La corrispondenza

Cuore
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“Voto La corrispondenza, un amore che dura nel tempo e non si spegne mai” scrive Tonina, una nostra lettrice, sulla pagina Facebook. Vi riproponiamo sul blog la storia vera più apprezzata del n. 47 

 

Conobbi Luca quando le lettere erano ancora uno strumento prezioso per comunicare. Era serio, bellissimo ed era arrivato in un momento difficile per me. Sentivo di poterlo amare, ma stava per trasferirsi in un’altra città, per almeno un anno. Quei fogli scritti a mano sarebbero bastati a tenere vivo il nostro sentimento appena nato?

Storia vera di Silvia B. raccolta da Simona Maria Corvese

 

Era il maggio del 1989 e stavo attraversando un periodo difficile emotivamente. Mio nonno era morto nell’inverno precedente privandomi di un riferimento importante nella vita. Lui, vedovo, mi aveva curata permettendo a mia madre di continuare a lavorare. Era stato una presenza fondamentale soprattutto da quando i miei genitori si erano separati. Ormai avevo 22 anni, ma la sua perdita aveva lasciato un grande vuoto affettivo. Aveva rappresentato l’equilibrio emotivo che non avevo trovato in una famiglia di genitori divorziati. Frequentavo con profitto la facoltà di Giurisprudenza alla Statale di Milano. Se avessi continuato mantenendo il mio ritmo, mi sarei laureata nei tempi prescritti. Tuttavia le cose avevano preso una piega diversa: mia madre lavorava in banca, era stata trasferita in un’altra città e tornava a casa solamente nei fine settimana. Ero rimasta a Milano perché non aveva senso trasferirmi visto che mi mancavano pochi esami alla laurea. Per colpa di questo cambiamento non riuscivo a concentrarmi, mi sentivo smarrita e non avevo superato due esami, cosa mai accaduta prima. Decisi di lasciarli momentaneamente da parte e di dedicarmi a un’altra materia.

Un giorno Lara, la mia migliore amica e compagna di studi, mentre stavamo preparando l’esame di Procedura penale mi disse: «Silvia, non sei più la ragazza che conosco. Ti vedo insicura, e non è da te. Hai bisogno di un’iniezione di fiducia».
Ero seduta a un tavolo della sala a crociera in università, l’avevo di fronte e la guardai come se fosse impazzita. Era vero, mi sentivo smarrita, ma cosa intendeva con “iniezione di fiducia“?
«Ti faccio conoscere mio cugino Luca. È diventato da poco magistrato. Sai cosa c’è? Ci facciamo interrogare da lui prima di sostenere l’esame. È bravissimo, fidati».
Controvoglia mi lasciai trascinare in questa impresa per non deludere Lara.
Il sabato mattina successivo mi recai a casa sua. Il portone del palazzo signorile dove abitava era aperto e intravidi accanto a Lara un uomo snello e slanciato. Indossava un completo grigio chiaro e una camicia bianca che gli conferivano un aspetto distinto. Provai un tuffo al cuore: era bellissimo.
Sul marciapiede davanti al portone c’erano dei lavori in corso e dovevo superare una passerella in acciaio per raggiungerli. Mi mossi con cautela sulla passerella che sembrava instabile. A sorpresa, uno degli operai mi prese la mano per aiutarmi a varcarla. Lo fece con un gesto galante, dandomi la sensazione di volersi far notare. In realtà ce l’avrei fatta benissimo da sola a superarla. Ringraziai con un certo imbarazzo. Non concedevo mai confidenze a estranei e non mi piaceva fare la civetta con gli uomini. Oltretutto il cugino di Lara stava assistendo alla scena e non volevo che si facesse di me l’idea di una ragazza superficiale ancora prima di conoscermi. Il pensiero m’imbarazzò.
In quel momento Lara e il cugino mi vennero incontro. Lei mi sorrise, lui invece sembrava fissare l’operaio un po’ troppo galante. Feci in tempo a cogliere l’occhiata severa che gli rivolse. Inarcò impercettibilmente un sopracciglio e questo bastò a far tornare nei ranghi l’uomo. Mi stupì il piglio autoritario che aveva esercitato con un semplice sguardo.
Subito dopo mi rivolse un sorriso di complicità e io sentii le farfalle nello stomaco.
Entrammo nel cortile del palazzo e, mentre ci dirigevamo verso la scala che portava all’appartamento di Lara, lei finalmente mi presentò Luca.
«Molto lieto, Silvia» disse stringendomi la mano. A contatto con la sua pelle calda e con la stretta virile, una sensazione di tepore si irradiò in tutto il mio corpo. Cosa mi stava succedendo? Non mi ero mai sentita così viva. Un sorriso simpatico e astuto gli illuminò il viso creando un netto contrasto con l’espressione severa di poco prima. Non doveva essere molto più grande di me. Indugiò qualche secondo, guardandomi come un uomo guarda una donna e ne fui lusingata. Entrati in casa, Lara ci accompagnò nello studio di suo padre, dove avremmo fatto il nostro ripasso aiutate da Luca.
Ci accomodammo alla scrivania e lui estrasse dalla borsa alcuni fogli sui quali erano segnati degli schemi scritti di suo pugno. Erano appunti di Procedura penale che aveva elaborato per prepararsi all’esame di Stato. Li studiammo e lui sottolineò i concetti principali, poi ci diede appuntamento alla settimana successiva. Ci saremmo incontrati tre volte alla settimana per 15 giorni e avremmo ripassato in modo dettagliato tutto il programma. Così sarei arrivata all’esame preparatissima.

 

Salutati Luca e Lara, m’incamminai verso la metropolitana. La professionalità di Luca mi aveva impressionata favorevolmente, ma ciò che mi aveva affascinata più di tutto era la sua personalità. Mi era parso maturo, equilibrato, attento agli altri. Non si era mai dato arie da arrivato, cosa che me lo avrebbe reso subito antipatico. Mi aveva fatta sentire protetta, serena e inspiegabilmente accanto alla persona giusta. Stavo pensando tutte queste cose quando mi accorsi che lui mi aveva raggiunta.
«Ciao, vai anche tu a prendere la metropolitana?» mi chiese con un atteggiamento aperto e spontaneo.
Era una giornata calda, mi domandai come Luca riuscisse a resistere a quella calura indossando la giacca del completo. Proprio in quel momento se la tolse, si slacciò i polsini della camicia e arrotolò le maniche appena un po’. Non potei fare a meno di notare sotto la camicia i muscoli tesi delle braccia e le spalle larghe. Parlammo per un po’ di cose generiche, progetti per l’estate e la mia tesi di laurea, poi fummo interrotti dall’arrivo di una ragazza. La conoscevo di vista in università e sapevo che abitava nel quartiere di Lara.
«Ciao, Luca, è da qualche tempo che non ti vedo alle serate con gli amici. Ci sei stasera?» chiese con estrema disinvoltura. Era affascinante, alta, vestita in modo sensuale. Il tipo di donna sicura di sedurre gli uomini, anche solo per capriccio.
Non sapevo che conoscesse Luca ma, visto che abitava a pochi isolati da Lara, la cosa non mi stupiva.
Parlava con Luca, ma al tempo stesso mi guardava come a sfidarmi. Sorrisi pensando che non poteva certo considerarmi una rivale con i miei jeans comodi, la camicetta a fiorellini provenzali, i capelli sistemati a coda di cavallo e, soprattutto, una totale inesperienza nel sedurre gli uomini. Eppure lo sguardo che mi puntava addosso era inequivocabilmente di sfida. In quel momento provai un’assurda gelosia, ma, realisticamente, non avevo armi per competere.
«Non so se riuscirò a esserci stasera» rispose Luca cortese, ma asciutto.
Ebbi la sensazione che non gradisse la sua presenza. Lei lo trattenne con altre domande e una gentilezza studiata.
Sentendomi di troppo in quella situazione, salutai con un filo di voce Luca e ripresi a camminare verso la metropolitana. Ero arrabbiata con me stessa per la mia timidezza. In quel tipo di situazioni mi sentivo a disagio e iniziavo a parlare con un filo di voce, tanto che gli altri neanche si accorgevano che avevo detto qualcosa. Ed ero talmente impacciata da venire spesso scambiata per una persona scontrosa. In realtà ero solo chiusa come un riccio. Così per tutto il tragitto mi chiesi se Luca aveva sentito il mio saluto, o avevo fatto la figura della maleducata.

 

Mentre scendevo le scale del metrò, sentii chiamare il mio nome e subito dopo la brusca frenata di un’auto. Mi voltai di scatto e vidi Luca che cercava di attirare la mia attenzione. Intanto stava attraversando la strada sulle strisce pedonali, ma senza guardarsi intorno e obbligando la macchina in arrivo a una repentina frenata. Con due falcate delle sue lunghe gambe mi raggiunse.
«Hai visto che matti ci sono in giro al volante?» esordì con una disinvoltura disarmante e, come se nulla fosse accaduto da quando avevamo interrotto la nostra conversazione, riprese a parlare. Prendemmo insieme la metropolitana e rimanemmo uno di fronte all’altra, attaccati a un palo nella carrozza gremita.
Luca era simpatico e, nonostante il frastuono che ci circondava, fu facile e naturale conversare con lui. A 27 anni era diventato da poco magistrato. Prima aveva lavorato con un investigatore privato. Definì “storica” la sua ragazza, ma non percepii grande entusiasmo nella voce quando ne parlò. Mi chiesi a cosa era dovuto quell’atteggiamento: discrezione o noiosa routine in un rapporto ormai stiracchiato? Sotto sotto ci speravo.
«Arrivederci alla settimana prossima» disse scendendo qualche fermata prima di me.
Nelle due settimane successive diventò una piacevole abitudine aspettarci alla fine della lezione e percorrere quel tratto di strada che dalla casa di Lara portava alla fermata della metropolitana. Parlavamo di tante cose, soprattutto dei nostri progetti per il futuro.
«Cosa farai dopo la laurea?» mi chiese un giorno mentre viaggiavamo in metropolitana. «Pensi a un praticantato presso un avvocato?».
L’aria condizionata era troppo forte e io ebbi un brivido; se ne accorse e si tolse la giacca dalle spalle, porgendomela con spontaneità. Mi sentii avvolta dal calore del gesto e ne fui conquistata. Improvvisamente ci fu una frenata brusca e per poco non ci ritrovammo abbracciati. Sentii l’odore gradevole della sua pelle e il suo fiato carezzò la mia guancia. Arrossii, imbarazzata non tanto per la vicinanza quanto perché desiderai un suo abbraccio. Superato il senso di disagio, ripresi il controllo di me stessa e risposi: «No. Frequenterò un master di un anno in Risorse umane e andrò a lavorare in un’azienda. E tu?».
Mi rivelò che aveva chiesto di essere mandato a far esperienza a Caltanissetta, un’idea maturata ormai da molto tempo e della quale era seriamente convinto.
«Come l’ha presa la tua ragazza?» chiesi di getto mentre scendevamo alla mia fermata. Mi accompagnava visto che aveva un impegno nella mia zona. Sapevo che lei aveva un lavoro stabile a Milano come architetto.
«Abbiamo deciso di interrompere di comune accordo il nostro fidanzamento. E non è dovuto al fatto che starò lontano da Milano per più di un anno» mi spiegò. «Eravamo consapevoli ormai da tempo che il nostro era un rapporto stanco nel quale non ci davamo più niente, ma non avevamo il coraggio di pronunciare la parola fine. La mia decisione di andare in Sicilia è stata l’occasione per essere onesti reciprocamente. Non c’è rancore tra noi. Rimane però un senso di amarezza per una storia che non ha avuto un lieto fine».
Provai rincrescimento per la situazione, ma non ebbi il tempo di dire niente perché Luca mi disse: «Mi piacerebbe mantenere i contatti con te quando sarò in Sicilia. Ti farebbe piacere se restassimo in contatto per raccontarci come ci stanno andando le cose?».
Ero consapevole di essere attratta da lui e in quel momento nutrii delle speranze.
Ci conoscevamo solo da due settimane, ma era bastato per comprendere che tra noi si era sviluppato un reciproco interesse.
Dunque l’idea di rimanere in contatto mi rese felice.

 

A luglio Lara e io superammo l’esame di Procedura penale con il massimo dei voti e festeggiammo il risultato in pizzeria insieme a Luca. Continuammo a frequentarci per tutta l’estate poi, a settembre, lui partì per Caltanissetta. Lo accompagnai all’aeroporto la mattina della partenza con un peso al cuore: avevamo iniziato a volerci bene e il distacco era ancora più doloroso. Quando giunse il momento di salutarci, lui mi baciò. «Aspettami, per favore. Un anno passerà velocemente e tornerò da te». Nei suoi occhi lessi la conferma che i suoi sentimenti erano uguali ai miei. Durante l’anno della sua assenza intrattenemmo una fitta corrispondenza e mi resi conto che l’affetto per Luca non perdeva intensità. Ci fu un breve intervallo nella separazione quando tornò a Milano per Natale, poi la sua lunga assenza fu colmata solo dalle lettere. Ci telefonavamo, ma di rado. Entrambi preferivamo affidare alle parole scritte i nostri sentimenti.
L’autunno successivo, quando ormai il suo periodo in Sicilia stava per finire, ricevetti una nuova lettera.
Gli avevano proposto di rimanere a Caltanissetta un altro anno, ma lui non aveva ancora accettato. Sarebbe tornato a Milano a dicembre e voleva parlarmi.
Ripensai alle sue parole quando mi aveva chiesto di aspettarlo, ma ebbi una brutta sensazione.
Da quel momento, in effetti, si fece più rado lo scambio di lettere tra noi. Mi mancava la sua presenza e l’idea di dovergli dire addio mi procurava dolore. Nel frattempo mi ero laureata e frequentavo il master in Risorse umane. La mia vita non aveva ancora preso una direzione precisa come quella di Luca. Aspettai che tornasse, anche se avrei desiderato raggiungerlo a Caltanissetta per chiarirci. Purtroppo non era possibile perché la mia famiglia non aveva grandi mezzi e stavamo facendo tutti dei sacrifici perché io potessi frequentare quel costoso master.
Finalmente arrivò Natale e quando ci incontrammo fui io a parlare per prima. «Luca, io ho provato subito per te un sentimento che non ho mai sentito per nessuno. Ci siamo frequentati per soli due mesi ma sono bastati per capirlo e la distanza che ci ha separato fino a ora non ha mai affievolito ciò che provo per te».
Luca non mi lasciò finire. «Temevo volessi lasciarmi, ma non posso immaginare la mia vita senza di te. La corrispondenza che ci siamo scambiati è tutto ciò che ho di te, ma non mi basta più» disse abbracciandomi forte e baciandomi con passione.
Fui io a staccarmi per prima. «Chi ama non può essere egoista. Se il tuo sogno è di rimanere in Sicilia a servire lo Stato, non ti ostacolerò mai».
Da quel giorno Luca e io ufficializzammo il nostro sentimento. Terminato il master lo raggiunsi a Caltanissetta. Convivemmo per due anni e io trovai lavoro in un’agenzia interinale. Finito quel periodo, di comune accordo chiedemmo il trasferimento a Milano e l’ottenemmo.
Oggi, a distanza di tanti anni, il nostro affetto è ancora forte e con grande orgoglio guardiamo i nostri figli che si preparano a iniziare l’università.
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