capire se erano difettosi finché andai dall’oculista. Lei, allarmatasi, mi prescrisse subito l’esame del campo visivo che risultò fortemente alterato. Quell’anno però avevo la Maturità, così rimandai ulteriori controlli a dopo l’estate. Quando mi fecero la risonanza magnetica la diagnosi fu palese: soffrivo di sclerosi multipla.

Cosa significa ammalarsi di questa patologia a 18 anni?

Ti crolla il mondo addosso, è inutile negarlo. La malattia ha cambiato il mio modo di pensare, di vivere e approcciarmi agli altri. In un certo senso mi sono trasformata nel super eroe di me stessa, ho cercato di proteggere i miei genitori e i miei familiari, di non manifestare tutte le mie paure per non angosciarli, davanti agli altri volevo essere forte, ma la notte avevo paura ad addormentarmi al pensiero che forse il mattino dopo le mie gambe non mi avrebbero più sorretto. Temevo di non riuscire a camminare più, ma tutti questi cattivi pensieri li tenevo per me. Mi ero costruita una sorta di scudo, proprio per non far soffrire i miei genitori, e poi perché al di là delle visite mediche e prescrizioni farmacologiche allora non c’era nessun tipo di supporto psicologico. Ricordo la prima estate, quando al sole mi tremavano le gambe e mi sentivo bloccata, ne parlai con il mio medico, ma mi sentii rispondere che era la mia malattia e che dovevo solo abituarmi a quei sintomi.

Ma io avevo 18 anni, ero una ragazza con tutta la vita davanti, per un giovane è difficile a quell’età convivere con l’idea di non poter fare una vita normale, ti chiudi in te stesso, non hai il coraggio di manifestare il tuo dolore. E infatti dopo la Maturità mi sono presa un anno sabbatico. Un anno in cui in realtà mi ero bloccata, non sapevo bene cosa volevo fare.

Ero già fidanzata con Ernesto, il ragazzo che poi è diventato il padre di mio figlio, ma lui era andato a studiare Odontoiatria in Spagna a Madrid e stava per laurearsi. Era stato premiato come il migliore studente in Spagna, non volevo che rientrasse apposta in Italia per la mia malattia, non volevo che si preoccupasse per me. Così all’inizio non gli raccontai nulla, ma poi naturalmente tramite i miei genitori lui venne informato della cosa e vedere che mi è sempre rimasto accanto in tutti questi anni è stato molto importante per me. Dopo un paio d’anni di grandi paure, decisi di andare anch’io in Spagna a studiare Igiene dentale e di raggiungerlo a Madrid. Sono stati due anni bellissimi, decisivi per il mio cambiamento e la mia evoluzione. Prima di tutto, non avendo vicino la mia famiglia, non dovevo fingere di essere forte a tutti i costi, poi ho capito che potevo farcela. Banalmente anche viaggiare fino a quel momento mi metteva angoscia perché non sapevo mai cosa sarebbe potuto succedermi, se le gambe mi avrebbero retto. Invece in quei due anni ho capito che potevo farcela, che la vita continuava anche per me.

Con il mio compagno poi siamo tornati a Napoli, la città dove siamo nati e abbiamo sempre abitato, e siamo andati a vivere insieme aprendo anche uno studio odontoiatrico in coppia. Naturalmente, da quando mi hanno diagnosticato la sclerosi multipla, ho sempre seguito la cura farmacologica prevista, ma non si guarisce dalla malattia, diciamo che i farmaci sono un ritardante. A un certo punto, visto che le lesioni erano stabili, i medici mi avevano proposto di sospendere le cure per vedere cosa succedeva, ma io non me la sono sentita. La terapia per me era una sicurezza.

Il problema però si è riproposto presto, quando sono rimasta incinta. In questo caso ogni decisione ricadeva non solo su me stessa, ma anche sulla piccola vita che portavo in grembo, e per la sua salute era necessario interrompere la cura. Non ho avuto esitazioni, l’ho fatto per Leonardo, ho smesso i prendere i farmaci durante tutta la gravidanza e subito dopo il parto li ho ripresi.

Credo che il parto sia la salvezza di noi donne, perché con la nascita di mio figlio ho trovato ancora più energia di prima. Io mi ero sempre posta un obiettivo durante gli anni della malattia, all’inizio era non far stare in pensiero la mia famiglia, poi riuscire a studiare in Spagna, adesso è far crescere nostro figlio con serenità.

Leonardo è nato due giorni prima che scoppiasse il Covid e quindi questi due anni non sono stati facili per nessuno. Io e il mio compagno lavoriamo tutto il giorno, io però mi riservo un giorno alla settimana da dedicare solo al nostro bambino. Mi piace farlo stare a contatto con la natura, fare con lui delle attività, dei laboratori. La famiglia è sicuramente una molla in più per chi ha una malattia neurodegenerativa come la mia. L’importante è avere un obiettivo, e poi non nascondersi dietro la patologia, parlarne con chi ti può capire: a me per esempio ha aiutato tanto entrare in contatto con la sede di Napoli dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Li ho trovati da sola, a 19 anni, cercando informazioni in rete sulla mia malattia. Ricordo la prima volta che partecipai al loro convegno per i giovani, c’erano tanti ragazzi come me che soffrivano dei miei stessi sintomi, con cui potevo confrontarmi e non c’era neppure bisogno di spiegarsi perché ci si capiva al volo. Fu una bella emozione partecipare a quel congresso, incontrare e vedere tante persone che studiano e fanno ricerca per noi.

Sono tornata al congresso giovani anche un’altra volta insieme al mio compagno e oggi sono rimasta in contatto con la sede Aism di Napoli, quando posso seguo le iniziative di volontariato come quella recente di vendita delle gardenia in piazza a favore dell’associazione, anche questo aiuta.

Un giorno a Leonardo quando sarà grande racconterò tutto, ma senza colpevolizzarmi, lui deve conoscere anche questo lato di me, deve sapere che può succedermi qualcosa.

Ma nel frattempo vivo e continuo a sperare.

Articolo pubblicato su Confidenze n.21 2022

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