Parlare mi piace. Soprattutto in coppia

Cuore
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Con amici, parenti e anche con gli sconosciuti. Chiacchierare con tutti è fondamentale. L'importantissimo, però, è parlare nella coppia

Sarà una doppia questione di carattere e curiosità, ma parlare mi piace. Con amici e parenti, per condividere eventi, emozioni e amenità. Con perfetti sconosciuti, magari mentre sono in coda da qualche parte, per conoscerli un po’ visto che siamo obbligati a trascorre del tempo insieme, appiccicati come adesivi.

Votata alla chiacchiera per natura, di certo non potrei sopportare di avere accanto una persona muta come un pesce. Eppure, sono d’accordo con quello che c’è scritto nell’articolo su Confidenze in edicola adesso, Io, te. E quei preziosi momenti di silenzio. Cioè, che nelle coppie l’assenza di parola è fisiologica, ma che esiste la placida e quella densa di risentimento.

La seconda, in effetti, è un incubo in grado di logorare qualsiasi rapporto. La prima, invece, può davvero rivelare una confidenza tale da non richiedere per forza il verbo.

Detto questo, continuo a credere che anche il silenzio “felice” debba rimanere comunque sporadico. Perché se si dovesse protrarre a lungo, mi ritroverebbe in quel 48% di donne che vivono il mutismo del partner come la spia di lontananza emotiva.

D’altronde, dar loro torto è difficile, dato che la vita a due presuppone uno scambio continuo. Che non significa un inutile chiacchiericcio ininterrotto, ma la voglia di confrontarsi, raccontare e raccontarsi.

In realtà, nelle vicende sentimentali di solito succede solo all’inizio. Dopodiché, è vero che con il passare degli anni gli uomini tendono a non degnare verbalmente la dolce metà. Non per cattiveria, ma per semplice indole. Con il rischio, però, di trasformare la compagna, fidanzata o moglie in un essere insicuro che non si sente più amato.

Ed è lì che inizia l’orlo del baratro. Lei cova rancore (e diventa più acida). Lui (ascoltato di meno) vive se stesso come il re degli incompresi. Ognuno cerca l’armonia altrove. E scoppia il putiferio. Che non prevede necessariamente la capitolazione in braccia altrui, ma preferire il weekend con le amiche oppure la serata al calcetto con i colleghi.

Nelle storie ancora agli esordi, questi appuntamenti sono scoppiettanti occasioni per allontanarsi e ritrovarsi smaniosi di riferire tutti i dettagli con la precisione di un romanziere. E se le donne lo fanno perché (appunto) è nella loro natura, i compagni di solito le imitano mossi dall’entusiasmo della novità. Ma, come dicevo sopra, i resoconti non sono il loro forte.

Allora, piano piano diminuiscono e partono i primi malumori. Che a un certo punto spingono a pronunciare la vicendevole frase «Siete tutti/e uguali». Sparata con intenti offensivi e accusatori anche se contiene una verità tanto inconfutabile quanto dolorosa.

Se venisse detta a me, infatti, ci rimarrei malissimo. Ma se poi ci ripensassi con totale onestà, non potrei non ammettere che, come l’intero pianeta femminile (siamo tutte uguali!), per sentirmi a mio agio e parte di una coppia affiatata ho bisogno che lui sia aperto al dialogo. Sempre e ovunque.

Invece, nei posti più classici (lo scettro se lo giocano il ristorante e l’automobile), a volte non succede. Allora mi chiedo cosa sia cambiato da quando non trovavamo neanche il tempo per guardare il menù né per accendere la radio, troppo presi dai fiumi di parole.

La risposta, per fortuna, non solo lascia qualche speranza ma, addirittura, fa pensare al meglio: quando l’amore è ormai consolidato, ci sono quei preziosi momenti di silenzio in cui la sola presenza dell’altro è sufficiente per stare bene.

Questo vale, però, esclusivamente se prima del caffè o del casello dell’autostrada almeno uno dei due apre bocca. E se l’altro non reagisce laconico e stizzoso e continua la chiacchiera fino all’ammazzacaffè o all’arrivo a destinazione.

Beh, se succede così, di certo la coppia non sta per scoppiare.

Confidenze