Più vitamina D, meno demenza?

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Gli effetti salutistici della vitamina D non finiscono di stupire. Oggi i ricercatori stanno cercando di capire se questa preziosa molecola possa aiutare a contrastare il declino cognitivo

Sono ben poche le sostanze, farmacologiche o meno, che negli ultimi anni hanno visto catalizzare su di sé l’attenzione di ricercatori e semplici consumatori quanto la vitamina D.

Da “banale” molecola necessaria a prevenire rachitismo e osteomalacia – due patologie che affliggono lo scheletro, rispettivamente del bambino e dell’adulto – la vitamina D si è trasformata in una sorta di toccasana per quasi ogni condizione di salute, suscitando entusiasmi a volte persino eccessivi e non del tutto giustificati.

Oltre a essere fondamentale per lo sviluppo di ossa e denti, sappiamo per certo che questa vitamina liposolubile consente la corretta funzionalità del sistema immunitario, contribuisce a contrastare le infezioni e modula le reazioni infiammatorie. Molti organi e tessuti del corpo umano possiedono recettori per la vitamina D e questo suggerisce che i ruoli della vitamina D siano molteplici e ancora da scoprire compiutamente.

Le ricerche sulla vitamina D, dunque, proseguono. Sulla rivista scientifica Alzheimer’s & Dementia sono stati pubblicati da poco i risultati di un ampio studio condotto negli Stati Uniti, che ha preso in esame oltre 12.000 persone di età superiore ai 70 anni e inizialmente senza demenza.

I ricercatori hanno constatato che nei soggetti che assumevano integratori di vitamina D si è rilevato il 40% in meno di diagnosi di demenza. E concludono che tali prove inducono a ritenere che un’integrazione precoce di vitamina D, prima dell’inizio del declino cognitivo, potrebbe rivelarsi utile per prevenire la demenza.

I meccanismi per spiegare gli effetti positivi della vitamina D sul cervello sembrerebbero legati innanzitutto alla sua capacità di osteggiare l’invecchiamento cerebrale e lo stress ossidativo.

Quello che gli autori dello studio non sono riusciti a scoprire con precisione è l’entità della supplementazione necessaria, né quali livelli di 25-idrossivitamina D [25(OH)D] nel sangue si debbano raggiungere. Vengono in parte in aiuto dati preesistenti, che attestano che concentrazioni ematiche di 25(OH)D superiori a 30 ng/ml sono collegate a una riduzione del rischio di demenza di circa il 40% e del rischio di malattia di Alzheimer di circa il 30%, in confronto ai soggetti con livelli nel sangue inferiori a 12 ng/ml. I benefici riscontrati risultano maggiori nelle persone con cognizione normale rispetto a coloro con segni di lieve deterioramento cognitivo.

È sempre bene aspettare le opportune conferme prima di lanciarsi in affermazioni sensazionalistiche. Tuttavia, dato il numero crescente di soggetti colpiti da malattie neurodegenerative, non sembra azzardato affermare che, insieme ad accorgimenti dietetici di più ampio respiro, l’integrazione di vitamina D potrebbe iniziare a essere tenuta in considerazione per ridurre o ritardare il rischio di deterioramento cognitivo, Alzheimer e demenza vascolare.

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