Flirt e buoi dei paesi tuoi

Cuore
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Non ho mai creduto nei flirt con uno straniero. Il mio “raggio d'azione”, infatti, è sempre stato molto ristretto

Può durare il flirt con uno straniero? È  il titolo di un articolo che potete leggere su Confidenze in edicola questa settimana. Non so la vostra, ma la mia risposta è no. Nel mio caso, addirittura, la relazione non potrebbe neanche incominciare e vi spiego perché.

Nata a Milano da genitori milanesi (una rarità, se non si contano quelle famiglie super blasonate con cognomi altisonanti e secoli di storia alle spalle di cui non faccio parte), come “bacino d’utenza” ho sempre considerato esclusivamente la zona della città compresa tra la cerchia dei Navigli e la circonvallazione esterna, senza mai sconfinare di un centimetro (se confesso qualche incursione in Valle d’Aosta o in Liguria, è solo perché si tratta di regioni satellite del capoluogo lombardo e là è come giocare in casa).

E poi, nonostante abbia frequentato il liceo linguistico, con l’inglese sono un disastro: lo parlo discretamente, ma non capisco una parola quando mi rispondono. E se in francese me la cavo un filino meglio, cado sulla pronuncia: in confronto, l’accento di monsieur  «je suis Ponchià» (dell’indimenticabile Diego Abatantuono di Marrakesh Express) sembra quello di un parigino del XVI° arrondissement.

Detto ciò, mi vedreste mai in coppia con uno straniero, come le mie cugine? La più grande si è sposata lo scorso anno con un bellissimo ragazzo inglese ed è appena diventata mamma. E la sorella (se i programmi non sono cambiati) convolerà presto a nozze con un altro figaccione che ho conosciuto al primo matrimonio internazionale della nostra famiglia.

Com’è andata? Tra lo sposo e il futuro sposo, tutte noi milanesi dai 6 ai 90 anni ci siamo lustrate gli occhi dal momento del sì al brindisi di saluto. Ma per quel che riguarda la mia chiacchiera con i cugini (quello acquisito e quello in via di acquisizione), ammetto che non è andata granché bene. Appena tacevano un attimo, buttavo lì un convinto «Yes», illudendomi che bastasse a inventare un dialogo. In realtà, si trattava di loro monologhi. I cui contenuti ancora oggi per me restano un mistero.

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