Foto ritoccate? Sono favorevole

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Non vedo nulla di male nel pubblicare sui social foto ritoccate o, comunque, ingannevoli. Anche se, credetemi, può portare a risvolti poco simpatici

Il ritocco? Meglio reale che virtuale è un articolo che trovate su Confidenze in edicola adesso nel quale si parla di un argomento di grandissima attualità: la differenza tra la chirurgia estetica, che agisce in modo concreto sull’aspetto di chi la sceglie. E l’uso dei filtri per le foto, che ci permettono di pubblicare nostre immagini in cui appariamo al limite della perfezione.

Sinceramente le due strategie per migliorare le proprie sembianze non mi sembrano tanto paragonabili. Detto questo, faccio un paio di considerazioni su entrambe.

Per quel che riguarda gli interventi chirurgici, me la sbrigo dichiarandomi assolutamente favorevole a quelli che cancellano i punti deboli (un brutto naso o un seno cadente). Ma altrettanto contraria al cercare di annullare l’età, poiché sono convinta che non esista bisturi capace di restituire la freschezza della gioventù.

Se parliamo, invece, di fotografie, non vedo nessun motivo per cui qualcuno dovrebbe mettere sui social ritratti mal riusciti.

Ma questa, a mio avviso, non è una novità né una mania nata con il mondo virtuale. Sin dai tempi dei tempi, infatti, posare ha sempre significato mostrare il lato più bello di sé. Anche quando per rendere le persone immortali si ricorreva a tela, pennelli e ore infinite di lavoro pur di creare un’immagine che valesse la pena essere ammirata.

Arrivando ad anni più recenti, sfido chiunque a dirmi che nelle cornici di casa ha infilato scatti orrendi, con gli occhi chiusi, il viso deformato da smorfie, la ruga in primo piano. E, se parliamo di corpo, con la pancetta o il rotolino di cellulite in bella vista.

Una questione di vanità? Non ci sono dubbi e non vedo nulla di male. Perché esattamente come quando ci trucchiamo e vestiamo bene prima di affrontare la giornata, mi sembra doveroso dare di noi un’immagine gradevole anche quando ci “pubblichiamo”.

Certo, qualcuno può sostenere che con tale atteggiamento diamo di noi una rappresentazione ingannevole. Ma io mi chiedo: dov’è il problema? Che male facciamo a chi ci guarda?

Sono talmente convinta che si tratti di un inganno innocente, da essere io la prima a “truffare”gli amici di Facebook. Ai quali, sul mio profilo, mi presento con un ritratto che non corrisponde affatto alla realtà.

Scattata in studio in tempi ormai remoti da una professionista (e dopo un lungo lavoro di trucco e parrucco), la mia foto mi mostra giovane, con il volto levigato, l’incarnato radioso, lo sguardo sottolineato, i capelli lucenti.

Insomma, lo scatto svela un’Albie lontana anni luce da quella vera. Eppure, non ho la minima intenzione di aggiornarlo.

Intanto, perché gli sono molto affezionata. E poi, non ne vedo il motivo visto che chi mi conosce sa benissimo qual è il mio aspetto reale. Mentre non mi dispiace l’idea che gli altri mi pensino così.

Confesso, però, che la scelta può avere risvolti della medaglia non sempre simpatici. Per esempio, un giorno ho incontrato una persona con cui abbiamo scambiato quattro chiacchiere. E quando è venuto fuori il mio nome, l’ho vista sbiancare.

Pensando fosse in preda a un attacco di cuore o di qualcosa altrettanto grave, mi sono spaventata. Invece, il suo pallore era dovuto all’incredulità. Tant’è che mi ha detto: «Tu sei davvero Alberta Di Giorgio? Ma sei molto (sottolineo il molto!) più vecchia e più brutta rispetto alla foto di Facebook».

Ascoltando testuali parole (ha detto proprio così, la maleducata), sono improvvisamente impallidita anch’io. E bianche entrambe come due cenci ci siamo salutate (non troppo cordialmente).

Da allora, di lei non so cosa sia stato. Ma in me si è radicata la voglia di tenere per sempre la mia (bella) immagine virtuale. Non perché tema “di essere inaccettata” com’è scritto nell’articolo. Semplicemente, la considero come la copertina di un giornale. Sulla quale nessun direttore pubblicherà mai uno scatto mal riuscito.

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