In vacanza, una sola certezza: la moto

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Destinazioni e date di partenza e arrivo possono cambiare in corsa. Ma nei miei viaggi resta sempre invariato il mezzo di trasporto: la fedelissima moto Guzzi

Mentre la maggior parte di voi se ne sta bella bella in vacanza, io sono alla scrivania con l’ultimo numero di Confidenze aperto sulla pagina del test Che viaggiatrice sei?. Ma prima di rispondere alle 15 domande (fatelo anche voi, le trovate in edicola!), ho deciso di raccontarmi da sola, senza l’influenza del profilo che verrà fuori.

Fedele al motto poca brigata, vita beata, non amo le partenze di gruppo. Quindi, due persone mi sembrano più che sufficienti per andare alla scoperta di qualche nuovo posticino, non necessariamente dall’altra parte del mondo, anzi.

Il Belpaese credo di averlo girato in lungo e in largo come solo i turisti stranieri fanno. Dico così perché di solito a luglio sento gli italiani snocciolare mete del calibro dei Caraibi, la Thailandia o la Groenlandia, mentre io mi ritrovo a menzionare uno sfigatissimo itinerario sulle nostre coste o, quando voglio proprio strafare, una macinata di chilometri fino alla Bretagna.

D’altronde, noi europei abbiamo la fortuna di vivere nel continente più spettacolare, ricco e vario che ci sia, quindi perché sorbirmi ore di volo per sbarcare su una spiaggia che non potrà mai competere con quelle della Sardegna? Chi me lo fa fare di raggiungere monti che non hanno nulla da invidiare alle Alpi? E di visitare laghi che impallidiscono di fronte a quello di Como?

Aggiungo dell’altro al mio identikit: se molti organizzano i viaggi fissando in anticipo sia le tappe sia i mezzi per i trasferimenti, io preferisco la filosofia del chi vivrà, vedrà ed eleggo la moto (Guzzi, ndr) regina unica e incontrastata del binomio improvvisazione-libertà che in vacanza mi piace tanto.

Così, quando parto ovviamente mi prefiggo una meta. Ma insieme al motore, accendo anche la possibilità di cambiare destinazione in corsa. E di decidere se arrivarci, fermarmi prima o superarla, a seconda dell’umore e di quello che trovo sul cammino.

Durante le mie vacanze itineranti, poi, amo cenare nei ristoranti che mi ispirano e non in quelli segnalati dalle guide. Fermarmi nei bar meno frequentati dai turisti. E addentrarmi nelle viuzze di località mai sentite nominare e in cui sono capitata assolutamente per caso.

Un esempio? Qualche anno fa, ormai al tramonto e stremata dai tornanti delle Alpi Marittime, ho trovato un paesino minuscolo in cui, invece della tradizionale chiesetta, spiccava una curiosa pensione che sembrava un saloon. Ci siamo fermati (la vacanza ideale, dicevo, è in due), abbiamo mangiato alla grandissima e dormito in una stanza in cui avrebbe potuto riposare un Clint Eastwood stanco e impolverato dopo aver salvato una diligenza dall’attacco degli indiani.

Se è stata una combinazione a portarci in quel posto dimenticato da dio, lo stesso vale per Colmar. Che non è solo un marchio di abbigliamento sportivo, ma anche una Venezia in miniatura nell’est della Francia. L’ho scoperto in un’altra vacanza in cui pensavo di andare a Strasburgo. Ma dove, però, non sono mai arrivata. Perché quando viaggio, come vi ho appena raccontato, vivo alla giornata.

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