Vivevo tra caos e baraonda, ma mi sono redenta

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Nata disordinata all'ennesima potenza, a un certo punto ho rivisto le mie posizioni. E oggi non lotto (quasi) più con oggetti e documenti latitanti

Secondo la giapponese Marie Kondo, autrice del manuale bestseller Vivere in armonia con noi stessi e con lo spazio che ci circonda, tenere lontane confusione e baraonda ha il potere di cambiare (in meglio) la nostra esistenza (per saperne di più, leggete l’articolo Riordinare è un’arte. Ma anche no, su Confidenze in edicola adesso).

Nata disordinata all’ennesima potenza, sono cresciuta con una mamma che mi ha sfinito fin dalla più tenera età con l’imposizione di mettere a posto i giocattoli a fine giornata. Piegare i vestiti subito dopo aver indossato il pigiama. Sparecchiare ancor prima di inghiottire l’ultimo boccone, indipendentemente dal fatto che stessi consumando colazione, pranzo o cena.

Morale, a metà pomeriggio già raccattavo bambole e abitini invece di godermi le ore con le amiche. Dopo il bagno ero tipo commessa alle prese con capi buttati alla rinfusa da maleducate clienti. E quando mangiavo, lo facevo con le gambe fuori dal tavolo per testimoniare l’intenzione di rassettare la cucina al più presto.

Va da sé che abitudini tanto infernali e stressanti abbiano creato in me l’irrefrenabile voglia di ribellarmi. Ma siccome in casa era impossibile discutere il volere di mamie (neanche il Sommo Vate avrebbe trovato le parole adatte per descrivere la sua severità), mi sono scatenata solo nel momento in cui sono andata ad abitare da sola.

Finalmente libera nel mio scrauso bilocale, nel giro di qualche settimana l’ho trasformato in una sorta di mercatino delle pulci (nel quale mancavano solo le pulci visto che ero disordinata, ma mi lavavo!!!). E tra quelle mura sguazzavo come un prestigiatore abituato alla roba che spariva, per ricomparire all’improvviso con mio enorme e ammirato stupore.

Tutto questo ha funzionato i primi tempi. Perché poi, mannaggia, ho cominciato a rimpiangere l’ordine categorico in cui ero vissuta. Un po’ angosciante, magari. Ma nel quale sapevo dove trovare all’istante documenti, multe e bollette da pagare, chiavi di casa sempre latitanti.

Affogata nel mio casino, infatti, a notte fonda mi capitava di svegliarmi di soprassalto. E nel buio della luce tagliata perché non avevo pagato il canone, non riuscivo a riaddormentarmi tormentata dall’idea, la mattina successiva, di dover andare a richiedere il duplicato della carta d’identità. Naturalmente dopo ore trascorse a cercare le chiavi prima di uscire di casa. Che andavano sommate a quelle passate in coda in questura per la denuncia di smarrimento del documento.

A un certo punto, con gli occhi pallati dall’insonnia, mi sono resa conto che forse avrei dovuto mettere un po’ d’ordine almeno nelle scartoffie. Ma visto che una cosa tira l’altra, sono andata oltre e ho allargato il raggio agli armadi, i cassetti, la dispensa. Fino a prenderci un tale gusto da rivedere l’interezza delle mie abitudini.

E sapete cos’è successo? Da allieva ho superato la maestra. Cioè, sono diventata più ordinata della mamma. Tant’è che il bilocale ha acquisito le sembianze asettiche di una clinica svizzera. Con i libri ben allineati sugli scaffali. Il guardaroba stile backstage di una sfilata. I tavolini liberi da ogni cianfrusaglia. Il bagno intonso come quelli degli hotel a cinque stelle appena prendi possesso della stanza.

Insomma, è come se di colpo mi fossi resa conto che avere tutto a posto crea davvero armonia con noi stessi. Infatti, ancora oggi cerco (direi con buoni risultati) di tenere ogni cosa organizzata.

Detto questo, è vero che la natura umana non si può stravolgere al 100%. Quindi, per far fronte ai momenti in cui sento urlare dentro di me l’atavica voglia di sbattermene le palle e tornare a vivere nel caos, ho adottato una strategia: tenere in casa un grosso scatolone piuttosto carino (che fa complemento d’arredo e non pattumiera) in cui scaravento ciò che non ho voglia di archiviare, piegare, mettere via. Così, se penso di aver perso qualcosa, placo le ansie con la speranza che sia finito lì dentro.

In effetti, di solito va così. Anche se, lo ammetto, ormai lo scatolone è talmente zeppo che sembra una discarica. Nella quale, si sa, l’ordine non regna certo sovrano.

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