Riso: integrale non è detto che sia meglio

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I nutrizionisti concordano: rispetto alle loro controparti raffinate, i cereali integrali sono più ricchi di nutrienti e di vantaggi per la linea e la salute. Ma il riso può fare eccezione

 

Integrale è sempre meglio? Non è detto. Il riso può rappresentare un’eccezione. Vediamo perché.

Iniziamo con il dare un’occhiata ai valori nutrizionali del riso bianco, che è poi quello più diffuso. È composto quasi interamente da carboidrati (circa l’80%), rappresentati pressoché tutti da amido. Contiene poi un piccolo ammontare di proteine (6-7%), per giunta di mediocre qualità, e praticamente zero grassi. Il resto è acqua. E micronutrienti (fosforo, potassio, calcio, magnesio ecc.), ma in quantità davvero molto modeste. Insomma, il riso brillato non può certo considerarsi uno “scrigno” di nutrienti, a parte l’amido.

Questo profilo nutrizionale si deve al fatto che il riso raffinato è un alimento trasformato, come è intuibile dal nome. Per aumentarne la digeribilità, prolungarne la conservabilità, migliorare certe qualità di cottura, viene privato, tramite la cosiddetta sbramatura, del rivestimento protettivo esterno, della crusca e del germe, che però sono componenti ricchi di sostanze nutritive e fibra alimentare.

Invece, il riso integrale, di colore bruno, è praticamente l’intero chicco di riso, che è stato spogliato solo del suo tegumento esterno, costituito dalle glumelle dure e legnose, che non lo renderebbero adatto all’uso culinario. Conserva però ancora la crusca e il germe: molti minerali e vitamine sono concentrati proprio qui. Nel riso integrale sono presenti quasi il doppio della fibra alimentare del riso bianco, più vitamine (specie la B1), minerali (potassio, calcio, magnesio, un po’ di ferro, zinco e selenio), antiossidanti, proteine e amminoacidi essenziali e grassi insaturi (sono questi ultimi che creano problemi di conservazione per il riso integrale, facendo sì che irrancidisca piuttosto velocemente). Il riso integrale è di gran lunga più nutriente del riso sbiancato.

La stessa FAO ha raccomandato il ritorno al consumo di riso integrale: la raffinazione del riso nei paesi poveri del mondo (dove purtroppo non esiste la possibilità di un’alimentazione completa e varia) ha contribuito alla diffusione di malattie da carenza vitaminica, in primo luogo il deficit di tiamina, la vitamina B1, che provoca una grave patologia, chiamata beriberi, diffusa soprattutto nelle popolazioni orientali che hanno una dieta basata prevalentemente sul consumo di riso brillato.

Per la grande differenza nutrizionale con quello sbiancato, il riso integrale è nettamente da preferire. O, meglio, sarebbe. Perché nella crusca del riso possono concentrarsi quantità particolarmente significative di metalli pesanti e altre sostanze tossiche provenienti dall’inquinamento ambientale (industrie, automobili, riscaldamento, inceneritori, fertilizzanti e pesticidi). Questo è ancora più vero quando le colture sono situate in aree ad alto inquinamento ambientale (e in Italia ne abbiamo eccome: la Pianura Padana è l’area più inquinata d’Europa). Arsenico, mercurio, cadmio, piombo, cromo possono contaminare il riso e, con il consumo prolungato nel tempo, accumularsi nell’organismo con effetti nocivi per la salute. Il riso integrale sembra contenere elevati livelli in particolare di arsenico. Una soluzione per ridurre il contenuto di arsenico del riso integrale comunque voglio segnalarvela: lasciarlo a bagno diverse ore in acqua a temperatura ambiente, quindi sciacquarlo a lungo e infine bollirlo in tanta acqua.

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