Grazie alle suffragette, sono una femminista moderata

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Sono nata in un'epoca in cui sul fronte della parità di genere era già stato fatto molto. Per cui posso permettermi di essere femminista, ma non sfegatata

Dal punto di vista del diritti delle donne, sono nata in un periodo fortunato. Nel senso che appena ho avuto l’età per capire quanto il gentil sesso abbia dovuto lottare per la parità di genere, tante battaglie importanti erano già state vinte.

Infatti, sono cresciuta sapendo che appena maggiorenne avrei potuto votare. Che un matrimonio non riuscito era compatibile con un bel divorzio. E che una gravidanza indesiderata aveva una soluzione alternativa a un futuro da ragazza madre con bimbo a carico.

Insomma, visto che ai tempi delle suffragette ancora non esistevo e che negli anni ’70 ero una bambina, una volta donna ho potuto permettermi di non essere una femminista sfegatata. Perché nel passato c’era già stata chi si era data un gran da fare per rendere (anche) la mia vita più libera e facile.

Certo, di cose da cambiare ce ne sono ancora parecchie. Personalmente, però, non mi indigno se al lavoro guadagno meno del collega maschio. E se in tanti anni non sono mai arrivata ai vertici aziendali, lo attribuisco esclusivamente alla mia scelta di puntare su mix tra carriera e ruolo di mamma. Una formula perfetta, che mi ha dato modo di essere indipendente economicamente senza rinunciare alla gioia immensa dei figli.

Eccomi, allora, a ribadire il concetto di una strada spianata da chi mi ha preceduta. E a provare gratitudine nei confronti delle eroine del passato, grazie alle quali alla domanda «Sei femminista?» posso rispondere che non ne ho bisogno.

Detto questo, ci tengo a sottolineare che sono del tutto contraria al machismo. Ma, ancora di più, alle donne che si comportano come fossero i più beceri degli uomini.

Ve ne parlo, perché su Confidenze in edicola adesso c’è un articolo, Oops… E se la vera maschilista fossi io?, in cui sette signore e signorine di età compresa tra i 28 e i 68 anni dichiarano di essersi scoperte, in alcune occasioni, alla stregua di odiosi personaggi in pantaloni. Ritrovandosi a pronunciare frasi fuori luogo o ad adottare comportamenti non in linea con la solidarietà di genere.

In realtà, avendo vissuto in un ambiente professionale prettamente femminile, di donne ben peggio di molti uomini ne ho conosciute a bizzeffe. E non mi sono mai piaciute. Per niente.

La mia idea, infatti, è che le differenze tra sesso gentile e forte sono immense. Quindi, una direttora che scimmiotta un direttore del tutto ignaro delle esigenze, le debolezze e i punti di forza di chi ha di fronte mi scatena antipatia massima, ma anche una minima di ilarità.

Antipatia, perché trovo inammissibile e inaccettabile vedermi negare un permesso per assistere alla recita scolastica dei miei figli proprio da una mamma.

Ilarità, invece, perché queste tipe prese dalla loro parte ottusa della serie «Bambina, ti faccio vedere io» si negano la bellezza di essere donne. Con tutto quello che comporta, compreso il rapporto con gli uomini.

Intendo dire che sono pronta a urlare convinta «Viva le femministe». Senza però seppellire i vecchi (e romantici) ruoli di dama e cavaliere.

In altre parole, pur votata all’indipendenza economica assoluta e convinta che ognuna di noi debba lavorare per potersi realizzare fuori dalle mura domestiche, sono anche molto sensibile a un uomo che mi apre la portiera. Si prende cura di me. Mi manda i fiori. E, soprattutto, mi tratta come un fiore.

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