Nel silenzio di uno sguardo

Cuore
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Riproponiamo online la storia vera del n. 25 più apprezzata dalle lettrici

 

Incontravo Lorenzo ogni giorno al bar in pausa pranzo, passavamo il tempo a fissarci senza rivolgerci la parola. Eppure in quegli attimi lo sentivo vicino come mai era successo con il mio ex. Voleva dire qualcosa?

STORIA VERA DI ELENA V. RACCOLTA DA GIOVANNA BRUNITTO

 

Quando un amore lungo finisce in malo modo così com’è finito il mio, tutti hanno qualcosa da dire a riguardo. Spesso consigli per riprendere a vivere come se niente fosse, per trovare subito un sostituto al proprio compagno come se neanche fosse mai esistito. Il fatto che a me non interessasse rimpiazzare Alberto non era neanche preso in considerazione. Mia madre, mia cugina e le mie amiche insistevano. Secondo loro dovevo uscire e “rimettermi sulla piazza”, dimenticare quel poco di buono nel più breve tempo possibile. Alberto non è mai piaciuto a nessuno, lo sapevo, ma che tutti ne avessero così poca considerazione mi appariva chiaro solo adesso. È stato un tipo stravagante e chiassoso sin dalle prime volte che l’ho incontrato sul lavoro. Anche i suoi genitori, proprietari dell’agenzia di assicurazione dove sono impiegata, mi avevano messo in guardia dicendomi di non dar troppo retta a quel ragazzo scapestrato che nella vita non aveva fatto ancora nulla di serio. Ma io ovviamente non ho ascoltato nessuno. Alberto mi piaceva proprio perché era così, rumoroso e stravagante, con la battuta pronta e con qualcosa sempre da raccontare. Sapeva riempire i silenzi di cui mi sono contornata sin da bambina, con lui superavo il disagio di dover dire qualcosa d’interessante, tanto lui faceva per due in ogni occasione. E siamo andati avanti per quasi cinque anni, poi una mattina sono arrivata in agenzia più presto del solito e l’ho trovato chiuso nello sgabuzzino con la segretaria neoassunta. Ho atteso davanti alla porta che uscissero e l’ho guardato fisso mentre cercava di inventare scuse improbabili.Avrei voluto urlare e prenderlo a schiaffi, ma non ho fatto niente di tutto questo. In quel corridoio, con la camicia infilata disordinatamente nel pantalone, l’ho visto per la prima volta per quello che era veramente: un ragazzone viziato e pieno di sé che era ben lontano dall’essere una persona adulta. Quello non poteva essere il mio compagno di vita, non era così l’uomo che volevo. L’ho lasciato alla scrivania con i suoi discorsi e sono uscita. Mi sono rifugiata in un bar a diversi isolati e ho pianto tutte le mie lacrime. Quello che è accaduto dopo, l’ho già detto. Non c’era persona che non insistesse che avevo fatto bene a lasciarlo, compresi i suoi genitori che sono dei datori di lavoro fantastici e per i quali io mi meritavo molto di più. Lui è scomparso dall’ufficio, io ho continuato invece il mio lavoro evitando i colleghi, per non ricevere domande inopportune alle quali non sapevo mai come rispondere. Sono timida, introversa e la relazione con Alberto aveva coperto questi miei tratti che adesso emergevano di nuovo. Decisi di prendermi del tempo per guarire dalla ferita che Alberto aveva lasciato. Mi sarei dedicata a me con più attenzione di quanto fatto fino a quel momento e a un nuovo compagno non volevo neanche pensare. D’altro canto, anche da sola, non stavo così male. Gli amici che avevamo in comune io e lui si dileguarono velocemente, probabilmente non mi ritenevano abbastanza interessante oppure chissà che altro, ma in fondo forse amici non erano mai stati per davvero.

Ritrovai invece Alice e Mariachiara che avevo perso nel marasma confusionario creato da Alberto e dal quale, anche loro, mi avevano messo in guardia. Era bello trascorrere di nuovo le domeniche insieme, vagabondando per Parma o in qualche buona trattoria in provincia. Il problema della solitudine si faceva però pressante nella settimana che trascorrevo quasi sempre da sola. In ufficio il lavoro mi assorbiva e coi colleghi non parlavo molto. In pausa pranzo avevo girato tutti i bar del circondario ma non avevo trovato un posto dove sentirmi a mio agio fino a quando non ricordai il posto dov’ero andata quando avevo scoperto il tradimento di Alberto. C’era da camminare un po’ per raggiungerlo ma non mi dispiaceva fare quattro passi a piedi, così presi l’abitudine di andarci ogni mezzogiorno. Arrivavo e mi sedevo a un tavolino vicino alla finestra che si affacciava su un bel parco e dal quale sullo sfondo si scorgeva il torrente. Quella vista mi regalava una serenità inaspettata e spesso mi ritrovavo a sorridere mentre mangiavo il mio panino.

Non avevo fatto subito caso al ragazzo che c’era dietro il banco, anzi in realtà mi accorsi di lui dopo diversi giorni. Notai che mi guardava, non fisso, ma mi scrutava. Se per caso io lo guardavo a mia volta, lui subito volgeva lo sguardo altrove e si dava da fare con i caffè o altro.

All’inizio pensavo di essermi sbagliata, ma poi iniziai a farci caso ed effettivamente lui mi guardava. Si chiamava Lorenzo, lo sapevo perché quelli che entravano lo salutavano calorosamente e lui rispondeva con altrettanto impeto. Con diverse persone scambiava anche quattro chiacchiere e aveva una bella voce, profonda e sicura, che era piacevole da ascoltare e poi sorrideva ed era come se il volto si aprisse a un raggio di sole. Con me però non parlava mai, mi salutava quando entravo e niente altro.

Iniziai a pensare a Lorenzo ogni giorno un po’ di più. Non un pensiero prepotente però, al contrario lento e misterioso che ha preso forma nel tempo. L’idea di Lorenzo, per la prima volta in vita mia, era qualcosa che rispettava i miei ritmi. I mesi trascorrevano e noi ci guardavamo di sottecchi per un’ora intera. Talvolta capitava che, tra un fuggir di sguardi e l’altro, i nostri occhi si incontrassero per qualche secondo e quel tempo si dilatava per tutta la giornata. Andavo via con il suo sguardo puntato addosso con la sensazione di qualcuno che mi facesse compagnia, in silenzio, senza parole, eppure presente e vicino. Era strano, con Alberto ero stata avviluppata di chiacchiere e spesso mi ero sentita sola, con Lorenzo che neppure conoscevo mi sembrava di essere abbracciata e sostenuta ogni volta. Nei momenti no, mi dicevo che era un film che proiettavo nella mia testa e che a Lorenzo di me non interessava nulla, altrimenti perché non parlarmi come con gli altri clienti, perché non provare in qualche modo ad avvicinarsi? Poi però andavo a pranzo e il suo sguardo mi catturava e annullava tutti i pensieri negativi. Un’ora a esplorarci. Un’ora in silenzio a scambiarci sensazioni e qualche cenno di assenso. Ero felice come non mi era mai capitato e anche gli altri se ne accorgevano.Avevo cambiato look e pettinatura e mi sentivo sicura come non mai. Fino al giorno in cui dall’agenzia mi hanno comunicato che entro un mese ci saremmo trasferiti dall’altra parte della città. Un dolore opaco mi aveva assalita, come avrei fatto a incontrare Lorenzo? Era troppo lontana la nuova sede. Sono corsa al bar e mi sono lasciata cadere sulla solita sedia.Volevo iniziare un discorso, dirgli qualcosa ma non sapevo da dove iniziare e soprattutto cosa dire. La timidezza mi teneva attaccata al tavolo e la paura mi bloccava. E se a lui non interessavo? E se mi ero sbagliata? Una marea di se che si sono sciolti all’improvviso. Lorenzo era vicino a me e con fare deciso e preoccupato mi ha chiesto se mi fosse accaduto qualcosa. L’ho guardato, ho respirato e gli ho detto tutto d’un fiato che l’ufficio traslocava e non potevo più essere lì a pranzo. Altro non potevo aggiungere, in compenso le lacrime sono uscite da sole. Lui mi ha offerto un tovagliolo per asciugarle e sorridendo mi ha detto che allora forse era il caso che ci vedessimo di sera, così magari potevamo anche parlare un po’. Il nostro primo bacio è arrivato insieme alle parole e poi anche tutto il resto con i nostri tempi che sono molto simili. Sono passati diversi anni da allora ma i nostri sguardi al mattino si incrociano ancora e insieme ci sussurrano che non abbiamo bisogno d’altro. ●

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