Come ali di farfalla, così si vive con la Fibromialgia

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«Uso la parola “soffrire” non solo perché il trauma e il dolore cronico hanno cambiato la mia vita, ma perché mi impediscono di vivere una vita normale». Così si è espressa Lady Gaga, pop star internazionale, per descrivere la malattia che l’ha portata a rinviare alcune date del suo Joanna World tour, tra cui la milanese del 26 settembre, al 2018. Confidenze ha dedicato al tema una storia vera, che trovate qui sotto, insieme al parere di un medico esperto della materia

 

Cos’è la fibromialgia? «Questa malattia reumatica di origine sconosciuta (si pensa a un’alterata comunicazione tra cellule nervose), causa costante tensione e dolore ai muscoli del corpo, dalla testa ai piedi. Su circa 4 milioni di italiani che ne soffrono, la maggioranza sono donne. La diagnosi viene fatta esercitando con il pollice una pressione su 18 zone precise di collo, spalle, schiena e gambe: i “tender-points”. Se si prova dolore in 11 di questi punti dolenti da almeno tre mesi significa che è fibromialgia. Non ci sono cure definitive, ma ci sono diverse terapie: miorilassanti e farmaci che potenziano l’attività dei neurotrasmettitori, cure fisiche (Tens), terapie di rilassamento muscolare e una dieta povera di zuccheri, carne rossa e sale» spiega il Dott. Fulvio Colombo, reumatologo degli Ist. Clinici Zucchi di Monza e Carate Brianza.

 

Come si vive con la fibromialgia? Ce lo ha raccontato Virginia, nella storia vera “Come ali di farfalla” raccolta da Daniela Mazzoni.

 

Mi chiamo Virginia, ho 52 anni, i capelli castani (o ramati, a seconda della tinta!), un marito e due figlie. Lavoro nell’ufficio vendite di una multinazionale e chi non sa nulla di me, osservandomi, potrebbe pensare sia una scansafatiche. Tutt’altro: ho la fibromialgia. Quando pronuncio questa parola un po’ difficile da ricordare (ecco perché scandisco bene tutte le sillabe), l’espressione colpevole di chi è stato colto in fallo m’intenerisce sempre un po’: nessuno sa di cosa stia parlando.

Qualcuno mi ha domandato se sia forse un dolore alla gamba. No, sbagliato, quella è la sciatalgia. A dire il vero, quando un medico me ne parlò per la prima volta dieci anni fa, anche sulla mia faccia si materializzò un punto di domanda. «Fibria… Fiff… Fibralgia? Cos’ho, dottore?».

Come l’artrite, causa dolori e affaticamento. Ma non è l’artrite. Volevo scoprire bene cosa fosse, ho letto parecchio. Per un po’ ho cercato sollievo nelle storie di chi sta peggio di me, ma col tempo ho trovato solo incertezze e sconforto.

Dicono che questa malattia compaia dopo un trauma fisico o psicologico. Fatemi pensare… Mi viene in mente un tamponamento in auto. Dunque potrebbe essere imputabile a quello? Alla mia macchina è venuto fuori un bollo curabile con una martellata, mentre a me la fibromialgia? Nessun medico lo dà per certo, ma io intanto penso: “Non potevo fare un’altra strada?”.

La ricordo ancora quella mattina. Quella mattina che ha segnato, come un aratro in un campo, la mia vita. Mi ero svegliata con una sensazione di debolezza e un formicolio alle mani. Lo dissi a mio marito e lui diede la colpa all’allegra bevuta della sera prima.

Ma nel giro di poco, gli stessi sintomi si ripresentarono: stavolta il vino non c’entrava. Da quella mattina, passarono dieci anni prima che il reumatologo potesse pronunciare la parola “fibromialgia”. Ci volle tutto quel tempo per diagnosticarla.

«Bene, ora che la mia malattia ha un nome, cerchiamo di curarla» dissi al medico quasi ordinandoglielo.

Ma lui restò zitto. Compresi in quell’attimo che non era come per il raffreddore: dalla fibromialgia non sarei mai guarita.

Io la chiamo “la mia coinquilina”, visto che da vent’anni abitiamo lo stesso corpo. E mai una volta ci siamo trovate d’accordo su qualcosa. Per esempio, io voglio fare una passeggiata? Lei no, e pur di farmi stare a casa s’inventa nuovi dolori ai muscoli. Io vorrei lavare le tende? Neanche per idea, e via con una stanchezza che neppure chi ha corso una maratona sarebbe in grado di provare.

Quando mi diagnosticarono questa malattia, mi chiesero se volessi sottopormi a una sperimentazione clinica e io accettai pensando che peggio di così non sarei potuta stare. E invece mi sbagliavo. Forse in pochi sanno cosa sia l’elettromiografia: di certo, se l’Inquisizione l’avesse saputo, l’avrebbe annoverata fra le torture. In pratica vengono inseriti degli aghi nella pelle che danno piccole scosse. Al diavolo il protocollo, mi sentivo un topo da laboratorio: il dolore era insopportabile, tutti andavano un po’ per tentativi e comunque io non miglioravo.

Il mese scorso mi ero messa in testa di imbiancare il salone. Da sola. Mio marito m’invitò a contattare un imbianchino, ma io sono testarda: stavolta non sarebbe stata la mia insopportabile coinquilina ad averla vinta. Ho lottato, ci ho provato, ma dopo aver colorato una parete arancio carota, mi sono tuffata fra i cuscini del divano. Ero letteralmente a pezzi.

 

 

Sul volto di mio marito, quando rientrò e mi vide agonizzante, passò svelta un’ombra di compassione. Provò a camuffarla con un sorriso dolce, ma io feci in tempo a riconoscerla. Era un’espressione che vedevo spesso, soprattutto sul volto di Gianni. Due giorni dopo arrivò l’imbianchino.

Per stavolta è andata così, ma di certo non mi arrendo. Sono ancora giovane: abbandonarsi alla malattia per me sarebbe troppo frustrante. Inaccettabile.

Ieri sera, Gianni e io siamo andati a ballare alla Sagra del Cannellone. Mi piace ballare, a questa passione proprio non rinuncio, anche se so già che il giorno dopo la pago cara.

E difatti oggi credo di non avere un solo muscolo del corpo che non mi faccia male. Addirittura mi si sono gonfiate le piante dei piedi. Certo, dovevo aspettarmelo, ieri sera ci abbiamo dato dentro!

E stamattina (ma come tutte le mattine, d’altronde) è stata un’impresa eroica alzarsi dal letto, tant’è che dopo colazione mi sono precipitata sul divano. Ho così tanto tempo per pensare quando sto male e mi arrabbio ancora di più perché mi sembra di buttarlo via, quando invece potrei andare per negozi, o lavare i pavimenti senza aspettare la signora delle pulizie che mio marito mi ha costretta ad assumere.

In effetti, lavorando dal lunedì al venerdì, il sabato è sempre stato il mio giorno dedicato alle pulizie, ma la domenica, anziché uscire, la trascorro sul divano ad analizzare la trama delle ragnatele dimenticate negli angoli del soffitto.

Penso a tutte le volte in cui mi sono sentita goffa e impacciata. Pure in questo mi sembra di assomigliare sempre più a Fantozzi. Che anche lui avesse una fibromialgia non diagnosticata?

Questo “simpatico” parallelismo arriva dai piani alti della mia azienda. Un giorno rovesciai un bicchiere di tè sulla giacca del mio capo e, cercando di asciugare la macchia, versai il resto sui suoi pantaloni. Pensai mi avrebbe licenziata, invece sorridendo mi disse: «Virginia, lei mi pare Fantozzi!».

La mia goffaggine dipendeva in parte anche dal busto che portavo per i dolori alla schiena, così il mio capo, quando lo venne a sapere, mi trasferì in un’altra sede a dieci minuti di macchina da casa mia, e non dovetti più farmi mezz’ora di treno e dieci minuti a piedi per raggiungere l’ufficio. Per una persona che gode di ottima salute è una sciocchezza, per me quei quaranta minuti di andata e ritorno al giorno erano una vera e propria tortura.

Una volta il mio lavoro mi portava spesso all’estero, avevo timbri sul passaporto da tutto il mondo. Poi, dopo la nascita della mia prima figlia, ho chiesto di poter fare solo brevi spostamenti in Europa. E quando la fibromialgia ha fatto “toc toc”, mi sono limitata all’Italia. Adesso arrivo giusto in ufficio.

Ma non rinuncio. Anche a questo, no.

Tempo fa, il medico mi suggerì di fare una visita per la pensione d’invalidità. Peccato che i membri della commissione esaminatrice, quando sentirono parlare di fibromialgia, si guardarono perplessi: nessuno sapeva cosa fosse. Io ero più confusa e imbarazzata di loro. Feci una seconda visita e stavolta si prepararono bene, ma poi la pensione mi venne negata. Non ritennero la fibromialgia una malattia invalidante.

Avrei dovuto prendere più sul serio i primi sintomi. Mia madre me lo diceva di farmi vedere da uno specialista, ma visto che all’inizio i dolori erano meno frequenti, quando stavo bene mi scappava la voglia di andare dal dottore. Mentre, quando stavo male, mi muovevo a malapena per casa.

Iniziai col prendere dei farmaci rilassanti, ma mi facevano sentire molle come un fico e spesso piangevo perché non ne potevo più di stare così. Aggiunsero allora degli antidepressivi: certo, non può non venirti la depressione quando ti ritrovi ridotta così.

“Giravo il mondo” pensavo. E piangevo. Così cominciai il tour degli specialisti: psichiatra, psicologo, psicoterapeuta esperto in cefalee, reumatologo… Tutti trattano la fibromialgia, nessuno sa bene come curarla.

 

 

Non credo affatto sia una malattia di ultima generazione. Penso piuttosto sia uno di quei mali che esistono da sempre e a cui nessuno aveva mai dato un nome.

Anche la mia bisnonna, intorno ai 50 anni, aveva cominciato ad accusare i miei stessi sintomi e dal letto iniziò ad alzarsi poco o niente. Che sia ereditaria? Nessuno specialista ha saputo rispondermi.

È solo in anni più recenti che si è cominciato a parlare più diffusamente di fibromialgia. Quando finalmente abbiamo potuto dare un nome al male, la mia famiglia mi è stata molto vicina. Ma poi è come se tutti se ne fossero dimenticati perché non si vede, non si manifesta con delle macchie come il morbillo e tu ti ritrovi da sola con lei a condividere ogni secondo.

Perché neppure di notte si scorda di te. Ti sveglia cento volte e questo continuo andare e tornare dal mondo dei sogni si conclude la mattina con una stanchezza insopportabile e vorresti che la notte ripartisse daccapo con un epilogo magari differente.

«Dottore, arriverò a perdere l’uso dei muscoli?». Un giorno trovai il coraggio di fare al medico questa domanda dopo mesi che ci pensavo.

«Virginia, com’è pessimista!». Non era una risposta. Lo invitai a essere meno evasivo. «Con i farmaci la terremo sotto controllo, stia tranquilla».

Tranquilla. Lo sarei di più se fossi scampata a un disastro aereo. Non sapere come e se evolverà non è proprio rilassante. In effetti, con questi nuovi integratori alimentari sto un po’ meglio. Con lo stress e il freddo mi sento peggio. L’estate mi fa bene.

Un dottore mi disse che i miei muscoli sono come ali di farfalla: essendo molto delicati, io devo essere altrettanto delicata con loro. Tutto sommato è un’immagine rasserenante quella della farfalla che si posa su di un fiore e anch’io voglio essere come lei: sbattere le ali con elegante tenacia nel mondo che mi accoglie. Ci saranno giorni orrendi e altri migliori, giorni in cui guarderò le ragnatele, altri in cui ballerò. Credo sempre di essere pronta, invece mi scopro impreparata. Quando sto bene grido alla vittoria, quando sto male mi sento sconfitta. Ma finché potrò dire di aver avuto un giorno buono nella mia vita, avrò vinto io!

 

Storia vera di Virginia F. raccolta da Daniela Mazzoni, pubblicata sul n. 37 di Confidenze

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