Disturbi alimentari: se li ascoltassimo?

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Il 15 marzo ricorre la Giornata dedicata a bulimia, anoressia & C. Malesseri in crescita, spie di disagi psicologici più profondi. Che andrebbero anzitutto capiti, per poter essere curati

Il cibo è il primo legame con la vita, il “file rouge” che accompagna e garantisce quotidianamente la nostra sopravvivenza e la nostra crescita. Il 15 marzo ricorre la Giornata Nazionale dedicata ai disturbi alimentari ed è bene, allora, sottolineare come questi ultimi siano in crescita esponenziale tra i bambini e i preadolescenti, oltre che essere diffusi già da tempo tra gli adolescenti (femmine e maschi) e gli adulti, donne e anziani soprattutto.

Per ogni età c’è un disagio

Per comprendere cosa ci sia dietro l’anoressia, la bulimia, l’obesità e i segnali che le precedono, bisogna considerare la fascia di età in cui si verificano tali disturbi. Nel corso dell’infanzia esprimono una difficoltà del bimbo con l’ambiente in cui vive. Per esempio, il rifiuto del cibo da parte di un bambino molto piccolo rappresenta spesso una reazione a un atteggiamento materno eccessivamente autoritario o ansioso; il vomito ricorrente costituisce, invece, una tipica risposta psicosomatica del bambino a un conflitto presente nella coppia genitoriale, a dissidi familiari molto intensi, a una difficoltà a distaccarsi dalla madre; mentre un impulso irresistibile ad alimentarsi, per certi versi avvicinabile alla bulimia dei soggetti adulti, può essere ricondotto alla presenza di nuclei depressivi. Nell’adolescente poi i disturbi alimentari possono essere sia continuazione di analoghi episodi dell’infanzia, sia dipendere dallo specifico momento evolutivo. In questo caso, il rifiuto del cibo è una modalità dell’adolescente maschio per “protestare”, un modo per affermare la propria identità e determinati principi. È importante non sottovalutare tali atteggiamenti, e per farlo ci sono alcune regole da seguire: anzitutto, andare all’origine dei disturbi alimentari che già nel bambino possono essere la spia di un disagio psicologico molto intenso. In secondo luogo, bisogna indagarne le cause e valutare se sia necessario o meno il parere di un esperto. Per esempio, un rifiuto del cibo nel periodo dello svezzamento, essendo legato a una sorta di “braccio di ferro” tra madre e figlio, può essere risolto delegando momentaneamente a un’altra persona l’alimentazione del piccolo. Il vomito ricorrente dei più grandi può invece esprimere un problema più complesso ed essere il segnale della bulimia. Un modo per dire: “Mi fate vomitare: la mia vita, voi, il mondo!”. Infine, bisognerà valutare se il disturbo alimentare sia legato a un episodio occasionale o espressione di un disagio psicologico. L’anoressia, specie tra le ragazze, esprime simbolicamente una protesta che nasce spesso da un disturbo della relazione affettiva con la madre e che, nel rifiuto di nutrirsi, sottolinea la ricerca di indipendenza: “Mi nutro solo di me stessa perché non mi fido di nulla che venga da fuori”. L’assoluto controllo del cibo diventa l’unico potere che questi minori sentono di avere, per contrastare la dipendenza e la sfiducia negli adulti di riferimento. Infine, anche l’obesità è diventata, tra i minori come negli adulti, un modo di manifestare il proprio disagio, con la provocazione del rendersi “ingombranti” e “supervisibili” agli occhi degli altri. Come dire: “Ci sono! Mi vedete?”.

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Articolo pubblicato su Confidenze n. 11 2023.

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