Non mi sono mai arresa

Cuore
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Dal n. 41 di Confidenze, vi riproponiamo la storia più apprezzata questa settimana sulla pagina facebook

 

Per dieci anni ho cercato di strappare mia figlia al tunnel della droga. Speranza e amore sono state le mie uniche armi. Alla fine ce l’ho fatta, e voglio dire grazie a chi mi ha aiutato

STORIA VERA DI ROSA D. RACCOLTA DA VALERIA CAMAGNI

 

Speranza e amore. Sono queste le forze che mi hanno sostenuta negli ultimi dieci anni per combattere lo sconforto. Perché le persone non hanno idea cosa significhi avere una figlia tossicodipendente che scappa di casa e non dà più sue notizie, è un dolore senza fondo, non esiste un metro che possa misurarlo. Ma la speranza che mia figlia potesse tornare, potesse farcela a uscire da quel tunnel degli orrori è stata l’unica forza, l’unica fiammella rimasta accesa che nessuno è riuscito a togliermi. E alla fine ce l’ha fatta, ha vinto lei.

Chiara aveva 15 anni, frequentava il secondo anno del liceo a Montecatini, aveva una vita normale con dei bei voti a scuola quando iniziò a fare uso di spinelli. Davanti alla scuola c’era un ampio giro di spaccio, sono stati i suoi amici a offrirle di provare, non pericolosi sconosciuti, e anche su questo bisognerebbe riflettere, su come i ragazzi siano esposti alla droga, su come lo spaccio avvenga alla luce del sole, davanti alla scuola, nelle discoteche, senza che nessuno intervenga.

Comunque, nel giro di poco tempo ho visto mia figlia cambiare: era apatica, passava i pomeriggi a dormire sul letto, aveva frequenti sbalzi di umore e anche il rendimento scolastico era calato vistosamente in tutte le materie. Da mamma mi chiedevo se fosse depressa, se fosse il delicato passaggio dell’adolescenza o non stesse bene, ma avendo lavorato per tanti anni in ambito ospedaliero, ho capito subito che quei segnali potevano essere la spia di qualcos’altro e l’ho convinta a fare gli esami del sangue e delle urine, chiedendo a sua insaputa anche il test di rilevazione delle sostanze stupefacenti nel sangue. La conferma è arrivata immediata. Ne ho parlato con il padre di Chiara (siamo divorziati, io ho un nuovo compagno da cui ho avuto due figli), ma lui sottovalutava la cosa, diceva che qualche spinello non avrebbe ammazzato nessuno, con il risultato che Chiara ha deciso di trasferirsi a casa del padre per avere più libertà di manovra e sfuggire ai miei controlli. La droga le veniva data gratis in continuazione, chi la riforniva le diceva “non ti preoccupare mi pagherai poi”. Un modo per crearle la dipendenza. Così che a 18 anni Chiara lascia la casa del padre per trasferirsi a vivere insieme ad altri suoi coetanei in una specie di casolare abbandonato tra Prato e Pistoia, zona nota per la presenza di un importante mercato dello spaccio. I contatti con lei diventano difficili, io faccio di tutto per non perdere quel filo sottile di comunicazione che mi permette di sapere che è viva. Le pago l’abbonamento al cellulare per essere sicura di poterla sentire, anche solo attraverso un telegrafico messaggio WhatsApp o l’invio di qualche vecchia foto che ci ritrae insieme. Così tra un messaggio e l’altro, riesco a convincerla a fare da madrina alla cresima della sorella minore e, dopo quasi due anni di sua assenza, ci ritroviamo insieme per questa ricorrenza che riunisce tutta la famiglia. Ricordo che ci siamo date appuntamento nelle vicinanze di un bar e Chiara si è presentata con il suo ragazzo, un tipo sui 18-19 anni, anche lui dipendente dalla droga, che mi è sembrato subito violento nei suoi confronti. Chiara è diventata magrissima e zoppica, non oso chiederle perché, ma lei mi fa capire che qualcosa non va, e a quel punto le dico: «Qualsiasi cosa tu abbia, sappi che io ci sono e non ti perderò mai». Quasi un messaggio nella bottiglia, un grido di aiuto, che non finirà inascoltato.Trascorriamo una giornata di festa tutta insieme e la sera la riaccompagno al bar dove l’aspetta il suo ragazzo.

Pochi giorni dopo ricevo una sua telefonata: «Vieni a prendermi, sono piena di dolori». Questa volta ad accompagnarmi ci sono il mio compagno e mio fratello: ritroviamo Chiara piena di ematomi, con una borsa in mano carica di medicine per alleviare i dolori.

La riportiamo a casa e inizia finalmente un periodo in cui mia figlia viene seguita dal Sert (il servizio pubblico per la cura delle dipendenze, ndr). Sembrava stare meglio, tanto che con il padre decidiamo di concederle una vacanza in campeggio con le amiche e sosteniamo il suo progetto di riprendere gli studi, frequentando una scuola in Francia dove sarà ospitata dalla zia. Ma è stata un’illusione, purtroppo.

Durante la permanenza in Francia Chiara riprende a fare uso di droghe, scappa di casa e se ne va a Parigi con un uomo, un poco di buono. Un giorno ricevo una telefonata che mi comunica che mia figlia è stata ricoverata in psichiatria dopo aver assunto delle pasticche. Stava male, ma si rifiutava di parlare con me perché si vergognava. Non so neanche dire cosa ho provato nell’ascoltare quelle parole, ho sentito un dolore fisico, mi pareva di impazzire. Ma non potevo: se Chiara si rifiutava di parlarmi, io di sicuro non l’avrei abbandonata. Inizia un periodo di continui alti e bassi: tra luglio e dicembre 2019, il Sert torna a seguirla. A un certo punto Chiara però interrompe tutto e inizia a sparire per giorni interi, senza soldi, né vestiti. Per me sono stati giorni di inferno e di angoscia, non c’era notte in cui non pensassi a lei, a dove poteva essere, piangevo, non riuscivo a dormire, ma il giorno dopo dovevo andare al lavoro e non potevo farmi vedere in quelle condizioni. Un giorno mi chiama: «Torno a casa ma sono accompagnata». Rispondo subito: «Va bene, con chi vieni?». «La Polizia».Vengo così a sapere dalla Polizia che Chiara ha conosciuto un tunisino e che, in cambio di droga gratis, l’ha sposato permettendogli di avere così la cittadinanza italiana. Una volta resasi conto di ciò che ha fatto, però è tornata sui suoi passi e ha chiesto il divorzio, ma l’uomo si è rifiutato di concederlo e l’ha minacciata di morte. Spaventata si è rivolta alla Polizia per chiedere aiuto. Comunque, dopo questo episodio riprende il percorso al Sert e nel frattempo inizia a frequentare l’Accademia del cinema a Lucca. Sembra procedere tutto bene fino a quando Chiara comunica all’Accademia di volersi ritirare, ed è la presidenza a informarmi della cosa. Chiara si sposta tra Pisa e Firenze io continuo a fornirle oltre che un telefono anche una carta prepagata ricaricata per evitare che chieda l’elemosina o peggio faccia altro.

Ma da questo momento in poi, di lei non ho più notizie. Riesco a scoprire che ha lasciato Pisa per seguire un uomo ricco, dipendente dalla droga, fino in Svizzera e successivamente a Milano, dove trova un lavoro. È qui che Chiara scopre il bosco di Rogoredo e tocca veramente il fondo, assumendo cocaina ed eroina. Ha perso tutto, non ha più i documenti, né il cellulare. Riesco a parlare con lei solo quando racimola qualche moneta e trova nelle vicinanze una cabina telefonica.

E arriviamo così al 23 dicembre 2020, una sera che non posso dimenticare: siamo a tavola a cena con il mio compagno e i nostri due figli e iniziamo a pensare a Chiara senza cibo, né vestiti pesanti per affrontare il freddo, col Natale alle porte. Io non accetto di restare lì con le mani in mano, dev’esserci qualcuno che può aiutarci, mi dico. Mio figlio si mette a fare una ricerca su Internet e scopre che a Rogoredo c’è uno psicologo, Simone Feder, che insieme al Team Rogoredo del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta – Cisom, si adopera per aiutare i ragazzi che frequentano il bosco. Ci mettiamo in contatto con lui, sono le nove di sera, sembra impossibile, eppure rispondono. Mandiamo una foto di Chiara, e poco dopo, ricevo una bella notizia: mia figlia è sempre a Rogoredo e ogni mercoledì sera la incontrano nella stazione.

A questo punto Feder e i volontari del Cisom parlano a Chiara, riescono a convincerla a farmi una telefonata. Io le faccio recapitare un nuovo cellulare e così posso di nuovo mantenere i contatti con lei via WhatsApp. Dopo qualche mese, vado di persona a Rogoredo per rivederla e cercare di convincerla a tornare a casa: è magra, emaciata, irriconoscibile. Ma, dopo un attimo di tentennamento, ci stringiamo in un lungo abbraccio e la sento tremare. Mi racconta di non voler lasciare Rogoredo perché lì c’è Michael, un ragazzo del Camerun arrivato in Italia da piccolo, anche lui tossico, che in tutto questo tempo l’ha aiutata e protetta dai pericoli della strada, vivendo con lei nelle strade abbandonate dei dintorni.

Per prima cosa ho invitato a pranzo entrambi in un ristorante nelle vicinanze, erano affamati, chissà da quanto non mangiavano. Poi mi sono ripromessa di non demordere, di convincere tutti e due a tornare a casa con me. Avrei trovato un appartamento tutto per loro e avrebbero ritrovato il calore della famiglia, a una condizione però: riprendere il percorso con il Sert. E così è stato. A metà maggio 2021 Chiara è tornata a casa. La prima cosa che mi hanno chiesto di fare, lei e Michael, è stata una doccia.

Oggi, a distanza di qualche mese Chiara e Michael continuano a essere seguiti dal Sert. Entrambi hanno traumi legati a ciò che hanno vissuto, hanno una paura indescrivibile. Michael, per esempio, esce solo con me. Se sono a casa, chiudono tutte le porte a chiave. Chiara, invece, per molto tempo non ha visto la sua immagine riflessa e ora ha difficoltà a guardarsi allo specchio perché è convinta che ci siano persone che la guardano o meglio che ci sia quell’uomo che l’ha portata in Svizzera, la costringeva a drogarsi e non la faceva dormire.

A me sembra di essere uscita da un incubo, non so come ho fatto a sopportare tutto questo. A chi pensa di non poter essere toccato da queste cose, a chi guarda con disprezzo quei ragazzi sporchi e senza documenti, voglio dire che sono tutti figli nostri, che la droga è un problema sociale e che negli ultimi anni è stato sottovalutato. Si parla tanto di bullismo, cyberbullimo e relazioni sui social, ma i ragazzi hanno a disposizione una tale offerta di sostanze stupefacenti a ogni angolo della strada che basta un attimo di debolezza, una fragilità più forte per portarceli via. E io non permetterò più a niente e nessuno di portarmi via Chiara. ●

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