I soldi fanno la felicità?

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Quanti soldi si devono avere in tasca per sentirsi ricchi?

Sul numero di Confidenze in edicola questa settimana, Don Luigi e Maria Rita Parsi rispondono alla lettera di una nostra lettrice americana. Argomento: come gli italiani guardano le persone ricche.

Mi piacerebbe essere un’opinionista di chiara fama per pontificare. Ma sono semplicemente Albie, quindi mi limito a una chiacchiera personale (in fondo, essere nata e cresciuta nel Belpaese mi dà il diritto di rispondere all’amica di Oltreoceano).

Senza farla troppo lunga, premetto che nei vari tsunami della mia vita ci sono stati anche marosi che hanno sconvolto le finanze di famiglia. Così, dopo infanzia, adolescenza e primi anni da mamma immersa nel lusso di tirare fine mese senza pensieri, da un giorno all’altro sono piombata nel timore di non arrivare neppure a metà settimana. E se oggi devo continuare a fare i miei conti (con assoluta precisione per non sforare), per fortuna ho almeno la (quasi) certezza di un piatto di minestra ai pasti.

Aver provato entrambe le esperienze, però, mi ha fatto scoprire che quando si è ricchi, è facile farla facile. E che da squattrinati è quasi impossibile non avercela con chi se la passa bene.

Pronti a leggere che i soldi non fanno la felicità e che la ricchezza è qualcosa che hai dentro di te? Ma per favore! Avere il portafoglio straripante è una vera pacchia. E come me immagino la pensino tutti, visto che non ho mai sentito nessuno dire: «Ho la rata del mutuo da pagare, la lavatrice nuova da comprare, la parcella del dentista in sospeso, il conto in banca in rosso e alla mattina mi sveglio felice come una Pasqua».

Detto ciò, è da vedere quando ci si può considerare ricchi e questo è un altro discorso. La mia asticella, per esempio, arriva dove inizia la libertà. Poter fare le cose che mi piacciono, non sentirmi soffocata da una cappa di impegni che detesto e concedermi qualche sfizio ogni tanto sono gli ingredienti di cui ho bisogno per cucinarmi una vita gradevole. Quindi mi reputo molto fortunata: in vacanza, agli hotel a cinque stelle (anonimi e tutti uguali in ogni parte del mondo) preferisco gli alberghetti tipici. Piuttosto che trascorrere una giornata da vera signora sono disposta a scrivere dieci articoli a raffica (in questo momento, per esempio, me la sto proprio godendo). E se vado per vetrine, la mia attenzione non viene mai catturata da gioielli a mille carati, ma da modestissimi (e carinissimi) braccialetti in cuoio.

Non vi nascondo, però, che qualche volte mi domando: «Di un fantomatico zio d’America che mi lascerà un cospicuo e inaspettato malloppone, nel mio albero genealogico non c’è traccia?». Chissà, magari esiste ed è un amico della nostra lettrice yankee.

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