Un futuro marito da buttare in pattumiera

Cuore
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Alle bugie c'è un limite. E se un futuro marito non lo conosce, è sicuramente meglio buttarlo in pattumiera piuttosto che salire con lui all'altare

Sul numero di Confidenze in edicola adesso c’è un articolo, A un futuro marito bugiardo, in cui un certo Isidoro racconta di aver perso il lavoro due anni fa e di non averlo mai detto alla fidanzata, tanto desiderosa di sposarlo.

Mentre leggevo la surreale vicenda, mi sono venuti in mente i film commedia degli anni ’70, spesso interpretati da un goffo ma buffo Renato Pozzetto, in cui il protagonista cacciava palle solo perché troppo timido per affrontare qualsiasi situazione con una minima di polso.

Quelle pellicole facevano ridere a crepapelle l’intera sala. Ma se di colpo si fosse accesa la luce, tutti avrebbero notato un’unica facciotta seria: la mia.

Sì, perché ricordo come se fosse ieri che quando partiva la prima innocente bugia, vissuta da ogni spettatore (me compresa) come la miccia di vicissitudini divertentissime, io venivo colta da un’ansia pazzesca. E nonostante avessi ben chiaro sin dai titoli di testa che la storia sarebbe comunque finita bene (succedeva sempre), passavo quell’ora e mezzo sulla poltrona con le unghie infilzate nei braccioli per la tensione. Pur non trattandosi di un thriller mozzafiato, ma di una commedia leggera come una piuma.

Pesante come un macigno, invece, è la situazione in cui si trovano il consapevole Isidoro e l’ignara Virginia. Nei panni della quale, è ovvio, non vorrei mai trovarmi. Ma visto che, sempre nell’articolo, la psicoterapeuta consiglia al re dei bugiardi di raccontare finalmente alla fidanzata come stanno le cose, provo a immaginare cosa succederebbe se al posto di Virginia ci fossi io.

Ed ecco la sceneggiatura della commedia by Albie. Isi mi invita fuori a cena annunciando che vuole parlarmi. Sicura che sia per chiedere la mia mano, al ristorante aspetto la romantica dichiarazione con il cuore gonfio d’amore. Ma quando il pusillanime sputa il rospo (cioè, mi dice che è disoccupato da tempo immemore e che nel nostro futuro non ci sarà un bambino perché se smetto anch’io di lavorare nessuno potrà sfamarlo), non la prendo benissimo.

Perciò, mi alzo da tavola in dignitoso silenzio, esco dal locale con fare altero e controllato, passo accanto alla sua macchina con le chiavi tra le dita e non resisto alla tentazione di rigare la carrozzeria dal cofano al baule. Dopodiché, sparisco per sempre dalla sua vita. Ma con la mia a pezzi.

Sì, perché due anni sono due anni, porca miseria. E l’idea di averli passati accanto a una schifezza umana che per 24 mesi (ovvero 1248 settimane) ha finto di andare in ufficio e di mettere da parte un gruzzoletto per il nostro futuro mi annienterebbe.

Invece, nell’articolo la psicoterapeuta mette in conto il fatto che la vera Virginia comprenda Isidoro e che non lo mandi per sempre a quel paese. Anzi, arriva perfino a ipotizzare che la tipa non s’incazzi come un bufalo ma, addirittura, accetti di continuare a lavorare per sovvenzionare personalmente quel famoso bambino tanto sognato.

Non lo so. L’esperta della mente e dei comportamenti è la dottoressa e magari ha ragione lei. Però, questa possibilità a me sembra davvero da fuori di testa. Tant’è che, tornando alle commedie degli anni ’70, neanche il regista più fantasioso l’ha mai pensata. Infatti, il protagonista di turno era sempre uno strampalato tenerone che suscitava tanta di quella simpatia da trasformarsi in un vincente. Mentre Isidoro è un omuncolo allucinante, pavido e meschino da buttare in pattumiera. Naturalmente, dopo avergli dato una fracassata di botte.

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