Non voglio sapere i pettegolezzi su di me

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Sparare chiacchiere malevole è un hobby molto diffuso, che fa parte della vita sociale. Detto questo, non voglio conoscere quelle su di me

Succede ovunque: tra amiche, in famiglia, nell’ambiente di lavoro, dal parrucchiere. Non a caso, secondo le statistiche il “passatempo” riguarda il 54% della popolazione. Di cui, udite, udite, il 64% è rappresentato dalle donne.

Mi riferisco al diffusissimo sparare a raffica “chiacchiere inopportune, indiscrete o malevole”.

Così il dizionario definisce i pettegolezzi. Che, esattamente come la pubblicità lo è del commercio, piaccia o no sono l’anima delle relazioni sociali.

Fateci caso: non esiste un raduno di persone in cui a un certo punto non si inizi a raccontare vicende di qualche assente. Meglio se accompagnate da dettagli piccanti. E mai simpatici. Tant’è che se viene a sapere cosa diavolo si dice su di lui, l’interessato ci rimane sempre molto male.

Al proposito, su Confidenze in edicola adesso c’è un articolo interessante, Quell’odioso gossip su di me, in cui le intervistate testimoniano la loro esperienza. La maggior parte delle volte dolorosa, perché scoprire voci cattive sul proprio conto è un’innegabile fonte di sofferenza.

Se penso alle malelingue, credo che in me abbiano trovato terreno molto fertile. Infatti, la mia vita è senza dubbio un pozzo infinito da cui attingere a man bassa.

Per fortuna, di solito riesco a ignorare i pettegolezzi che mi riguardano, soprattutto perché la regola prevede che vengano fatti alle spalle. E io non faccio nulla per scoprirli.

Detto questo, sono consapevole della debolezza umana di sparlare del prossimo. Meglio ancora se con il classico atteggiamento giudicante che può davvero creare grave disagio.

Ecco, allora, che cerco di non curarmi degli altri, guardare e passare.

Certo, non è sempre facile. Quindi, per le decisioni scomode mi affido a un consiglio del mio babbut: «Prima di intraprendere qualsiasi iniziativa, immagina che una persona di cui hai stima ti stia guardando. Se provi vergogna, cambia direzione. Ma se sei in pace con te stessa, vai tranquillamente la tua strada».

L’insegnamento si è rivelato preziosissimo: quando sono convinta di essere nel giusto, non mi interessa cosa pensano gli altri. E se hanno voglia di criticarmi, facciano pure.

Le cose cambiano nel momento in cui è la vita a piombarmi addosso, trasformandomi in un ghiotto bersaglio per le malelingue. Ma anche in quei momenti, alla fine, sono riuscita (abbastanza) a tenere botta.

Qui, però, la strategia è stata diversa: accettare l’esistenza reale come se fosse un film impresso sulla cellulosa.

Chi mi conosce, sa perfettamente che il “mio film” è stato pieno di colpi di scena, con cadute rovinose e risalite faticose. Tutta trippa per gatti golosi di gossip. Ma non abbastanza voraci per annientarmi, anzi.

Mentre c’era chi si riempiva la bocca di veleno, io avevo due briscole: il fatto, già precisato sopra, che molte voci non mi giungevano. E poi, l’idea che chi commentava da stronzo le mie vicissitudini, il mio modo di affrontarle e la mia persona in generale, non teneva conto di una grande verità: accanirsi contro il prossimo è il modo più lampante per rivelare le proprie debolezze e fragilità.

Così, ecco che nel carnefice vedevo la vittima di se stesso. Personaggio di una tristezza infinita, perché troppo desideroso di sfruttare le sfighe altrui per tentare di tenere a bada ataviche frustrazioni.

Di ben altra natura e di certo il benvenuto, invece, è il pettegolezzo leggero. Cioè, quello che saltella con leggerezza dagli amori agli outfit. Dal taglio di capelli alla gaffe.

Questo genere di gossip, lo confesso, è pane per i miei denti. Perché dà guizzo alle chiacchiere tra amiche, senza ferire né danneggiare il prossimo.

Al quale prossimo, comunque, ricordo una frase. Non finissima ma very british, visto che è di Winston Churchill: «Chi parla male di me alle mie spalle viene contemplato dal mio culo».

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