Funeral party

Cuore
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Vi riproponiamo sul blog la storia vera più apprezzata del n. 47 di Confidenze

 

È difficile chiudere un rapporto e non farsi male, specie quando si è formata una famiglia. Io e Fabio ci vorremo sempre o qualcosa di più di questo stare insieme tiepido e senza entusiasmo

STORIA VERA DI GIULIA F. RACCOLTA DA FABIANA DANTINELLI

 

Innamorarsi a un funerale? Sembra una cosa grottesca, impossibile, ma a me è successo sul serio. Il fatto è che siamo abituati ad immaginare un funerale solo come un evento triste, qualcosa legato alla liturgia, un ultimo silente e lacrimoso viaggio per accompagnare il famoso “congiunto” nell’aldilà. Ne avevo visti di funerali nel corso della vita, nonostante avessi poco più di trent’anni nella mia famiglia un bel po’ di parenti “lontani” avevano lasciato questo mondo e per i miei era stato sempre d’obbligo presenziare alla cerimonia d’addio, anche quando ci si ricordava a malapena il nome del defunto. Il funerale di Mario era stato tutta un’altra cosa. Io non lo conoscevo Mario, ma quando un rispettabile signore sulla settantina si era presentato con aria dignitosa nel foyer del teatro, mi aveva subito parlato di lui, del suo amico Mario, di quanto gli piacesse venire in quel teatro e quanto amasse le serate di Milonga organizzate proprio nel foyer ogni secondo giovedì del mese. Una specie di rituale. Era un tipo simpatico Mario. Non si era mai voluto sposare, ma era stato oltre cinquant’anni “fidanzato” con Marisa. Gli piaceva l’idea di fare il fidanzato anche da “vecchietto”, come ormai aveva preso a definirsi con un velo d’amarezza. A raccontarmi tutto era stato Ferdinando detto Ferdy, l’amico del cuore di Mario, il signore impettito che si era presentato al bar del teatro. lavoravo lì da circa due anni, ma solo di rado al turno della Milonga, forse chissà il signor Mario l’avevo anche incrociato, magari gli avevo versato del vino, forse ci avevo anche parlato, ma distratta com’ero forse non avevo fatto caso a lui. Incontrando Ferdy me ne dispiacqui molto. Siamo sempre così sbadati e superficiali da perderci le piccole cose, quelle che a volte possono regalarci un attimo di felicità migliore di tanti altri pigri istanti di noia e solitudine.

– Devo chiederle una cosa signorina.
– Aveva esclamato Ferdy tutto circospetto ad un tratto.
– È lei che si occupa della Milonga? –
– Beh sì, diciamo di sì, non ci sono spesso il giovedì, ma il mio socio sì. Vuole iscriversi? –
– Oh no no per carità. Sono rigido come un palo della luce. Mai stato fatto per la danza! –

Ferdy aveva riso finalmente rilassato e io ne avevo assecondato con un sorriso la battuta, poi però era tornato ad assumere quella strana postura impettita di chi deve confessare qualcosa per cui prova un imbarazzo mortale.

– Il fatto è un altro. È una cosa per Mario. –
– Ah il suo amico. –
– Sì… Vede lui è… Ecco… –
A quel punto una cappa di malinconia era scesa sui suoi occhi allegri ed asciugandosi una piccola lacrima che stava per rimbalzargli sul baffo candido aveva final- mente concluso la frase.

– È morto. –

– Oh mi dispiace tanto. So che è una cosa un po’ banale da dire…-

– Ma no… È molto carina lei, a Mario sarebbe piaciuta. Lui amava tanto le belle donne sa? Anche se a Marisa è sempre stato fedelissimo, un vero soldato. –
– Un uomo d’altri tempi…-

Avevo aggiunto sorridendo, mentre gli posavo una ma- no sulla spalla coperta da un elegantissimo Loden. Ferdy aveva preso a sciogliersi la sciarpa rossa, ada- giandola sul bancone vicino al panama nero che con molta premura aveva tolto non appena varcata la soglia del teatro. Adesso si sentiva più a suo agio.
– Vede, a Mario piaceva il tango. Veniva qui ogni secon

do giovedì del mese a ballare con Marisa. Sa per noi vecchi non è che ci siano tante cose da fare raggiunta una certa età. –
Aveva di nuovo ridacchiato malizioso.

– Mi fa piacere che abbiate apprezzato questa iniziativa. È stata un’idea di un’amica sa? All’inizio io e il mio socio non eravamo molto convinti, qui nel bar del teatro non si guadagna granché devo dirglielo, ma poi ci siamo detti “perché no?” Dopotutto vede che bel foyer che c’è qui? Ed il giovedì non c’è spettacolo, era un modo per tenere attivo tanto il teatro quanto il nostro piccolo bar. –

– Avete fatto benissimo! Mi creda, io sa per via del fatto che non ballo sono solo venuto una volta per far felice Mario, ma a lui piaceva tanto. –
– Ne sono molto felice. –

– È per questo che sono venuto. Sa voleva venire la povera Marisa, ma è ancora distrutta dal dolore…-
– Capisco… –
– Così mi sono deciso io ad intercedere per lei. Vorrei chiederle una cosa, posso? –

– Ma certo. –
– Vorremmo organizzare qui il suo funerale. –
Le pupille mi erano schizzate fuori dalle orbite, per poco non mi cadevano nella tazzina di caffè che avevo offerto al buon Ferdy.
– Un funerale? In un teatro? –
– No aspetti, non mi fraintenda. Non un vero funerale, più una serata commemorativa. Durante una comune milonga del giovedì. –
La richiesta mi aveva francamente spiazzata. Ferdy se ne era accorto e aveva subito provato a rassicurarmi.
– Tranquilla signorina, non abbiamo mica intenzione di portare qui un morto, non in senso fisico quanto meno! –
Era di nuovo scoppiato a ridere. Mi aveva spiegato che Mario non era stato mai religioso e che aveva lasciato scritto nel suo testamento che non avrebbe assolutamente voluto essere tumulato in un cimitero, né doveva svolgersi in suo nome alcuna cerimonia sacra. Voleva essere cremato e desiderava che le sue ceneri venissero sparse dal punto più alto di Castel del Monte, il suo paesino d’origine in Abbruzzo, nel cuore del Gran Sasso. Perché così nel vento sarebbe tornato da Marisa ad accarezzarle i capelli ogni sera. Ferdy si commosse nel dirlo e anch’io sentivo spuntare una lacrimuccia desiderosa di tuffarsi in quel caffè.

– Mario è già nel vento. Solo che noi amici volevamo salutarlo a modo nostro. Alcuni non sono potuti andare in Abbruzzo, siamo qui a Roma e per molti è difficile spostarsi, sempre per via del fatto che non siamo più giovanotti ecco.-
– Lei è un fiore signor Ferdinando. –
– Mi chiami Ferdy la prego. –
Aveva aggiunto pieno di tenerezza.
– Vorrebbe fare questa cosa per noi? –
La dolce richiesta di Ferdy non poteva essere disattesa. Ci volle un po’a convincere il mio socio, ma alla fine ero riuscita a farlo cedere ed il giovedì successivo era già pronto quello che Ferdy aveva subito ribattezzato con la sua adorabile ironia “Mario’s funeral party”. Vennero tantissimi amici un po’ in là con gli anni e mi stupii enormemente nel trovarli tutti così arzilli, c’era naturalmente Marisa tristemente felice di vedere tutto quel calore intorno e poi Ferdy con sua moglie e perfino un paio di nipotini. L’atmosfera fu inaspettatamente allegra, si ballò il tango, si bevve e si brindò a Mario. Un po’ quasi mi pareva di conoscerlo anche io ormai.

– Lei non balla? –
Una voce intensa mi aveva raggiunta dal bancone men- tre ero intenta a rimpinguare le ciotole di patatine. Alzando la testa il mio sguardo aveva incrociato quello di un uomo sulla quarantina dall’aria sportiva.
– Oh no… Non sono molto portata. –
– Posso invitarla? –

Ero rimasta sulle mie per un lunghissimo minuto, ma poi non ero riuscita a negarmi.

– Lei deve essere Giulia. –
– Come fa a sapere il mio nome? –
-È stato mio padre. –
Mentre volteggiavamo leggeri sul marmo del foyer, sulle note di un sensuale tango argentino, guidata nei passi dal mio improvvisato partner di danza, mi scoprii inspiegabilmente attratta da lui.
– Mario era mio padre. L’ha vista in paio di occasioni qui al bar e non ha fatto altro che ripetermi da allora che dovevo venire a conoscerla. Sa che l’ha messo perfino nel testamento? –

– Nel testamento? –
– Proprio così, ha scritto che se non venivo a conoscer- la mi avrebbe mandato maledizioni dall’oltretomba, un tipo bizzarro mio padre, se ne sarà accorta.
– Francesco, questo era il suo nome, continuava a farmi volteggiare come una piuma, mi sentivo leggera ed irresistibilmente attirata da quello sconosciuto al punto che nel momento di maggiore intensità quasi erotica di quel tango, mi lasciai baciare sul collo. Continuammo a ballare per tutta la serata, una manciata di volteggi ed era già come se ci conoscessimo da sempre, lui fotografo ballerino in giro per il mondo, sempre in fuga da qualcosa e io barista rassegnata e distratta che non si ricordava più cosa stava cercando esattamente nella vita. È buffo come destini tanto lontani possano incontrarsi così d’improvviso, una sera qualunque nel foyer di un teatro a Monteverde. Quella notte accadde molto altro fra noi e fu solo l’inizio di una storia d’amore tra- volgente che ancora oggi mi emoziona, forse perché io e Francesco ci siamo incontrati da adulti, quando entrambe pensavamo che non fosse più possibile innamorarsi. La verità è che è sempre possibile, bisogna solo concederselo, lasciarsi e lasciar andare quando finisce tutto, senza ruggine o rammarico. Non lavoro più in quel bar, non sto più nemmeno con Francesco, ma ogni tanto ci passo ancora a bere un caffè e a sussurrare piano “grazie Mario.”© RIPRODUZIONE RISERVATA
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