Roma non c’è più

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La città è scomparsa dietro le immagini dei suoi sindaci, troppo presi dalle loro vicende personali e poco dai cittadini, gli unici rimasti soli

Si parla molto di Roma.  Come simbolo di degrado, sporcizia, corruzione, malavita. Tutto vero. In una parola, mafiacapitale. Ma è uno schema che viene rappresentato sempre uguale, senza mai una notizia specifica sullo scempio dei diritti dei cittadini – come camminare senza rompersi il collo nelle vie sgarruppate, ciò che rende il motorino più pericoloso di una corsa di Formula uno – o poter rincasare senza una lotta urbana su autobus e strade, per via di una circolazione demenziale.

È perché Roma non c’è. Non c’è più. È scomparsa dietro le immagini dei suoi sindaci.  Le loro vicende hanno oscurato la realtà dei piccoli e grandi danni causati da amministrazioni indecenti. Giornali e tv, Marino ha detto, Marino ha fatto, la Raggi ha detto, la Raggi ha fatto…

I media sguazzano nelle stupidaggini, Marino ha parcheggiato abusivamente – grave, per un sindaco, ma non da prima pagina, meno grave dell’attesa infinita dei mezzi.

La Raggi ha le orecchie a sventola! La Raggi è indagata. La Raggi dichiara “Sono serena” (noi no). E lei, e Marino, a rilasciare interviste su interviste, sui loro stati d’animo, sulle loro vicende personali.

Scusate, ma che ce ne importa? E noi, intanto, che dobbiamo fare?

Già c’è a Roma un’antica cultura della prepotenza, dove la maleducazione è un vanto. Qui, meno che in qualsiasi altro luogo, c’è bisogno del caos istituzionale. Gli abitanti provvedono già per conto loro.

Esempi: sono in clinica, assisto un amico malato. Ho 45 minuti di libertà, chiamo un taxi per andare a  prendermi una crèpe. Il taxi sarà lì fra 5 minuti. Aspetto. Niente. Richiamo. “Sta per arrivare”. Dopo 25 minuti si presenta. Non c’è più il tempo per la pausa. Gli dico che rifiuto la corsa. Dal taxi esce un ometto che si mette a urlare come un pazzo, con parolacce che fanno allibire la suora portinaia. O chiamo la polizia, o pago. Pago. In autobus: la via è miracolosamente sgombra, l’autista corre come un bolide. Una signora cade nel corridoio, mentre la aiutano ad alzarsi, lei grida «vada piano!». E lui, «Ao’, ma che vvòi? Ce lo so’ io come devo guida’» Altri protestano. Allora lui per punizione si mette a guidare a passo d’uomo. È un boss, non un addetto a un servizio pubblico. Un passeggero prende il numero dell’autobus. Il suo vicino gli dice: «Ma che sei matto? E se quello fa parte della parrocchia?» cioè, della malavita.

Invochiamo un sindaco di cui non si sappia la faccia, che si ricordi di noi, e che riconosceremo dalle sue azioni.

 

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