Dopo l’innamoramento, tutto il resto è noia?

Cuore
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Finiti i frizzi e lazzi degli inizi, troppe coppie si spengono. Allora mi chiedo: è mai possibile che sfuggire alla noia sia tanto difficile?

Ricominciamo è una storia vera pubblicata su Confidenze in edicola adesso che vi consiglio assolutamente di leggere. Soprattutto se non siete freschi freschi di innamoramento, perché potrebbe riguardare anche voi.

A raccontarla è Luca C., convinto che se il rapporto con la fidanzata non funziona più, la colpa è esclusivamente di lei. Che descrive (ma pensa un po’) una donna sempre stanca, svogliata nei confronti del compagno e molto più concentrata sugli impegni professionali piuttosto che sul mantenere gioiosa la relazione sentimentale.

In effetti, da queste parole Marta non ne esce molto bene. Per fortuna, però, a un certo punto del racconto Luca rinsavisce. Comincia a guardare la situazione anche con gli occhi di lei. E finalmente si accorge che per essere felici in due occorre “lavorare” in due. Quindi, capisce che se vuole salvare quell’amore a cui tiene tanto, deve metterci lo zampino pure lui.

Com’è andata la storia tra loro ve lo lascio leggere sul giornale. Mi soffermo, invece, sul più grande problema che tocca, purtroppo, la maggior parte delle coppie: quello del tempo che cancella gli entusiasmi.

Banale? Certo, eppure l’errore di lasciare il sopravvento alla routine mentre gli anni passano viene commesso spesso. Anzi, con una frequenza tale che sfido chiunque ad alzare la mano e dire: «Stare accanto alla mia dolce metà mi rende euforico/a come i primi giorni».

Ovviamente, i frizzi e lazzi che agli inizi scaraventano in una bolla di giubilo allo stato puro sono irripetibili e hanno una durata fisiologica. Però, accettare che la passione si trasformi in un sentimento più pacato è un conto. Un altro, invece, è farsi trascinare nello straziante Tutto il resto è noia cantato con brutale ma realistico cinismo da Franco Califano.

Perché quando arriva il momento di recuperare terreno, l’impresa diventa ciclopica. Il rischio di non farcela troppo alto. E il pericolo di ritrovarsi nei panni (smunti) di conviventi che si accontentano della presenza dell’altro praticamente assicurato.

Allora mi chiedo: come può succedere tutto questo? E mi do tre risposte.

La prima: si permette alla curiosità nei confronti di chi si ha accanto di svanire. Infatti, nei primi mesi di una relazione ci si racconta e ci si ascolta nei minimi dettagli, bramosi di assorbire tutto della new entry. Nel tempo, però, subentra la presunzione di conoscersi a vicenda come le proprie tasche. E il desiderio di continuare a parlarsi e di condividere fatti ed emozioni lascia il posto a lunghi silenzi. Letali, perché sono l’anticamera del baratro.

La seconda: si tende a incolpare l’altro/a appena le cose non vanno. Tant’è che nei litigi, puntuale come una cambiale salta fuori l’odiosa (e non sempre veritiera) frase «Come sei cambiato/a». Urlata per scaricarsi di dosso le proprie responsabilità e lavarsi le mani alla Pilato.

La terza: si dimentica che l’amore va coltivato. Perché se la passione non ha bisogno di essere nutrita (ci pensano gli ormoni), un amore meno impetuoso, seppur destinato al «finché morte non ci separi», per crescere richiede cibo. Esattamente come i bambini per diventare adulti.

Evitare di cadere in queste trappole non è facile. Ma vale la pena tentare. Da giovani, per non mandare all’aria un matrimonio con i figli ancora piccoli e tutto quello che comporta. Dopo una certa età, invece, perché invecchiare in una cuccia accogliente, piena di affetto e di gesti carini è molto ma molto più bello che sopportarsi per abitudine, convenzione o per la terribile paura della solitudine.

Confidenze