Balkanostalgia di Diana Bosnjak Monai

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Un viaggio per i Balcani, teatro di guerra e di pace,lungo gli anni tormentati della guerra della ex Jugoslavia

“Sono cresciuta sulle sponde della Neretva. Ho sempre visto il ponte innalzarsi su di essa. Non credevo neanche che fosse un’opera dell’uomo, faceva parte del paesaggio, sembrava quasi un’opera della natura o dell’Onnipotente. Non potevo immaginare che potesse succedere quello che è accaduto. Invece, dopo che servi, musulmani e croati si furono massacrati per due anni, questi ultimi vollero distruggere anche il simbolo della convivenza, il ponte che collegava, le due sponde del fiume. (…) L’Unesco e la comunità esterna rialzarono il ponte dalle gelide acque della Neretva pietra dopo pietra e, dove era possibile, recuperandole dalle stesse cave utilizzate per la costruzione. Il monumento ottomano tornò a vivere nella stessa posizione e nella stessa forma di prima, ma le anime delle persone erano cambiate. Un abitante di Mostar ovest, oggi, vent’anni dopo la distruzione del ponte, non riesce ancora ad attraversarlo. Idem dall’altra parte. Dove c’era un ponte che univa, adesso c’è un muro immaginario che divide. E le cose stentano a cambiare. Sono passate intere generazioni, ma la situazione è ancora invariata. O quasi. Forse per dimenticare e perdonare serve più tempo, ma finché saranno vivi quelli che la guerra l’hanno combattuta, non sarà facile cambiare. Ci sono stati troppi morti, troppi invalidi da una parte e dall’altra, per poter vivere tutti insieme in pace e prosperità. Intanto il ponte sta lì, bello, nuovo, maestoso. Sta lì per essere attraversato dai numerosi turisti che arrivano in città, dopo aver visitato Medjugorje, la città che da paesino con tre case e una chiesa è diventata una metropoli. (…) Mentre Medjugorje vede una rinascita, dopo che per secoli è stata una delle parti più arretrate e più povere dell’Erzegovina, Mostar pian piano decade in una malinconia nostalgica, senza alcuna possibilità di sviluppo e prosperità per le generazioni future”. 

Diana Bosnjak Monai (tra i consigli di Confidenze trovate anche Sarajevo, mon amour), “è nata a Sarajevo nell’ottobre del 1970. Ha frequentato la facoltà di architettura all’università di Zagabria, dove ha conseguito la laurea nel 1995. Durante la guerra nell’ex Jugoslavia si trasferisce prima a Zagabria, poi in Slovenia e infine in Istria. Dal 2000 vive e lavora a Trieste”.

In genere non riporto mai indicazioni precise sull’autore del libro che scelgo di consigliarvi ma in questo caso è necessario. Necessario perché spiega una somma di fattori che somiglia ad una sottrazione ma anche ad una moltiplicazione. La Jugoslavia, paese di nascita, luogo di un futuro e poi ad un tratto inferno, luogo di odio e morte, luogo di fughe, di dolore inenarrabile. Diana l’ha abitata, l’ha avuta come identità nazionale e linguistica, ha dovuto accettare prima i rigurgiti reazionari e poi il taglio, avvenuto in un tempo lungo e tremendo, e la ridefinizione nei confini antecedenti l’operazione Tito.

In Balkanostalgia partiamo insieme a Diana per un viaggio, da Trieste al Bosforo. I suoi sono appunti di viaggio e chiunque abbia vissuto sulla propria pelle e dentro le proprie vene quelle terre a noi così vicine ma anche così lontane e spesso culturalmente inconcepibili ma sempre, sempre, luogo di continui e imperituri colpi di fulmine, non potrà non riconoscere spazi, strade, botteghe, colori, profumi, ‘inciampi’, malinconie. I Balcani appartengono al respiro naturale del mondo, sono teatro di guerra e di pace, di odio e di amore; sono il punto esatto e mai fisso in cui occidente e oriente, nello stesso istante, si incontrano e separano, si compenetrano.

Gli appunti di Diana, infine, sono un reportage che non ricerca soluzioni stilistiche ma la possibilità di dare voce a situazioni che non trovano spazio nel mainstream della nostra ‘informazione’ nazionale drammaticamente locale.

Diana Bosnjak Monai, Balkanostalgia, Besa

Confidenze