La vita come un romanzo russo di Emmanuel Carrère

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Una storia di legami familiari, ma anche il racconto di un grande amore. Sullo sfondo la Russia

Trama – La storia dell’ungherese András Toma, della sua prigionia, dei suoi pellegrinaggi. La storia del nonno materno di Emmanuel, Georges Zurabišvili, emigrato georgiano e scomparso a Bourdeaux poco prima di compiere 46 anni. La storia del rapporto di Emmanuel con sua madre. La storia di un omicidio. La storia di una passione per una donna, Sophie. La storia nella storia, un racconto erotico. La presenza della lezione del romanzo russo, che tanto ha indicato la strada al Carrère scrittore, tenta di fare da paciere con una presenza meno comoda, quella del Paese reale, una Russia difficile da accettare come luogo di origine, come impronta nel dna. Una trama ardita, il resoconto di due anni di vita dell’autore. Follia, orrore, prigionie. Un romanzo che raccoglie i giorni, le circostanze, e riesce a catturarne il punto di incontro, le analogie, le ripetizioni. Un romanzo sul concetto di libertà dei singoli: sempre personale, sempre complesso, spesso ambiguo, faticoso.

Un assaggio – Sono stata felice. Profondamente felice. Più felice di quanto non lo sia mai stata con qualcuno. Mi è piaciuto vivere con te, fare l’amore con te, fare colazione con te la mattina. Ma non mi sono mai sentita sicura. Eri orgoglioso di me e nello stesso tempo ti vergognavi un po’. Come se non fossi degna di te, come se fossi solo una piacevole tappa della tua vita in attesa di incontrare la donna davvero giusta. Da un momento all’altro, perché avevo detto qualcosa che ti sembrava volgare o perché avevo chiamato una persona con uno di quei soprannomi che ti irritano tanto, il tuo volto innamorato poteva trasformarsi in un volto duro e distante, un volto da nemico. (…) Ho pensato che fossi troppo sicuro del mio amore per te, troppo sicuro che se uno di noi avesse lasciato l’altro, saresti stato tu. Ce l’ho avuta con te, per questo terribilmente. Poi ci sono stati i tuoi viaggi in Russia. All’inizio ho sognato che mi avresti proposto di accompagnarti, per lo meno di raggiungerti per una settimana, di condividere quello che mi dicevi essere talmente importante per te.. Sono certa che non ci hai mai nemmeno pensato.

Leggerlo perché – Di Carrère ho letto tutto ma questo, forse il peggiore dei suoi lavori, è lo scritto che ho amato di più. Imperfetto, divorato stilisticamente dalla fretta di raccontare se stesso dopo aver dedicato gli anni precedenti a raccogliere il materiale per L’avversario e poi alla sua stesura, dai pesi narrativi completamente sbilanciati, eppure magnifico nella materia, nella trama dei destini passati e presenti domati e forgiati dalla potenza creatrice dell’immaginazione. Due anni di vita rocamboleschi che vedono un Carrère ‘archeologo’ alle prese con un reportage famigliare, di recupero di una storia di legami, che cammina parallelamente con un Emmanuel uomo, innamorato di una donna, Sophie, che fugge dalla carta, salta fuori dall’inchiostro, e scrive nella vita vera una trama che ogni lettore di romanzi odierebbe. Una storia senza lieto fine. Una storia di quelle vere, che accadono, che vorremmo si limitassero a essere senza turbare le pagine, senza turbare i nostri sogni. Una storia di quelle che chiunque, soprattutto uno scrittore, vorrebbe scrivere mai, una storia che non si incastra, i conti che non tornano: una donna che ti ha invaso l’anima, il cuore e che poi devi lasciare andare perché non l’hai saputa amare, trattenere: “Se è proibito raccontare una cosa, capisci anche tu che fatalmente c’è solo quella che si possa e si debba raccontare.” Credetemi, il peggiore dei romanzi di Carrère è un vero capolavoro.

Emmanuel Carrère, La vita come un romanzo russo, Einaudi

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