Patate, lattuga e libertà

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A Catania, una cooperativa agricola aiuta gli immigrati vittime del caporalato, a diventare imprenditori di se stessi. Ma soprattutto autonomi. Con questo articolo, la giornalista Paola Pellai, ha ottenuto il secondo posto al IV Premio di Giornalismo di EIT Food

di Paola Pellai

Sono andata a Catania per conoscere una storia di sogni e libertà. A raccontarmela sono i sorrisi di chi ha attraversato l’inferno inseguendo l’illusione di un paradiso italiano. Nulla è stato come si immaginavano, ma ora la speranza è racchiusa in quattro ettari di terreno che coltivano a ortaggi. Otto migranti africani hanno potuto affrancarsi dal caporalato, costituirsi in cooperativa agricola e diventare imprenditori di se stessi. Oggi Afrisicilia sta raccogliendo i primi frutti e allargando gli orizzonti a questi uomini che puntano alla “normalità”: casa, moglie, figli. Ma anche alla sicurezza di un lavoro in regola. Questi migranti sono stati selezionati attraverso un bando regionale per il progetto Percorsi individualizzati di uscita dallo sfruttamento, cofinanziato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. «Non è stato facile individuarli» spiega Domenica Sapienza, del Consiglio italiano per i rifugiati. «I candidati, vittime o potenziali vittime del caporalato, dovevano essere in Sicilia da almeno cinque anni, avere i documenti in regola e conoscere l’italiano. La formazione teorica e pratica è iniziata nel marzo 2022: ora sono pronti».

MOMENTI DI SCONFORTO

Il progetto si sviluppa tra il litorale della Playa e la zona industriale di Catania, sul terreno messo a disposizione dall’Istituto tecnico agrario Eredia. «I migranti sono diventati proprietari e responsabili di un’attività imprenditoriale, è l’investimento più importante che hanno fatto sul loro futuro» sottolinea il coordinatore Francesco Cauchi. Ci sono stati anche momenti di sconforto come quando, per esempio, è andato perso il raccolto di piselli. Come tutte le cooperative anche Afrisicilia ha un presidente, aiutato nel direttivo da Alin, Seku, Benson, Mamadou e Fakeba: è il senegalese Diao, 23 anni, il più giovane del gruppo. Un viaggio di tre mesi prima di sbarcare a Pozzallo, negli occhi gli leggi ancora il dolore per la morte di un amico nel deserto e la malinconia per una mamma che non vede da sei anni. «Ho speso tutti i miei risparmi attraversando Somalia, Burkina Faso, Nigeria, Libia…» racconta Diao. «In Senegal volevo fare il calciatore, il mio idolo era Fabio Cannavaro. Invece in Italia mi sono ritrovato a lavorare la terra. Sono sbarcato in Sicilia senza nulla, sono finito sotto il caporalato ma non avevo alternative. Carmelo, il mio ultimo caporale, lo incrocio ancora ogni giorno e ci salutiamo. Non gli porto rancore: mi ha sfruttato, ma mi ha anche consentito di stare lontano dalla criminalità. Ora ho un contratto regolare e sogno un figlio».

IL PRIMO RACCOLTO

Diao insieme ad Alin sta caricando cassette di fave da portare al mercato. «Le abbiamo pesate, sono 416 chili, ce le pagheranno 70 centesimi al chilo. Non è molto, ma è l’orgoglio del nostro primo vero raccolto» dice. Precisa Alin: «Abbiamo scelto Diao come presidente perché è di parola e porta rispetto a tutti». Ovvero è l’esatto contrario di un caporale. Anche Alin viene dal Senegal e, con i suoi 47 anni, è il più anziano del gruppo: «Sono in Italia dal 2005 e sono uno dei pochi fortunati arrivati in aereo. Sono un maestro di arti marziali, avevo tutti i visti in regola: volevo insegnare taekwondo ai bimbi, ma non bastava per vivere. In 17 anni ho fatto di tutto: falegname, giardiniere, muratore. Sempre in nero, 30 euro per giornate senza orari. Un caporale non mi ha mai pagato i 6.000 euro pattuiti per un anno di sfruttamento. Ma sorrido perché ho saputo dire no ai soldi facili dello spaccio, dei furti e delle rapine». Alin, a Catania, continua il suo sogno con i bambini: «Insegno taekwondo due volte alla settimana. Lo sport ti rafforza il carattere, ti tiene sulla strada giusta. E chissà che qualcuno di quei piccoli non arrivi al sogno olimpico». “Sogno”, anche stavolta, è la parola che ricorre più spesso, avvolta da un velo di malinconia.

BASTA RAZZISMO

«Abbiamo da poco piantato l’okra, ci ricorda le nostre radici» spiega Diao, «È un ortaggio poco conosciuto in Italia, si mangia cotto e ha un sapore delicato». L’okra si aggiunge agli altri ortaggi coltivati: lattuga, bietole, cipolle, finocchi, broccoli, piselli, patate, fave, cavoli… I mesi di formazione hanno portato i migranti ad acquisire le tecniche agrarie, ma anche consapevolezze sui diritti del lavoro e sulla gestione dei budget. Afrisicilia ha a disposizione una struttura in co-housing con una grande cucina, i bagni e le camere per i quattro migranti che hanno scelto di alloggiare qui. Tutto è pulito e ordinato. «I ragazzi hanno rispetto del posto in cui stanno» mi spiega la rappresentante del Cir «Sanno che non devono creare problemi, che non possono portare altri a dormire, che di sera occorre chiudere il portone». I migranti mi portano a vedere le loro camere: Diao tiene le scarpe fuori dalla porta, Alin ha la chitarra che lo aiuta nei momenti bui. E poi entro nella camera del nigeriano Benson: ha 28 anni, da sei è nel nostro Paese e gli si illuminano gli occhi quando chiedo della bella ragazza nella foto sopra il letto: è la fidanzata, che fa la badante a Catania. Entrambi stanno facendo la cosa più giusta: un lavoro onesto per un futuro insieme. Tra gli otto c’è anche Seku, 28 anni. Partito dal Gambia, ha impiegato tre anni prima di sbarcare in Italia: «In sette anni qui non c’è stato un solo giorno in cui non ho combattuto per sopravvivere. Ho fatto ogni cosa pur di non delinquere. Se potessi tornare indietro, resterei nella mia terra, ho corso rischi e fatto sacrifici troppo grandi. Ora la cooperativa è un punto fermo. Un giorno, chissà, potrò tornare in Gambia con le conoscenze maturate qui». Alin sottolinea: «Dobbiamo conquistarci il futuro portando rispetto a tutti, la parola razzismo non deve più esistere». Il team è agli inizi, ma ha ben chiaro che in cooperativa si vive di quello che si vende. Più si coltiva e lavora, più si può vendere. Il passato è alle spalle. Ora c’è solo il presente che profuma di futuro.

Social e punti vendita

La cooperativa Afrisicilia è nata da poco e gli otto associati stanno raccogliendo le idee per far circolare e acquistare i loro prodotti: hanno attivato le pagine social (pagina Facebook Afrisicilia), aperto un punto vendita in loco. Inoltre, presto saranno presenti nei mercatini a chilometro zero di Coldiretti. Un sogno nel cassetto? Stanno cercando un modo per acquistare un trattore.Per informazioni e prenotazione ortaggi: tel. 3938226240. 

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Articolo pubblicato su Confidenze 20/23

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