Tredici di Jay Asher

Cuore
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Un bestseller e una fiction che parla ai giovani di cyberbullismo, stalking e suicidio. Con un risvolto pericoloso, però...

In genere tutte le mie recensioni – o sarebbe più esatto chiamarle consigli appassionati di lettura – cominciano con un abstract, una citazione, un pezzo esplicativo o quantomeno indicativo di uno stile, una forma romanzesca, una forza contenutistica fuori dal comune. Questa volta mi astengo e lo faccio sentendo la responsabilità forte, pesante, dell’argomento che sto per trattare.

Netflix ha riportato nelle classifiche mondiali un libro già edito negli Stati Uniti e in tutto il mondo da tempo: Tredici. Brian Yorkley ha prodotto una serie in tredici puntate, tratta dal romanzo (dal 31 di marzo disponibile anche nel nostro Paese) e non c’è adolescente che non l’abbia guardata e giornale e/o esperto che non ne abbia parlato.

Clay, un nerd a metà, sta tornando a casa. Nel cuore ha un deserto: solo due settimane prima una sua compagna di scuola, Hannah Baker, della quale era innamorato, si è suicidata tagliandosi le vene. Prima di togliersi la vita, però, la ragazza ha inciso 7 nastri di cassetta per spiegare a tredici persone perché le ritiene responsabili della sua scelta e del suo gesto estremo.

Tredici j’accuse e un ultimo lato lasciato vuoto. Clay trova il pacco fuori dalla sua abitazione e comincia ad ascoltare.

Non ho intenzione di fare anticipazioni o, come oggi si chiamano, spoiler. Voglio solo condividere con voi alcune riflessioni. Hannah è una splendida, intelligente giovane donna. La sua bellezza non è una carta vincente, anzi, la mette continuamente in difficoltà: nella sua breve vita nulla le è stato risparmiato. È stata vittima di bullismo e della sua forma contemporanea, la cyber. È stata vittima di stalking, di violenza, di sessismo, è stata tradita e le sue foto più intime sono state messe online sottoponendola alla pubblica gogna. Tredici persone non hanno capito, non hanno ascoltato, hanno ritenuto che la vita fosse un gioco, che Hannah fosse un bersaglio inanimato come i protagonisti dei giochi di ruolo che i giovani, e non solo, tanto amano e che la parte superficiale dei social promuove.

Il libro è un long seller, la fiction fa ascolti alle stelle: come leggere tutto questo? Come una sensibilizzazione di temi sempre più scottanti e numerosi, come un progetto dal fine etico e salvifico? In molte scuole si è proposto di proiettarlo per poi introdurre dibattiti e occasioni di confronto plurimo. Non in pochi, però, hanno azzardato la pericolosità del progetto (sia in forma letteraria che nella realizzazione visiva). La musica è splendida, il montaggio perfetto, Hannah è morta ma è presente, la vediamo, la ascoltiamo, empatizziamo con lei. Sono pronti, i nostri ragazzi, molti dei quali così dannatamente fragili, a cogliere il senso di sconfitta di un’ intera società, che è l’unico messaggio che deve arrivare loro? Sono pronti a dirsi: “Hannah, potevi aspettare. Sarebbe arrivata ancora tanta e bella vita, per te”? Oppure non è così impossibile che qualcuno, meno difeso internamente, possa cedere al richiamo della notorietà successiva, del rimorso che un gesto simile creerebbe in chi non ci ha accettato, amato, rispettato?

Sono in grado, i nostri giovani, di capire che un suicidio non si racconta, non si narra, non ci fa vivere più forte, ma uccide?

Jay Asher, Tredici, Mondadori

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