La luce della speranza

Cuore
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Si avvicinano le feste e non è un bel periodo per me. Per fortuna c’è la mia nipotina a rallegrarmi. Un giorno vado a scuola, a conoscere la sua maestra: ha occhi brillanti e modi così dolci che mi conquista subito. Peccato che sia già sposata, mi dico

 

Storia vera di Andrea N. raccolta da Simona Maria Corvese

Parcheggio davanti alla scuola di mia nipote, do un’occhiata all’orologio e mi avvio lungo il vialetto, ma il mio stomaco è in subbuglio: è il primo colloquio che sto per sostenere con un insegnante. I miei passi lasciano le impronte sulla neve fresca, accanto a piccole tracce di scoiattoli e uccelli, appena visibili.

Nel corridoio con gli allegri murales dipinti dagli studenti mi accoglie la maestra. «La bambina è in biblioteca insieme ai miei figli». Mi porge la mano: «Sara. Molto lieta di conoscere il papà di Clizia». Le nostre dita si sfiorano e una scarica elettrica mi percorre il braccio.

«Andrea, sono lo zio. Molto lieto» e le consegno la delega di mio fratello. «Mio fratello e mia cognata sono molto impegnati con il lavoro in questo periodo. Sto da loro per le feste e mi rendo utile per dare una mano».

Lei reagisce con un velo di imbarazzo. «Mi perdoni, ho sempre fatto i colloqui con la madre di Clizia. Venga, accomodiamoci in classe».

Ci sediamo nei banchi dei bambini e il mio sguardo cade sul pavimento cosparso di fogli accartocciati, mozziconi di pastelli e gommine per cancellare cadute dalle matite. «La bambina va benissimo a scuola, ma è un po’ timida». Si passa una mano tra i capelli con noncuranza. Sotto le luci intense i suoi lunghi capelli scintillano come fiamme scarlatte. «Infatti, avevo chiesto un colloquio con i genitori proprio per parlare di questo».

Sono ipnotizzato dai suoi occhi verdi. Peccato sia sposata. Distolgo lo sguardo e un poster fatto a mano dai bambini attira la mia attenzione: pubblicizza prove teatrali.

Sara balbetta qualcosa che non capisco e mi indica una pila di volantini sul banchetto.

«Prego?».

Me ne porge uno.

«Spettacolo teatrale di Natale» leggo ad alta voce. Alzo gli occhi e la guardo con improvvisa attenzione.

«È la compagnia teatrale amatoriale della comunità». Con il dito mi fa notare il particolare scritto in fondo al foglio.

«In città faccio parte anch’io di una compagnia teatrale amatoriale, da anni» dico. Alzo lo sguardo e incontro quello di Sara. I suoi occhi brillano.

«Ne facciamo parte anche i miei figli e io. Sono amici di Clizia e so che lei ci terrebbe a unirsi al gruppo». Accavalla le caviglie e si avvicina a me per spiegarsi, ma non se ne rende conto. Mi piace come vuole mettermi a mio agio però i miei nervi sono tesi per il desiderio: potrei fingere di sfiorarla per caso, ma mi limito a sorriderle. «E cosa preparate per Natale?».

«I bambini metteranno in scena la natività. Noi adulti Canto di Natale di Dickens e Il dono dei Magi di O. Henry».

«Bellissimi: classici di questo periodo».

Sara si illumina: «L’ho convinta?».

«Non spetta a me decidere, Sara, ma se vuole la mia opinione, non sono d’accordo. Clizia è leggermente cerebrolesa: le stampelle e i tutori che porta per camminare ne sono la conseguenza».

Lei m’interrompe: «Ne sono al corrente, ma non ha nessun altro problema: riuscirebbe a sostenere la parte di Tiny Tim in Canto di Natale senza battere ciglio».

«Non è questo il punto: lei vorrebbe farla salire su un palco a suscitare la pietà delle persone?».

Sara mi si avvicina e posa la sua mano sulla mia: «No, non la prenda così. Clizia ci terrebbe molto a recitare con gli adulti per mostrare invece a tutti quello che è capace di fare e io vorrei darle questa possibilità».

Io mi ritraggo. «Siamo sicuri? O forse la vuole sfruttare per attirare l’attenzione sullo spettacolo?».

«Non le permetto di insinuare questo! Lei non mi conosce e io non sono così: voglio bene a Clizia». Il tono di voce di Sara si è fatto aspro.

«Mi scusi, non volevo offenderla ma non voglio neppure che qualcuno si approfitti di mia nipote».

Sara emette un pesante sospiro. «Va tutto bene, davvero» dice, ma non mi guarda in volto e si fissa le mani.

«Comunque ne parlo a mio fratello e le faccio sapere». Se volevo farmi notare da lei, ci sono riuscito, ma sono partito con il piede sbagliato.

Sara mi viene incontro con i suoi figli nella platea del teatro. Ha un sorriso che mi scioglie e so di non meritarlo per come l’ho trattata al colloquio. «Benvenuti! Tranquillo, Andrea, adesso presentano loro Clizia agli altri ragazzini». I due maschietti, suoi coetanei, l’abbracciano e l’accompagnano sul palco dove c’è il loro insegnante.

«Se vuoi farti un giro intanto, noi proviamo Il dono dei Magi» e mi indica un uomo che l’aspetta sul palco.

«No, grazie. Rimango qui» e mi accomodo su una poltrona di velluto in prima fila. «Mi godo la prima prova di Clizia e mi assicuro che fili tutto liscio».

Lei mi lancia un’occhiataccia: «Perfetto, così diventerà lo zimbello di tutti. Quanti genitori o zii vedi qui con i loro ragazzi?».

«Tu sei qui».

«Ma io recito!».

«Queste sono le mie condizioni: prendere o lasciare». Il mio sguardo non ammette repliche.

Sara emette un sospiro di arresa. «Sono contenta che tu abbia cambiato idea per Clizia» mi sussurra.

«Sono stato troppo duro, ma ora sono curioso di vederti nella parte di Della». Le lancio un’occhiata furtiva e i battiti del cuore mi accelerano: si sarà accorta dell’effetto che mi fa? «Sono stato anch’io Jim un paio di volte ma tu, con quella chioma lunga, sei perfetta nella parte della protagonista». Sara, senza parole, mi rivolge un ampio sorriso.

Un’ora dopo Clizia mi tira la manica del golf. «Zio, abbiamo finito: è stato bellissimo! Mi porti anche domani?».

«Certo». Mi alzo, le do il cappotto e saluto con la mano Sara, che sta ancora provando. «A domani».

Le insegne fuori dal teatro della comunità pubblicizzano la produzione natalizia. Una cosa che da molta soddisfazione a mia nipote. «Zio, siamo in ritardo per le prove. Vado avanti».

«Ti raggiungo subito, tesoro». Chiudo a chiave la portiera dell’auto e apro l’ombrello: fiocchi di neve scendono dal cielo e rendono il paesaggio ancora più bianco. Raggiungo Clizia ed entriamo nel foyer del teatro. Le luci sono basse, ma intravedo Sara che mi viene incontro. «Il mio partner nella commedia ieri è scivolato su una lastra di ghiaccio e si è fratturato delle costole. Puoi fare tu la parte di Jim?» trattiene il respiro. Io mi slaccio il cappotto, mi sfilo la sciarpa in silenzio e rifletto.

«Non dirmi di no, per favore».

Appoggio il cappotto della bambina su una poltrona in prima fila. «Ok, perché no?».

Lei mi sorprende con un abbraccio cameratesco e io mi irrigidisco: non so come comportarmi.

«Noi però proviamo alla sera: è un problema per te?» si stacca da me per osservare la mia reazione, ma le sue braccia sono ancora al mio collo.

«No, tranquilla». Non faccio nulla per interrompere quel caldo abbraccio e le continuo a cingere la vita con le mie braccia, senza stringere.

«Ottimo! Senti, ancora una cosa» fa un lungo respiro e si butta. «Mi accompagneresti dal ferramenta domani sera prima delle prove?».

Sbatto le palpebre, non capisco l’insolita richiesta. «Sì, perché?».

«Per le luci del presepe».

Io scoppio a ridere. «Allora domani ti aiuto a scegliere le più belle».

Il giorno dopo, l’uomo anziano dietro il bancone del negozio mi scruta. «Lei è nuovo di qui».

«Non mi riconosce più signor Fabio? Sono il fratello di Luca. Mi fermo per le feste».

I suoi occhi s’illuminano: mi ha ricordato.

Sara e io attraversiamo file strette con scaffali alti pieni di articoli per la casa, bombolette di vernice spray, sigillanti, rotoli di nastro adesivo. «Dove sarà il reparto luci?». Lei mi indica un dipendente. Mi avvicino allora all’uomo, ma l’acuto stridore del metallo che modella in una chiave, copre la mia voce. «Scusi, il reparto luci?» Alzo la voce senza accorgermene. L’uomo soffia sulla chiave per rimuovere la limatura metallica: «Dopo questo» e mi sorride.

Individuo le lucine per il presepe e torniamo alla cassa. Sara osserva: «Ti intendi molto di queste cose, Andrea». Apre il portafoglio e dà i soldi a Fabio.

«Nella mia città avevo un mio negozietto di ferramenta ma l’ho chiuso di recente. È arrivato nel quartiere un megastore che ha fatto chiudere tutte le piccole attività come la mia».

Sara mi posa una mano sul braccio «Mi dispiace, spero che tu possa ritrovare presto un lavoro».

«Mi hanno fatto dei colloqui per diventare capo reparto nel loro store. Dopo Natale avrò una risposta».

Sara incrocia le dita «Speriamo in bene» e gli occhi le brillano.

«Andrea, io vado in pensione tra qualche mese e cerco una persona esperta che prenda in mano il mio negozio: rifornisco tutti i paesi della zona. Se vuoi ne parliamo i prossimi giorni». Fabio apre il cassetto del ricevitore di cassa e da il resto a Sara.

«Va bene, grazie». È ciò che ho sempre desiderato.

Sara e io prendiamo i nostri sacchetti e usciamo. L’abbondante sale sparso nel parcheggio ha sciolto il ghiaccio, ma raffiche di vento smuovono i rami degli alberi e fanno cadere la neve a cumuli. Sara rabbrividisce e si stringe la sciarpa al collo. «Grazie per l’aiuto, Andrea. Pronto per le prove in teatro adesso?».

Entriamo nella mia auto e partiamo.

Potenti faretti sul soffitto del teatro illuminano tutto il palco e quelli puntati verso noi due emanano molto calore. Proviamo la nostra commedia e la recitazione spontanea di Sara mi aiuta a entrare bene nella mia parte. È come se avessimo sempre recitato insieme. Dei volontari intorno a noi dipingono i fondali per la commedia e noi li aggiriamo per scendere dal palco.

«Posso offrirti un caffè?». Lei accetta e andiamo al bar del foyer. «Mia nipote è entusiasta di recitare e mi parla spesso dei tuoi figli».

Sara sorride, sposta lo sgabello in legno dal poggiapiedi in ottone del bancone e si siede: «Sono grandi amici».

«Tuo marito non è appassionato di recitazione?» incrocio le braccia e nel mio sguardo c’è malizia. Una parete a specchio dietro il bar riflette le nostre immagini.

«Lo era, ma è venuto a mancare tre anni fa».

Sgrano gli occhi e con le ginocchia la urto, senza volerlo. «Mi dispiace… credevo che i bambini fossero a casa con lui stasera».

«Non preoccuparti, non potevi sapere. È stata una lunga malattia».

Tiro un sospiro di sollievo: ora non mi sento più in colpa per l’attrazione che provo per lei. Mi chino verso Sara e faccio per sfiorarle le labbra con un bacio, ma un cameriere con un vassoio tenuto sollevato per evitare scontri, mi urta. Condivido con lei ancora uno sguardo saturo di elettricità. «Continueremo in un altro momento».

«E tu? C’è qualcuno nella tua vita?» mi chiede lei.

«Ho avuto una ragazza. A un certo punto mi ha chiesto la convivenza, ma io non ero abbastanza coinvolto. Mi sono pentito di non averglielo detto subito». Bevo un sorso di caffè: è troppo amaro e faccio una smorfia. «Abbiamo interrotto la relazione ma è stata lei a lasciarmi andare per amore. Io sono stato un egoista». Chissà se anche Sara prova qualcosa per me. Ci siamo comportati come amici fino a ora, eppure i suoi sguardi dolci mi confondono. «Sono contento che tu mi abbia fatto questa domanda».

Lei arrossisce e io sorrido: ha fugato i miei dubbi.

«Senti, domenica è la prima d’Avvento: noi del gruppo teatrale ci troviamo in chiesa per allestire presepe e luci. Vieni anche tu?».

«Grazie per l’invito, ci sarò».

Sara da un’occhiata all’orologio e scende dallo sgabello: «Si è fatto tardi, io torno a casa. A domenica».

In chiesa mi avvicino a Sara, ma lei sta parlando con un’amica. Per non interromperla mi siedo dietro, e riesco ad ascoltare il loro discorso.

«Le prove per la commedia ci hanno avvicinato, anche il periodo ha contribuito: a Natale tutto sembra possibile, ma questi giorni finiranno».

«Sara, se Andrea ti piace così tanto, dovresti dirglielo». L’amica le posa una mano sulla spalla per incoraggiarla.

Lei scuote la testa e giocherella con il volantino che ha in mano. «Lui troverà un lavoro nella sua città e io rimarrò qui con tutte le difficoltà dei genitori single».

«Non perdere la speranza». L’amica si alza e lei l’accompagna a un’uscita laterale, bordata di rami di vischio.

Mi cade l’occhio sulla corona dell’Avvento.

Sara mi si avvicina e ne ravviva i rami di pino con le loro pigne profumate. Li pulisce dalla cera della candela che hanno acceso oggi: «È la luce della speranza».

«È da un po’ che non frequento una chiesa, anche se sono credente».

Lei mi sorride: «Speranza, pace, gioia e amore sono i simboli delle quattro candele dell’Avvento».

Sorrido anch’io ma con amarezza. «È difficile mantenere la speranza e la gioia nel cuore se si è perso il lavoro».

Sara mi posa una mano sul braccio e mi fa aumentare i battiti del cuore: «Ti capisco. È difficile anche continuare a credere nell’amore quando la tua famiglia è andata in pezzi» gli occhi le si sono riempiti di lacrime. «Natale è un periodo difficile per i miei figli e me: il ricordo di mio marito si fa più doloroso in questi giorni».

Ora posso darle la notizia. Mi avvicino a lei e le prendo una mano tra le mie: «La risposta che aspettavo è arrivata prima del previsto» le accarezzo il palmo e tiro un respiro profondo. «Sara, io ho cominciato a provare qualcosa per te e non voglio che questi giorni rimangano il ricordo di quello che avrebbe potuto essere».

«Anch’io, Andrea, ma cosa vuoi dire?». Il volantino le sfugge di mano e cade a terra. «

Mi si spezza il cuore all’idea di andarmene. Con te è tutto diverso, l’ho capito subito e mi è impossibile lasciarti andare. Sara, ho deciso di provare a impegnarmi in questa storia, se lo vuoi anche tu».

«Certo che lo desidero anch’io ma il tuo lavoro?» ritrae la mano sempre più incredula.

«Ho accettato la proposta, ma è quella di Fabio: rilevo il suo negozio di ferramenta e luci».

Lei si porta le mani alle guance e i suoi occhi brillano. «Sarà un Natale memorabile, allora!».

«Vogliamo provare a far funzionare la nostra storia?».

Lei mi getta le braccia al collo e ci scambiamo il nostro primo, vero bacio sotto il vischio.

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